domenica 31 gennaio 2016

Trivelle e Pd:Il pidiota di turno l’on Ivan Scalfarotto.


“Commenterò la notizia delle trivellazioni che non esistono. Faremo anche questo”. E’ la risposta di Ivan Scalfarotto sottosegretario alle riforme costituzionali e ai rapporti con il Parlamento  su Facebook ,a chi gli ha chiesto delle rassicurazioni in merito alle ricerche di idrocarburi al largo delle Isole Tremiti nell’Adriatico.
  “L'esplorazione prevista al largo delle Tremiti (a una distanza siderale dalle Tremiti) equivale a una qualsiasi esplorazione oceanografica. Non c'è nessuna trivellazione prevista. L'airgun con la quale si fanno le esplorazioni ha un minimo impatto, equiparabile appunto quello di qualsiasi esplorazione di fondali”.
Per  Ivan Scalfarotto – essendo la valutazione di impatto ambientale data dalla commissione tecnica del Ministero dell'Ambiente positiva - l'autorizzazione era un atto dovuto. Il sottosegretario difende poi il governo  dichiarando “Qua il problema è che tutti vogliamo riscaldare le case e accendere i condizionatori d'aria, e se possibile vogliamo che la bolletta energetica sia bassissima. Ma naturalmente senza petrolio, senza gas, senza nucleare e senza parchi eolici che sono brutti e rumorosi. Chi governa deve innanzi tutto rispettare le leggi, e poi deve anche - con tutte le cautele del caso - prendere delle decisioni che spesso richiedono step iniziali necessari, anche se poi non avranno sviluppi futuri. Se su ogni respiro si gioca a scatenare il panico non se ne viene più fuori”.
Meno male che conosce il suo territorio l’on Scalfarotto figuriamoci se non lo conosceva,tra l’altro dovrebbe anche conoscere i danni che combinano alla fauna marina i cannoni airgun,forse anche per sbaglio qualcuno gli avrà raccontato dei 6 capodogli spiaggiati a Capoiale nel tratto di sabbia che divide il lago di Varano dall’Adriatico. Ormai questi personaggi invece di pensare alla comunità e al bene comune pensano soltanto a fare i pupazzi dei pupazzi per fare i cavoli loro.
Qualcuno spieghi a Scalfarotto e alla Guidi visto che la cita, che quei miserabili 1980 euro di euro dati dalla Petrolceltic  per esplorare al largo delle Tremiti sono una vergogna ,e che se ci fosse del petrolio,stimato di  pessima qualità  buono solo per fare del bitume ,e un paio di mesi sarebbe la copertura energetica. Qua si tratta di essere deficienti e criminali,mettere a rischio territorio  e posti di lavoro legati all’ambiente ,turismo,pesca,agroalimentare …se proprio ci tenete andate a farvi trivellare nei paesi dei vostri amici petrolieri,fatevi trivellare bene e non permettetevi più di presentarvi in liste elettorali .
Alfredo d’Ecclesia


Russia NATO: la Svezia pronta alla guerra?

Russia NATO: venti di guerra sempre più insistenti. Dopo le tensioni sull’abbattimento del jet russo da parte del partner NATO Erdogan, e dopo le dichiarazioni del comandante dell’esercito svizzero, ora ci si mette anche il generale Andres Brännstörm: la Svezia potrebbe essere in guerra entro pochissimi anni. 

Russia Nato: le dichiarazioni di Brännstörm

La Svezia potrebbe entrare in guerra nel giro di pochi anni per difendere il proprio territorio, almeno stando a quanto sostiene il generale Andres Brännstörm in un documento interno spedito ai soldati delle forze armate svedesi e allo staff.
Queste le sue parole: “La situazione globale che stiamo sperimentando, e che si delinea sempre più nettamente, porta alla conclusione chepotremmo essere in guerra entro pochissimi anni. Noi dell’esercito, con tutte le forze possibili, dobbiamo attuare decisioni politiche”.
Dalla fine della guerra fredda, l’esercito svedese si è soprattutto occupato di fornire assistenza militare nelle missioni estere, ma secondo Brännstörm la strategia dovrebbe ora cambiare verso “una maggiore capacità di lotta armata contro un avversario ben qualificato”. L’obiettivo, come scrive il generale nel documento, è quello di “innalzare la soglia di difesa contro gli attacchi militari esterni e dunque difendere la Svezia”. Svezia che, negli ultimi anni, ha investito notevolmente in ambito militare: il ministro della difesa Peter Hultqvist, per far fronte alle tensioni nella regione baltica, ha infatti intensificato la cooperazione con gli altri paesi scandinavi e con gli alleati NATO.

Russia Nato: l’intelligence svedese e il comandante supremo dell’esercito della Svezia

I servizi di intelligence svedesi hanno affermato nel 2014 che la più grande minaccia per la nazione viene dalla Russia. Dichiarazioni che hanno avuto il risultato di rafforzare il sostegno della NATO al paese nordico, tradizionalmente non allineato, che in quest’ultimo periodo sta rivalutando una sua eventuale adesione al patto atalantico. Un’adesione che tuttavia,stando a quanto aveva affermato l’ambasciatore russo in Svezia nel giugno 2015, potrebbe esser pericolosissima per il paese scandinavo, in quanto la confederazione sarebbe pronta a “puntare i missili contro la Svezia”.
Secondo il comandante supremo Micael Bydén, la Svezia non sarebbe davanti a un’imminente minaccia, ma il conflitto potrebbe ampliarsi alle regioni del nord Europa. Durante una conferenza militare tenutasi a Sälenall’inizio di gennaio, ha detto: “Dobbiamo essere consapevoli che le aree della nostra regione, il Baltico e sempre più l’Artico, costituiscono aree di enorme attrito tra Russia ed Occidente”.
Dichiarazioni che arrivano da uno Stato che, è bene ricordarlo, ha mantenuto la sua neutralità sia nella prima che nella seconda Guerra Mondiale e si è sempre rifiutato di far parte dell’Alleanza Atlantica. Se unite alle parole di André Blattmann, il comandante delle forze armate elevitche che al settimanale Schweiz am Sonntag ha detto che “faremmo bene ad essere pronti a conflitti, crisi e catastrofi!“, il quadro che se ne ricava è di crescente preoccupazione.
fonte http://www.byoblu.com/post/minipost/russia-nato-la-svezia-pronta-alla-guerra


sabato 30 gennaio 2016

Il Pidiota di turno Gianni Bessi consigliere regionale Pd dell'Emilia Romagna.

Il Pidiota di turno di oggi è Gianni Bessi ,consigliere regionale del Pd in Emilia Romagna,pronto a cantare Bella ciao appena cominceranno a trivellare l'Adriatico.
Una volta c'era una generazione di sinistra, umana,attenta e sensibile ai temi ambientali,attenta alla biodiversità ,ora abbiamo questi zombi pidioti,purtroppo non abbiamo più i Pasolini ma i "Jovanotti" venduti al capitale .
Ecco il contributo di questo pidiota





"Il referendum No Triv vuole distruggere imprese e rottamare lavoratori".


Io sto con i lavoratori. Solo a Ravenna sono quasi 5 mila e negli ultimi 6 mesi se ne sono persi quasi 900. E non è finita.
Il via libera da parte della Consulta al referendum ‘no triv’ è a mio parere l’ennesima occasione persa. Anzi, per essere più precisi, è l’ennesimo ostacolo che si pone lungo la strada della ripresa del Paese, che come sappiamo è difficile e non è affatto scontata.
L’effetto che avrà il referendum, aldilà del risultato, è che si produce incertezza in uno dei settori trainanti dell’economia del Paese, a più alto valore aggiunto e specializzazione. In questo modo gli investitori dell’oil&gas si ritireranno dall’Italia: in realtà lo stanno già facendo. Mentre le aziende sub contrattiste andranno in profonda crisi. Anzi stanno già soffrendo.
E vorrei ricordare a chi sostiene l’esigenza di fermare le estrazioni in mare che i primi a soffrire di uno stop alle trivellazioni saranno proprio i lavoratori delle ‘nostre aziende’ dell’impiantistica meccanica, dei servizi, dell’ingegneria, ecc. cioè quella parte della società che sta già pagando maggiormente gli effetti della lunga crisi. E ai quali non viene detto che cosa faranno domani, quale sarà la loro occupazione nel momento in cui le loro 
imprese chiuderanno i battenti.
Si tratta di migliaia di persone da Ravenna alla Basilicata all’Abruzzo ed in tutta Italia che hanno il solo difetto di sapere fare bene il proprio lavoro ma del cui futuro e delle loro famiglie pare non importi ai nuovi campioni della difesa dell’ambiente, che mentre non vuole che l’Italia si comporti come gli altri Paesi sviluppati (ieri la Norvegia ha rilasciato 56 concessioni nei suoi mari) utilizzando le proprie risorse per fare funzionare meglio l’economia e quindi il welfare, con considerevoli risparmi nella bolletta energetica nazionale ma continua a consumare quotidianamente energia, muovendosi in auto, e comparendo allegramente in televisione.
Gianni Bessi consigliere regionale Pd dell'Emilia Romagna







giovedì 28 gennaio 2016

0ggi 28 gennaio S.Tommaso d'Aquino



San Tommaso d'Aquino, detto anche Doctor Angelicus, Doctor Communis (Roccasecca, 1225; † Abbazia di Fossanova, 7 marzo 1274), è stato un teologo e filosofo italiano. Pio V, nel 1567, lo proclamò Dottore della Chiesa, e Leone XIII, il 4 agosto 1880, patrono delle scuole e università cattoliche.

Rappresenta uno dei principali pilastri teologici della Chiesa cattolica, ma, per il suo metodo di lavoro e per la sua apertura mentale, è punto di riferimento anche per pensatori contemporanei (teologi e filosofi) non di fede cattolica.

Una fondamentale sua caratteristica è la capacità di leggere in modo sia sempre rispettoso sia sempre nuovo anche questioni della filosofia classica, con riferimenti a maestri come Socrate, Platone, Aristotele, ma anche ai loro commentatori successivi, sia tardoantichi sia ebrei sia musulmani. La luce della fede, collocata nel giusto rapporto con quella della ragione, nonché la profonda conoscenza della Bibbia e dei Padri della Chiesa ne fanno un maestro anche per i tempi di oggi.




Tommaso d'Aquino nacque a Roccasecca, nel feudo dei conti d'Aquino (Frosinone), nel 1225.

Figlio di Landolfo, nobile di origine longobarda, e Teodora, il piccolo Tommaso, a soli cinque anni, fu inviato comeoblato nella vicina Abbazia di Monte Cassino per ricevere l'educazione religiosa.

A quattordici anni Tommaso si trasferì a Napoli, dove si dedicò allo studio delle arti all'Università degli Studi di Napoli "Federico II", presso il convento di San Domenico Maggiore. È così che, pur fortemente ostacolato dalla famiglia, fece richiesta nel 1244 di essere ammesso all'Ordine domenicano, cosa che avvenne a fine aprile dello stesso anno.

I suoi superiori, avendone intuito il precoce talento, e per consentirgli il completamento degli studi, lo inviarono aParigi, ma il giovane, prima che potesse giungervi, fu catturato dai suoi familiari e ricondotto al castello paterno di Monte San Giovanni Campano.

Il periodo di prigionia, che durò un anno, fu caratterizzato dalle pressioni della famiglia che voleva fargli rinunciare all'abito domenicano, e si concluse, per intercessione di Papa Innocenzo IV, con la liberazione (o, secondo alcuni biografi, con la fuga) di Tommaso.

Dopo brevi soggiorni, prima a Napoli e poi a Roma, nel 1248 Tommaso giunse a Colonia in Germania per seguire le lezioni di Sant'Alberto Magno, filosofo e teologo tedesco, la cui dottrina cercò di conciliare l'Aristotelismo con il Cristianesimo, considerando il metodo empirico di Aristotele molto utile per le scienze naturali e, dal momento che scienza e fede non sono contrastanti, indirettamente giovevole anche per la fede cristiana: conoscere meglio la natura equivale a conoscere meglio l'opera del Creatore. Tommaso fece sua questa istanza di Alberto.

A Colonia, nel 1250 o nell'anno successivo, diventa sacerdote. Dal 1252 invece Tommaso insegnò all'Università di Parigi, iniziando come baccalarius biblicus, e dopo quattro anni poté tenere la sua prima lezione in cattedra.

Nel frattempo, Tommaso combatté contro gli averroisti, che ritenevano la fede inconciliabile con la ragione. Secondo Tommaso, invece, la ragione supera le fede, ma non si oppone ad essa.

Tommaso cercò anche, contro l'opinione del dominante indirizzo agostiniano, filosoficamente platonico oneoplatonico, di mostrare la conciliabilità dell'impostazione aristotelica - ovviamente interpretata in modo diverso da quanto facevano gli averroisti e, dove occorreva, opportunamente corretta - con la fede cristiana; Tommaso, in questa operazione, non scadde mai nella polemica, citando anzi sempre con grande stima lo stesso Sant'Agostino; a tal proposito, è da rilevare che fu personalmente in ottimi rapporti con uno dei massimi esponenti contemporanei dell'agostinismo, San Bonaventura.

Nel 1259 Tommaso tornò in Italia: strinse amicizia con Guglielmo di Moerbeke, il grande traduttore di Aristotele dai testi originali greci, e collaborò ad alcuni scritti con papa Urbano IV, presso il convento di Orvieto, dove il ponteficesi era temporaneamente stabilito.
Ragione, scienza e fede

Il metodo di lavoro di Tommaso è caratterizzato da una grande e critica fiducia nella ragione umana e nelle sue capacità di scoperta: nel commento al De coelo et mundo di Aristotele, ad esempio, Tommaso sostiene che non si debba mai ritenere una teoria scientifica definitivamente vera, perché può sempre succedere che ne venga elaborata una nuova, in precedenza mai concepita da nessuno.

La certezza nell'universale capacità umana di ragionare fa di Tommaso un grande sostenitore del metodo dialogico (cfr. la Summa contra gentiles), capace, come si vede in ogni sua opera, di accogliere senza pregiudizio qualunque contributo di riflessione possa avvicinare alla verità, da qualunque ambiente esso provenga: cristiano o musulmano, ebreo o pagano.

Giungere alla pienezza della verità, che Tommaso identifica con Dio, non è, però, alla portata della sola ragione umana: dobbiamo fare ricorso ad una superiore fonte di conoscenza: la Rivelazione. Per Tommaso però "superiore" non vuol dire "contrastante". Tommaso è molto lontano dalla teoria della doppia verità degli averroisti latini, i quali ritenevano, secondo l'impostazione di Sigieri di Brabante, che la fede e la ragione potessero rispondere in modo non solo diverso, ma addirittura opposto alla stessa domanda, e che si dovessero tenere per buone entrambe le risposte. Per lui, invece, la fede e la ragione, se rettamente intese, non possono mai essere in contrasto tra loro, provenendo entrambe da Dio; la differenza tra esse sta nel fatto che la seconda, anche quando parla di Dio, lo fa a partire dalla sua manifestazione nella natura, mentre la prima è fondata sulla conoscenza che Dio stesso ha di sé. Da qui deriva il suo primato.

La teologia, che si basa sulla Rivelazione divina, e che è una scienza per gli uomini solo in quanto subalterna alla scienza di Dio, ha lo stesso statuto epistemologico di altre scienze quali la prospettiva e la musica, che ricevono, senza né dimostrarli né poterli considerare di per sé evidenti, i propri principi di lavoro rispettivamente dalla geometria e dall'aritmetica.
Etica e politica

Oltre che fondamento e causa efficiente del mondo, Dio ne è anche il fine: nell'uomo, in particolare, l'agire consapevole è sempre in vista di un fine. Ma c'è un fine ultimo, criterio di ogni atto di scelta? Sì: è raggiungere la beatitudine, che Tommaso intende in senso oggettivo: quella realtà capace di rendere beati. Tale può essere solo il bene infinito, perché i beni finiti non ci possono quietare in tutti i nostri desideri, ed il bene infinito, l'infinito essere, è Dio.

Il mio personale stato di benessere soggettivo è allora conseguenza del raggiungimento del fine, non è fine esso stesso. Così la legge è soltanto mezzo per raggiungere il fine, non fine essa stessa. Nel momento in cui obbedire alla legge (qualsiasi legge) mi allontana dal fine, la legge non vale più. Tommaso parla nella Summa Theologiae di una speciale virtù che aiuta a capire quando è il momento di disobbedire.

La legge può essere distinta in quattro livelli:
legge eterna, nella mente di Dio, e pertanto non conoscibile da noi in modo diretto;
legge naturale, che è una partecipazione della prima e si può cogliere con la ragione;
legge positiva, che è posta dagli uomini e non deve contrastare la legge naturale, pena la perdita di validità: posso ribellarmi ad una legge che calpesti un mio diritto naturale, devo farlo se la legge vuole impormi di calpestare un diritto altrui;
legge divina, che vale per chi accetta il Cristianesimo e non può essere imposta a chi è fuori dalla Chiesa.

Questa concezione del diritto fonda la reciproca autonomia dei poteri politico e religioso: Tommaso, contrario alla teocrazia, afferma che l'autorità politica è legittimata da Dio attraverso il consenso popolare, non attraverso il Papa. La società migliore, anzi, è quella in cui tutti sono elettori e tutti eleggibili.

Interessante, a riguardo della legge naturale, è il fatto che esista una gerarchia nei diritti naturali: ad esempio, quello alla proprietà è subordinato, e funzionale, al diritto alla vita. Ne deriva che, qualora il diritto alla vita di qualcuno si possa affermare solo con l'appropriazione di beni (magari superflui) altrui, quest'appropriazione è pienamente giustificata; la proprietà privata, insomma, per quanto in sé legittima, va sempre coniugata con un uso sociale dei beni.

Le riflessioni dell'Aquinate sul diritto naturale si sono rivelate di grande importanza nella storia del pensiero occidentale, soprattutto per la nascita del moderno diritto internazionale e per la formazione della dottrina sociale della Chiesa, dalla Rerum Novarum di Leone XIII (1891) fino ad oggi.





Estratto da Cathopedia
Questo articolo come personale omaggio al carissimo Mons. A. Sappa , Milla Lince Grassi






mercoledì 27 gennaio 2016

La vicenda di Massimiliano Latorre e Salvatore Girone analizzata nel libro "Un mare di abusi" (Adda editore) di Giuseppe Paccione


Il libro di Giuseppe Paccione (“Un mare di abusi”, Adda editore) affronta la vicenda del mercantile Enrica Lexie e dei due fanti del Reggimento San Marco della Marina militare italiana, Salvatore Girone e Massimiliano Latorre, facenti parte del Nucleo Militare di Protezione (NMP). Ne parla sul piano del diritto internazionale, attraverso l’analisi giuridica che ha, ormai da alcuni anni, dominato un’ampia discussione nell’opinione pubblica italiana e nell’ambito della dottrina internazionalistica. Ancora oggi, due ragazzi che erano nelle loro piene funzioni, come organi dello Stato italiano, si trovano tra l’incudine e il martello senza sapere quale sarà la loro sorte.
Il libro di Paccione è accompagnato da una prefazione scritta dall’ambasciatore Giulio Terzi di Sant’Agata, già ministro degli Affari esteri e della cooperazione Internazionale del governo Monti, a favore nel 2013 al non rientro dei due Marò pugliesi in India per esigenze di garanzia di fondamentali diritti della persona umana che poteva rappresentare una ragione per negarne il ritorno nell’Unione d’India allo scadere del permesso speciale. A suo tempo l’ambasciatore Terzi rassegnò le dimissioni davanti alla Camera dei Deputati.
Nell’introduzione si percorre l’excursus della questione Enrica Lexie e dei due marò, del generale di Brigata (Ris)Fernando Termentini.
L’autore è entrato nel merito di questioni come concetti sul diritto del mare, la delimitazione giurisdizionale dell’India sul mare, il contrasto tra ordinamento internazionale e quello dell’Unione d’India, per poi giungere al tema dell’incidente avvenuto nel febbraio 2012 del mercantile battente bandiera italiana nell’ambito della zona grigia del diritto internazionale. Ha esaminato due aspetti come quello inerente alla violazione da parte dello Stato indiano del diritto diplomatico che determina la “sacralità” dell’ambasciatore, in quanto organo diretto dello Stato che rappresenta, come pure quello sulla mancanza da parte dell’India di non aver rispettato e posto in essere l’istituto dell’immunità funzionale di cui i due Marò beneficiavano.
Infine, il testo si è occupato della linea che l’Italia poteva seguire per giungere alla soluzione definitiva di questa storia come quella di attivarsi nell’esperire tutti i canali necessari: dalla via diplomatica, sino a quella politica senza dover giungere all’ultima extrema ratio cioè quella dell’Arbitrato internazionale, perseguita poi dal nostro Paese.
fonte http://formiche.net/2016/01/26/maro-tutti-nodi-giuridici-raccontati-da-paccione/

martedì 26 gennaio 2016

Buon compleanno indimenticabile Maestro Ottavio Garaventa



Il tenore Ottavio Garaventa , genovese, di fama internazionale, ha portato la grande arte italiana in tutti i più grandi teatri del mondo. Cresciuto in una famiglia dedita alla musica (il nonno materno fu un rinomato tenore di canto popolare genovese e la zia Rosetta Noli un soprano di primo piano degli anni cinquanta), nel 1959, a 19 anni, dopo un breve periodo di studio con il maestro Magenta, debuttò come baritono in Lucia di Lammermoor ma, nonostante le qualità vocali, la carriera non riuscì a decollare.

Interrotti gli studi, trovò lavoro come gruista nel porto di Genova. In seguito, dopo il matrimonio e la nascita della figlia Marina, e dopo aver superato un serio problema di salute, riprese gli studi e nel 1963 debuttò come tenore nel ruolo di Turiddu di Cavalleria rusticana a Cincinnati. Nel 1964 vinse nel nuovo registro il concorso "Voci Nuove" e nel 1965 quelli "Voci Verdiane" di Busseto e As.Li.Co., debuttando in Italia, al Teatro Nuovo di Milano, ad oltre dieci anni dal primo esordio e iniziando una luminosa carriera.


Passato al registro di tenore, iniziò una grande e lunga carriera durante la quale si esibì nei più grandi teatri del mondo, tra cui il San Carlo di Napoli, la Staatsoper di Vienna, La Scala di Milano, il Bunkakaikan di Tokio, il Teatro dell'Opera di Roma, l'Earl Court di Londra, l'Arena di Verona, il Kennedy Center di Washington, oltre al Festival di Aix en Provence. Con il teatro alla Scala ha collaborato in diverse produzioni di rilievo internazionale: due edizioni di Bohème di Puccini, dirette da Georges Prêtre e da Carlos Kleiber,Maria Stuarda, rappresentata dopo 136 anni, e nella stagione del bicentenario americano Simon Boccanegra, Messa di requiem e Macbeth, diretti daClaudio Abbado. Ha eseguito inoltre Madama Butterfly, Luisa Miller, Tosca, Linda di Chamounix, Nona sinfonia di Beethoven, Arabella, Maria di Rohan.


Prese parte alla prima mondiale de Il Gattopardo di Angelo Musco a Palermo e ha cantato nel Falstaff di Giuseppe Verdi a Firenze, con la regia di Eduardo De Filippo. Ha partecipato ad alcune riprese di opere non eseguite da decenni: I Lituani di Ponchielli alla RAI, Les Martyrs e Il diluvio universale di Donizetti, rispettivamente a Genova e alla Fenice di Venezia.

Nel 1981 a Firenze gli è stato conferito il titolo di Accademico delle Muse.

Per alcuni anni fu direttore artistico del Festival Internazionale di Musica di Savignone e  fondò con la figlia Marina un'associazione musicale che si occupa di giovani artisti. Garaventa era anche un buon pittore, con all'attivo diverse mostre in Italia e all'estero.Vanta un repertorio vastissimo (113 opere)soprattutto nell’area del belcanto verdiano e donizettiano non disdegnando però grandi interpretazioni del verismo.

Uomo sanguigno, vigoroso e sincero, diceva di avere 3 amori: la musica, la famiglia e la pittura. Per le doti di affidabilità ed eclettismo era definito "tenore sicurezza".
 

Fonte Wikipedia rivisita da Milla Lince Grassi




anch'io ho  ricordi con lui di numerosi concerti insieme al mio coro




Le persone delicate. di Maria Cristiano

di Maria Cristiano
Le persone delicate
Io le chiamo le persone “delicate”.
Sono quelle persone che si avvicinano agli altri senza invadere il loro spazio. Che hanno voglia di ascoltare ma non impongono alcuna domanda. Che non proiettano ogni discorso su se stesse, ma mettono tutte se stesse in ogni discorso.
Le persone delicate chiedono sempre il permesso per entrare, perché prima di spalancare una porta si preoccupano che chi c’è dietro sia al riparo dalla corrente.
Le persone delicate sanno quanto possano ferire le parole, perciò non le utilizzano mai a caso. E non giudicano, perché tengono molto più a comprendere le motivazioni dei gesti altrui, piuttosto che a condannarli.
Ma non è la compassione che le smuove, non la pietà, perché loro non si sentono privilegiate o superiori: si sentono semplicemente ‘simili’.
Le persone delicate sono molto sensibili, e possono apparire fragili. Invece sono fortissime. Perché continuare ad essere delicati in un mondo che aggredisce è una delle scelte più coraggiose che si possano fare.Ma la caratteristica più bella delle persone delicate è che lo sono con tutti, anche con chi non conoscono, anzi soprattutto con chi non conoscono.
Ecco perché le riconosci subito: le persone delicate, lo sono anche con te.
Cerca di fare attenzione quando ne incontri una: perché le persone delicate sono quelle che, più di tutte le altre, meritano di essere trattate con delicatezza.
Maria Cristiano

Gilberto Govi e la sua storia





Gilberto Govi, al secolo Amerigo Armando, nasce nel popolare quartiere di Castelletto a Genova il 22 ottobre 1885, in via S. Ugo n. 13, da Anselmo, un funzionario delle Ferrovie di Modena, e dalla bolognese Francesca Gardini, detta Fanny. Gli viene dato il nome Gilberto in onore di un suo zio paterno: uno scienziato a cui tuttora dedicata una via nella città di Parma.

Frequenta le scuole insieme al fratello Amleto, e per tre anni l'Accademia di belle arti e a sedici anni viene assunto come disegnatore dalle Officine elettriche genovesi.



Ma durante una vacanza a Bologna presso lo zio materno e attore dilettante Torquato inizia ad appassionarsi a divertirsi nel vederlo recitare. L'amore per quest'arte cresce sempre pi, nonostante il padre desideri per lui una carriera nelle Ferrovie, e a dodici anni, nel 1897, recita già in una filodrammatica.


Il giovane Gilberto, ha la passione per il disegno e le caricature di Belle Arti, trovando poi lavoro come disegnatore alle Officine Elettriche Genovesi all'età di sedici anni. Dopo alcune esibizioni in un teatro di Bolzaneto, Govi s'iscrive all'Accademia filodrammatica del teatro "Nazionale" in stradone Sant'Agostino, un ambiente che Gilberto Govi considera tetro e dove è costretto a recitare in corretto italiano, in continua lotta con le regole di dizione. Ma le sue qualità di attore sono già avvertibili, tanto che alcuni critici ne rimangono colpiti. Questo però non basta a soddisfare Govi che nel sangue ha il dialetto.
La sua massima aspirazione è quella di entrare a far parte della compagnia del celeberrimo Virgilio Talli, e quando questi ebbe modo di assistere ad una sua rappresentazione fu talmente entusiasta della sua figura e dei suoi personaggi che lo stimolò a proseguire la carriera suggerendogli di fondare un vero e proprio teatro dialettale genovese, che a quei tempi non aveva una tradizione consolidata. Con Alessandro Varaldo e Achille Chiarella, nel 1914 su iniziativa di Davide Castelli, da anni sulle scene, attorno al 1914 comincia a recitare in alcune commedie fino a che, due anni dopo, i "dialettali" guidati da Govi vennero espulsi dall'Accademia (l'attore venne poi riammesso, come socio onorario, solo nel 1931), mette su una compagnia chiamata proprio la "Dialettale" che, dopo i primi spettacoli, riporta notevoli successi a Sampierdarena, a Sestri Ponente e perfino a Chiavari e Savona. Ma qui iniziano a nascere i contrasti con l'Accademia che gli pone un ultimatum: o dire addio al dialetto, o all'Accademia. Govi decide per il dialetto e si fa espellere dall'Accademia nel 1916, insieme a tutta la compagnia, dando vita ufficialmente al teatro genovese. L'attore verrà poi riammesso, come socio onorario, solo nel 1931.

Gilberto si innamora di Caterina Franchi in arte Rina Gajoni, creatrice applaudita della popolare macchietta della "Luigina", un'attrice del suo gruppo, che aveva conosciuto nel1911 per la prima volta e la sposa con una cerimonia intima e riservata il 26 settembre1917. Rina Gajoni sarà sempre al suo fianco anche come partner nella compagnia teatrale e i due rimangono insieme fino alla fine, per 49 anni.

Govi fonda quindi una nuova compagnia: la "Compagnia dialettale genovese" e, dopo il debutto al teatro Paganini, inizia ad esibirsi nei maggiori teatri genovesi, con una prima sortita a Torino nel 1917. Dopo un lungo apprendistato il successo a livello nazionale arriva nel 1923 quando Govi presenta al teatro Filodrammatici di Milano la commedia "I manezzi pe' majà na figgia" di Nicolò Bacigalupo. Anche il "Corriere della Sera" ne fa una buona recensione. Il successo ottenuto però non gli monta la testa: per due anni ancora mantiene il suo impiego alternando il palcoscenico al tavolo di lavoro alle Officine. Lascia il mestiere di disegnatore solo alla fine del 1923 per dedicarsi completamente al teatro, ma gli inizi non sono facili, soprattutto per la scelta del repertorio da rappresentare, ma in breve tempo supera le difficoltà con uno stuolo di autori pronti a mettersi a disposizione di un astro nascente teatrale, come Niccolò Bacicalupo, Emanuele Canesi, Carlo Bocca, Luigi Orengo, Aldo Aquarone, Emerico Valentinetti, Enzo La Rosa, Sabatino Lopez, e tanti altri.

Tutti i testi che vengono scelti sono poi modificati dallo stesso Govi, tanto che gli autori lo contattano anticipatamente per concordare eventuali modifiche ai copioni in funzione delle sue preferenze. Redatti in italiano, i testi sono poi tradotti dall'attore in rigoroso dialetto genovese. Inoltre la usa abilità di disegnatore gli permette di disegnare le maschere da cui nascono i personaggi da portare in scena. Disegna una serie di locandine con il suo volto, tracciato dalla sua mano ferma in tutte le posizioni, di fronte come di profilo, ed in ogni sua ruga ed espressione, che vengono esposte nei foyer dei teatri nei quali si esibisce come una galleria di quadri che entusiasma ulteriormente gli spettatori gratificandoli di un valore aggiunto.

Il 1926 vede il teatro genovese varcare i confini nazionali con una tournè e in Argentina e Uruguay dove riscuote applausi oceanici. Là trova infatti numerosi genovesi emigrati. Govi presenta sui palcoscenici di tutto il mondo 78 commedie(alcune delle quali registrate dalla televisione italiana e incise anche su vinile) tra le quali si ricordano "Pignasecca e Pignaverde", "Colpi di timone", "Maneggi per maritare una figliola".

Fino allo scoppio della Seconda guerra mondiale la sua carriera è sempre in crescita, con varie tournèe teatrali sia in Italia che all'estero. Nel 1928 recita a Roma, 1929 è a S. Rossore ospite di Vittorio Emanuele III, 1930 di nuovo all'estero a Parigi; in quegli anni Mussolini gli dona una foto con dedica come segno di sincero apprezzamento. Nel 1942 inizia anche l'esperienza cinematografica che lo vede impegnato in quattro film il cui esito è piuttosto insoddisfacente: "Colpi di timone" (1942), diretto da Gennaro Righelli, "Che tempi!" (1947), diretto da Giorgio Bianchi, "Il diavolo in convento" (1950), diretto da Nunzio Malasomma e infine "Lui, lei e il nonno" (1961), girato a Napoli da Anton Giulio Majano e prodotto dall'armatore Achille Lauro, il suo unico film a colori. Ma i ritmi del cinema, con le ripetute pause, e la tecnica recitativa differente rispetto a quella del palcoscenico non lo entusiasmano. Ha però l'occasione di lanciare futuri comici: i giovanissimi Walter Chiari e Alberto Sordi.

Il conflitto mondiale non risparmia però la sua abitazione genovese, colpita dai pesanti bombardamenti portati dal mare e dal cielo. La guerra lo scuote profondamente e insieme alla casa l'attore vorrebbe ricostruire anche il proprio repertorio, che sente forse ormai superato da nuove proposte; in questo periodo è attanagliato da dubbi ed insicurezze, non riesce ad avere la consapevolezza che il pubblico lo gradisce ancora, nonostante il successo delle sue commedie sia sempre forte e la gente non lo abbandoni ed accorra sempre numerosa ai suoi spettacoli in ogni città in cui recita.

Govi non fa neppure a tempo ad avere un rapporto approfondito con la televisione, nata da poco, poichè si sta ormai avviando verso la parte finale della sua carriera; il piccolo schermo, tuttavia, gli consente, con la registrazione dal vivo di alcuni suoi spettacoli, di farsi conoscere dal grande pubblico. Questo ha inoltre permesso di salvare dalla distruzionesei sue commedie. Salvataggio avvenuto in maniera rocambolesca negli anni Settantagrazie ad un impiegato collezionista appassionato di teatro. Le commedie sono state riproposte da Vito Molinari e Mauro Manciotti nel 1979 in una trasmissione su Raitre a lui dedicata. Nell'estate del 2004 vengono ritrovate e pubblicate in DVD anche sei commedie radiofoniche inedite da lui interpretate.

Govi per gli spettatori di mezzo mondo rappresenta il vero genovese: furbo, sorridente e rude. Sulla scena è riuscito ad arricchire di umori genovesi i testi delle commedie del teatro dialettale raccontando il carattere del ligure come un coesistere di contrari: maschera e sentimento, immagine esterna e linee interiori, pubblico e privato; il ligure che sa guardare oltre l'apparenza delle cose e leggere dentro se stesso con una buona dose di humour sotto gli atteggiamenti da gente seria, anzi, per dirla con il suo amato dialetto, "stundaia".

Non mancano anche importanti riconoscimenti pubblici, ma non molti dalla sua città natale: a ricordarlo all'ombra della Lanterna rimangono i giardini "Gilberto Govi", edificati solo negli anni Ottanta nella zona storica della Foce e situati sopra il principale depuratore cittadino e la Sala Govi (ex Verdi) a Bolzaneto. I riconoscimenti principali che riceve sono: nel 1948 in onore del centenario del Risorgimento, negli anni '50 partecipa a una manifestazione benefica presso il Circo nazionale Togni a Genova, nel 1957 riceve una medaglia d'oro dal sindaco.


Nel 1960 organizza nuovamente la compagnia per l'ultima stagione della sua carriera (porta in scena la commedia "Il porto di casa mia", scritta dal poeta Sabatino Lopez: a 75 anni, capisce che è arrivato il momento di lasciare il palcoscenico e dedicarsi ad un meritato riposo, dichiarando: "Il teatro è come una bella donna: bisogna lasciarla prima che sia lei a lasciare te"), nel 1965 il sindaco gli consegna un'altra medaglia d'oro che da un lato riporta la scritta "A Govi, artista illustre, massimo interprete del teatro dialettale genovese, la città con gratitudine, 22 ottobre 1965".

Prima di ammalarsi fa in tempo ad comparire ancore sugli schermi televisivi in qualche rara intervista e in diversi Caroselli. Famoso quello del 1961 per una marca di tè dove interpreta il simpatico personaggio di Baccere Baciccia, il portiere di un caseggiato genovese, conosciuto da tutti per la sua estrema tirchieria ma adorato dai bambini, ai quali ripete una frase rimasta celebre: "Da quell'orecchio, non ci sento; da quell'altro, cosè cosè...".

Il 28 aprile 1966 Gilberto Govi muore nella sua città. Ai funerali, celebrati nella centrale Chiesa di Santa Zita, affollatissima, partecipa tutta la città. Tra i presenti alla cerimonia, anche Erminio Macario, visibilmente commosso.

Fonte Teatro. com Milla Lince Grassi




maneggi per maritare una figliola






Cimitero Monumentale di Staglieno

MOLTO 'FANTA' E POCA 'SCIENZA' Tutti gli errori della fisica di Star Wars



Sono stata colpita dall’impressionante serie di record totalizzati dall’ultimo episodio di Star Wars. Pur non essendo, ancora, il film che ha guadagnato di più nella storia del cinema (posto saldamente tenuto da Avatar, ma ancora di più da Via col Vento, se si corregge opportunamente per l’inflazione), a livello mondiale è ora a oltre 1,8 miliardi e non è ancora stato distribuito in Cina, il cui mercato ha dato contributi molto importanti agli incassi di altri film.

Una grandiosa e minuziosissima campagna pubblicitaria in stile Disney, insieme al ricordo ed alla nostalgia per gli episodi precedenti, è riuscita nell’intento di creare l’aspettativa che ha reso l’ultimo Star Wars il film più veloce nella scalata ai record. E la velocità è un fattore importante nelle storie di battaglie galattiche, che sono il filo conduttore della serie, perché le navi spaziali (dei buoni e dei cattivi) si spostano da un punto all’altro della galassia in un tempo brevissimo, molto più breve di quanto occorra alla luce che, dopo tutto, è quanto di più veloce conosciamo.

Ovviamente, si dà per scontato che le navi spaziali, capaci di decollare ed atterrare su qualsiasi tipo di terreno senza bisogno di alcun tipo di infrastruttura, utilizzino i tunnel spaziotemporali. È un’ipotesi della relatività generale che, sfruttando la curvatura dello spazio-tempo, connettono diversi punti del nostro universo polverizzando le distanza che, altrimenti, sarebbero proibitivamente lunghe (qui c’è una illuminante spiegazione, in inglese, dei tunnel spaziotemporali).

Non mi è chiaro come facciano i piloti di queste astronavi a infilarsi nel tunnel giusto per andare su un dato pianeta. Sfruttano una opportuna segnaletica? Prendere un tunnel sbagliato li porterebbe in un’altra galassia o addirittura in un altro universo. Oltretutto, dal momento che il tempo scorre diversamente quando ci si avvicina alla velocità della luce, bisognerebbe tenere conto della variabile tempo. Supponendo di partire alla volta del pianeta dove è in corso una battaglia epocale, non si vuole certo correre il rischio di arrivare nel futuro, quando tutto è già finito, oppure nel passato, quando non è ancora cominciato.

L’architettura delle navi spaziali è un’altra caratteristica della serie. Parliamo di strutture immense grandi come portaerei dove astronavi più piccole entrano ed escono senza alcuna attenzione ad equalizzare la pressione tra il fuori (dove c’è il vuoto, unito a temperatura gelida) e il dentro che deve essere pressurizzato e riscaldato per permettere la vita degli esseri umani e i loro compagni da fattezze varie, ma sempre vagamente umanoidi. Le strutture spaziali assomigliano di più a palazzi con elaborate sale di controllo che non ad astronavi. Nessuno porta tute spaziali, i vestiti sono delle fogge più varie da tuniche pseudo medioevali dei capi del lato oscuro, alle armature di simil-plastica dei guerrieri, al look casual di Han Solo. I protagonisti non fluttuano nell’assenza di peso, evidentemente ci sono giroscopi che simulano la gravità, e hanno a disposizione sorgenti di energia senza limiti per fornire la potenza necessaria a far funzionare tutti i marchingegni di bordo, le astronavi, le armi.

A proposito di aria, ho notato che i protagonisti non si preoccupano mai delle caratteristiche dell’atmosfera del pianeta sul quale stanno per atterrare. Forse le manovre sono così veloci che non hanno il tempo di porsi la domanda. Scendono dall’astronave e respirano tranquillamente, come se tutti i pianeti avessero l’atmosfera ottimale, con la giusta pressione e la temperatura ideale per permettere ad un umano di sopravvivere senza protezione. Pensate alla fatica che faceva il protagonista di The Martian ad andare in giro con la sua tuta supertecnologica senza la quale non avrebbe potuto resistere neanche pochi secondi sul gelido Marte. I nostri eroi non si chiedono nemmeno quale sia la massa del pianeta sul quale atterreranno, massa che determinerà la gravità che si troveranno ad affrontare: camminano e corrono, senza neanche contemplare la possibilità che la gravità possa essere più grande, schiacciandoli a terra (nel caso di un pianeta molto massivo), oppure più piccola, permettendo loro di spiccare grandi balzi (nel caso di un pianeta più leggero).



Infine, in un preoccupante esempio di omogeneizzazione culturale, ovunque nella galassia si parla la stessa lingua. Una disdetta per chi cerca di immaginare modi per comunicare con eventuali civiltà aliene attraverso qualche tipo di linguaggio matematico. Quando la saga è iniziata, nel 1977 non si sapeva dell’esistenza di pianeti extrasolari, e pensare a pianeti abitabili in orbita intorno ad altre stelle era fantascienza allo stato puro. Adesso lo studio dei pianeti extrasolari ha fatto passi da gigante e siamo arrivati a contarne 2.000, tra questi, ce ne sono almeno due dozzine ragionevolmente simili alla Terra e potenzialmente abitabili. Tuttavia non siamo affatto sicuri che abbiano un’atmosfera respirabile. Quello che sappiamo per certo è che i viaggi interstellari sono molto, molto lunghi.
Per di più, non abbiamo ancora trovato l’entrata dei tunnel spazio-temporali.


Fonte Inaf Milla Lince Grassi




Un Clone Trooper picchia la testa in 'Star Wars: Episodio IV Una Nuova Speranza'

lunedì 25 gennaio 2016

Il 31 ottobre il Papa in Svezia per commemorare i 500 anni della Riforma




Papa Francesco sarà in Svezia il prossimo 31 ottobre: prenderà parte ad una cerimonia congiunta in programma a Lund fra la Chiesa Cattolica e la Federazione Luterana Mondiale, per commemorare il 500.mo anniversario della Riforma, che cade nel 2017. Lo comunica la Sala Stampa della Santa Sede. Il servizio di Giada Aquilino:

Un “particolare risalto ai solidi progressi ecumenici fra cattolici e luterani e ai doni reciproci derivanti dal dialogo”: questo il senso della commemorazione ecumenica congiunta che sarà presieduta a Lund dal Pontefice, dal vescovo Munib A. Younan, presidente della Federazione Luterana Mondiale, e dal rev. Martin Junge, segretario generale della medesima Federazione. A spiegarlo il comunicato della Federazione Luterana Mondiale e del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, presieduto dal cardinale Kurt Koch. Per l'evento, organizzato in collaborazione con la Chiesa di Svezia e la diocesi di Stoccolma, è prevista una celebrazione comune fondata sulla “Common Prayer - Preghiera Comune”, la recente guida liturgica appositamente preparata da cattolici e luterani e inviata alle Chiese della Federazione e alle Conferenze episcopali cattoliche.

Da parte luterana, l’anniversario della Riforma verrà commemorato in “uno spirito di responsabilità ecumenica”, spiega il rev. Martin Junge, aggiungendo come lavorando “per la riconciliazione fra luterani e cattolici” si operi “per la giustizia, la pace e la riconciliazione in un mondo lacerato dai conflitti e dalla violenza”.

Concentrandosi insieme su “centralità della questione di Dio” e su un “approccio cristocentrico”, afferma il cardinale Koch, le due comunità avranno la possibilità di celebrare la commemorazione ecumenica della Riforma “non semplicemente in modo pragmatico, ma con un senso profondo della fede in Cristo crocifisso e risorto”.

La Chiesa di Svezia, con l’arcivescovo Antje Jackelén, auspica che tale appuntamento “contribuisca all’unità dei cristiani” in tutto il mondo.

La diocesi di Stoccolma, con il vescovo Anders Arborelius, pone l’accento sulla situazione ecumenica “unica e interessante” in Svezia, nella speranza che l’incontro del 31 ottobre “aiuti a guardare al futuro in modo tale da essere testimoni di Gesù Cristo e del Suo Vangelo” nel mondo secolarizzato di oggi.

La commemorazione ecumenica congiunta, spiega ancora il comunicato, si inquadra nel processo di ricezione del documento del 2013 “From Conflict to Communion - Dal conflitto alla comunione”, il “primo tentativo” delle comunità luterane e cattoliche di descrivere insieme, a livello internazionale, la storia della Riforma e delle sue intenzioni. La Preghiera Comune al centro della celebrazione si fonda in particolare sul documento “From Conflict to Communion: Lutheran-Catholic Common Commemoration of the Reformation in 2017 - Dal conflitto alla comunione: commemorazione comune luterano-cattolica della Riforma nel 2017” e presenta i temi del rendimento di grazie, del pentimento e dell’impegno alla testimonianza comune, “al fine - aggiunge il comunicato - di esprimere i doni della Riforma e chiedere perdono per le divisioni seguite alle dispute teologiche”.

Il 2017, si precisa infine, coinciderà anche con il 50.mo anniversario del dialogo internazionale luterano-cattolico, dal quale sono scaturiti rilevanti risultati ecumenici, come la “Joint Declaration on the Doctrine of Justification - Dichiarazione congiunta sulla Dottrina della Giustificazione”, firmata nel 1999, annullando “dispute antiche di secoli” sulle verità fondamentali della Dottrina della Giustificazione, che era al centro della Riforma del XVI secolo.

All’inizio della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani di quest’anno Papa Francesco, ricevendo la delegazione ecumenica della Chiesa Luterana di Finlandia, ha ricordato i risultati conseguiti nel dialogo tra luterani e cattolici, evidenziando come le differenze che “tuttora permangono nella dottrina e nella prassi” non devono scoraggiarci ma “spronarci a proseguire insieme il cammino verso una sempre maggiore unità, anche superando vecchie concezioni e reticenze”. Soprattutto in un mondo, come quello di oggi, “spesso lacerato dai conflitti e segnato da secolarismo e indifferenza”: per questo, ha aggiunto, “tutti uniti siamo chiamati ad impegnarci nel confessare Gesù Cristo, diventando sempre più testimoni credibili di unità e artefici di pace e di riconciliazione”. Perché in fondo la divisione è uno “scandalo”, aveva detto ancora il Pontefice visitando nel novembre scorso la chiesa evangelica luterana di Roma.


Mons. Farrel: rapporti sempre più fraterni tra cattolici e luterani

La Commemorazione ecumenica congiunta il prossimo 31 ottobre a Lund, in Svezia, dei 500 anni della Riforma, rappresenta un passo significativo nel cammino verso l’unità. Ascoltiamo, in proposito, il commento di mons. Brian Farrell, segretario del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, al microfono di Philippa Hitchen:

R. – Sono passati 500 anni dal periodo delle controversie tra cattolici e protestanti. E negli ultimi 50 anni si è vissuto in un clima diverso: non di rivalità, di opposizione ma nella ricerca dell’unità di tutti i cristiani. L’ecumenismo è servito per guardare le cose in modo più approfondito, cioè non da un punto di vista unilaterale, ma cercando di capire anche le ragioni dell’altra parte. Questo ha portato - dopo 50 anni di intenso dialogo teologico - ad un nuovo modo di vedere la Riforma.

D. – E’ un simbolo molto forte quello del Papa e dei capi del mondo luterano insieme per questo anniversario…

R. – Sì, è la prima volta che accadrà una cosa del genere. Tutte le altre celebrazioni della Riforma in passato sono stati momenti di conflitto, di trionfalismo da una parte o dall’altra. Questa volta cercheremo di commemorare insieme le cose giuste, buone, emerse da quei conflitti terribili con conseguenze di grandi violenze nella storia dell’Europa. Ma, in fondo, ci sono anche quegli impulsi positivi di riforma, di miglioramento della vita della Chiesa che oggi possiamo commemorare.

D. – Questo evento nasce dal dialogo paziente di 50 anni di dialogo tra teologi. Ma quanto, secondo lei, è anche il frutto della pressione di cattolici e luterani che già lavorano insieme, pregano insieme e vogliono vedere un segno più positivo del loro cammino insieme?

R. - È precisamente questo: due realtà insieme. È il dialogo della verità, cioè il chiarire le difficoltà teologiche, i motivi più profondi delle nostre divisioni, ma è anche il dialogo della vita, in cui cattolici e luterani vivono insieme in un clima più ecumenico, di mutua accettazione e fratellanza. C’è un grande impulso alla collaborazione. La gente nelle nostre Chiese locali spinge perché ci sia un superamento delle divisioni. E questa è una cosa magnifica.

D. – Il comunicato congiunto della Federazione luterana mondiale e del Pontificio Consiglio per l’Unità dei Cristiani parla anche dei “doni” della Riforma, che forse saranno difficili da comprendere per coloro che vedono in essa solo un periodo di conflitto e divisioni…

R. - Pensiamo all’inizio: che cosa voleva Lutero? Voleva che venissero corretti gli abusi che - dobbiamo accettarlo - erano presenti nella vita della Chiesa. Purtroppo le cose sono andate diversamente e c’è stata la divisone. Però quel cercare una Chiesa più santa, più vitale, più onesta è una spinta positiva che col tempo, attraverso il Concilio di Trento e poi nella vita degli ultimi secoli ed in particolare negli ultimi anni sotto l’impulso della grazia del Vaticano II, ha reso molti dei richiami di Lutero parte della vita della Chiesa.

Fonte Radio Vaticana Milla Lince Grassi


domenica 24 gennaio 2016

Prof. Carroggio: Papa propone “modello materno” di comunicazione



Costruire ponti, toccare i cuori delle persone, comunicare la verità con amore. Sono alcuni dei punti principali contenuti nel Messaggio di Papa Francesco per la 50.ma Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, pubblicato ieri. Sul documento, dedicato al tema “Comunicazione e Misericordia: un incontro fecondo”, Alessandro Gisotti ha intervistato ilprof. Marc Carroggio, docente di Comunicazione Istituzionale alla Pontificia Università della Santa Croce: 

R. – Penso che sia un Messaggio veramente illuminante sia per noi professionisti della comunicazione che anche per un cittadino qualsiasi, per qualsiasi persona. Perciò, prima di tutto, consiglierei di diffonderlo ampiamente, di leggerlo in famiglia e a scuola. Tocca tanti punti centrali della comunicazione umana, sociale, in un modo molto chiaro, profondo, diretto, e sul come comunicare creando ponti, favorendo l’unione fra tutti quanti noi che abitiamo su questo pianeta.

D. – In questo messaggio Francesco sottolinea l’importanza, soprattutto per un cristiano, di avere “cura delle parole”, perché le parole possono creare ponti, ma - se sono usate male - possono creare anche divisioni…

R. – Mi sembra una parte molto bella del messaggio: quella di scegliere le parole creando ponti con gli altri; scegliere ogni parola! Penso che uno dei temi essenziali anche del Messaggio sia proprio quello: mettere al centro della comunicazione la persona e non pensare soltanto che il messaggio sia più o meno perfetto. Certo, il messaggio è importante in ogni atto di comunicazione, ma poi l’essenziale è arrivare alla persona. I semiotici dicono: il vero atto di comunicazione è tale quando provoca un cambiamento, un miglioramento nell’altro. Allora si dice che l’atto comunicativo ha senso. Ricordo che dopo la prima Messa in Coena Domini che Papa Francesco ha celebrato - in un carcere giovanile - all’uscita, uno dei ragazzi cui Francesco aveva lavato i piedi disse: “E’ la prima volta in vita mia che mi sono sentito amato!”. Questo è un vero atto di comunicazione: quando al centro c’è soprattutto la persona! Io direi che il paradigma di questo Messaggio che Papa Francesco propone a tutti è un paradigma relazionale, che fa vedere soprattutto persone dall’altro lato della comunicazione. Potremmo anche dire un paradigma…. un po’ un modello materno di comunicazione, se si vuole, perché alla fine è la mamma, è la madre che non rompe mai il vincolo: il buon papà e la buona mamma non tagliano le comunicazioni, anche se magari ci sono problemi di relazione con i figli.

D. – Ad aprile, l’Università Santa Croce organizzerà il 10.mo seminario per i comunicatori della Chiesa sul tema della partecipazione e della condivisione nell’era digitale. Papa Francesco dedica la parte conclusiva del Messaggio per le comunicazioni proprio alla Rete e in particolare alle reti sociali, ai social network…

R. – Anche qui, colpisce il modo diretto di affrontare il tema con una visione molto positiva e che ci chiama tutti alla responsabilità. Mi sembra che ci siano tanti spunti in questo messaggio che ci permettono di fare una piccola guida per muoverci nei social. Primo: considera che l’accesso alle reti digitali comporta una responsabilità per l’altro, che anche se non vediamo è reale, ha la sua dignità che va rispettata; secondo: ogni parola usata nei social media dovrebbe poter esprimere la compassione, la tenerezza, il perdono di Dio per tutti e quindi impegnati a scegliere con cura le parole per superare le incomprensioni, guarire la memoria ferita e costruire pace e armonia; terzo: nei social media dedicati – dice il Papa – a far crescere la comunione e anche quando devi condannare con fermezza il male, cerca di non spezzare mai la relazione e la comunicazione; quarto: nei social possiamo e dobbiamo giudicare situazioni di peccato, di violenza, di corruzione e sfruttamento, ma non possiamo giudicare le persone, perché soltanto Dio può leggere in profondità nel loro cuore; quinto: nei social ascolta gli altri, perché ascoltare significa prestare attenzione, avere il desiderio di comprendere, di dare valore, di rispettare e custodire la parola altrui; sesto e ultimo: prima di postare un messaggio ricorda che – sono parole di Papa Francesco – la misericordia è capace di attivare un nuovo modo di parlare e di dialogare e non dimenticare che solo parole pronunciate con amore e accompagnate da mitezza e misericordia toccano i cuori di noi peccatori. Leggendo questo Messaggio, penso specialmente a noi educatori o ai sacerdoti: anche quando, a volte, uno è insultato, deve tendere a non rispondere con la stessa moneta e quindi non fare uso eccessivo dell’ironia. L’atteggiamento sacerdotale – penso che sia quello che ci sta chiedendo il Papa – sia quello di Cristo in Croce, con le mani aperte a tutti, a quelli di destra, di centro o di sinistra… Allora il Papa parla qui anche di un certo martirio del comunicatore cristiano, che non usa quelle armi che vengono usate contro di lui e che risponde, invece, con atteggiamenti di preghiera, di perdono, di verità, di carità in modo rispettoso.

Fonte Radio Vaticana 
Milla Lince Grassi Nota personale : Tengo molto all'argomento della comunicazione che ritengo fondamentale in questo momento storico così travagliato su ogni fronte sociale!






Ecco le soluzioni politiche internazionali per riportare a casa i Marò

Ecco le soluzioni politiche internazionali per riportare a casa i Marò
Con il continuo spostare le udienze da parte della Corte Suprema indiana concernente l’affare dei due fucilieri della Marina Militare Italiana, si assiste a varie reazioni di ogni genere. Credo, da esperto di diritto internazionale e dell’UE, che si può seguire una linea guida sulle possibilità che potrebbero essere utili ai nostri governanti, che da due anni non sono riusciti a risolvere quest’assurda disputa tra due Stati sovrani – l’Italia e l’India –, forse per ragioni di negligenza oppure di scarso interesse nel sostenere la nostra politica estera oppure ci sono questioni commerciali di mezzo tra il nostro Paese e quello indiano.
Partendo dalla prima possibilità, è possibile far restare i due marò, Salvatore Girone e Massimiliano Latorre, all’interno dei locali della sede diplomatica italiana, ubicata nella capitale indiana, Nuova Delhi, in modo che i due militari evitino di presentarsi al rendez-vous settimanale con le autorità di polizia per firmare sul registro, giacché le autorità indiane non hanno alcuna giurisdizione sulla questione e che solo il nostro Paese ha la piena titolarità ovvero la summa potestas (sovranità) sull’ambasciata. Facendo in questo modo, si finirebbe per creare un incidente diplomatico e non credo che le autorità di Nuova Delhi possano avere atteggiamenti come quelli avuti da parte delle autorità iraniane, quando occuparono l’ambasciata e la sezione consolare statunitense nel 1979, di invadere i locali della sede diplomatica italiana.
Si potrebbe giungere all’inasprimento dei rapporti amichevoli fra l’India e l’Italia e, quindi, alla concretizzazione della rottura delle relazioni diplomatiche, con la conseguenza di espellere l’intero corpo diplomatico italiano ad abbandonare il suolo indiano. Contrariamente, i due marò rimarrebbero all’interno dell’ambasciata sino alla soluzione della controversia.
La seconda possibilità consiste nell’attivare il c.d. arbitrato internazionale, strumento di soluzione pacifica delle controversie, che ha per oggetto il regolamento di liti fra Stati per opera di giudici di loro scelta e sulla base del rispetto del diritto e, in aggiunta, implica la volontà di assoggettarsi in buona fede alla pronuncia (Convenzione dell’Aia del 1907). Le condizioni per attuare tale arbitrato sono, in primis, l’esistenza di una disputa internazionale e, in secundis, la volontà di sottoporre la vicenda ad una istanza arbitrale. Quest’ultima può essere resa manifesta prima che della nascita della disputa attraverso una clausola compromissoria o altro mezzo ovvero nella speranza che i due soggetti di diritto internazionale – Italia e India – siano concordi.
Com’è ben noto, le autorità indiane vorrebbero applicare la Legge contro il terrorismo marittimo che contiene una clausola, la quale permette di deferire, a richiesta di parte, ciascuna disputa sull’applicazione oppure interpretazione ad arbitrato o alla Corte Internazionale di Giustizia. Il problema è che l’India, sebbene consentito dalla Convenzione, abbia apportato una riserva e che non è obbligata ad attenersi a tale clausola. Quindi, rimane l’iter procedurale arbitrale, presente nell’Annesso VII alla Convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto del Mare, del 1982, che è consentito applicare un via unilaterale. Solo che potrebbero manifestarsi alcuni intoppi, come, ad esempio, il fattore tempo, nel senso che, secondo la prassi, sono necessari circa quattro anni per giungere alla conclusione della procedura arbitrale. Sia ben chiaro che l’arbitrato internazionale potrebbe decidere sulla disputa fra India e Italia, il cui oggetto concerne l’esercizio della giurisdizione, ma non può sentenziare sull’eventuale responsabilità sul piano prettamente penale di Girone e Latorre.
Nelle memorie, l’arbitrato internazionale potrebbe, come mezzo temporaneo, disporre il rientro dei due fucilieri italiani in patria oppure affidarli a un terzo Stato. Dopo la confusione sulla licenza elettorale e la non eseguibilità dell’impegno a far rientrare nello Stato indiano il resto del gruppo dei marò, che si trovava a bordo della nave mercantile Enrica-Lexie, la vedo troppo arduo e non credibile.
In base alle motivazioni di merito, il lato saldo della difesa dell’Italia è rappresentato dall’immunità funzionale dei due organi militari e non dal fatto che l’incidente avvenuto nelle acque internazionali. L’arbitro internazionale, dovendo giudicare secondo la Convenzione di Montego Bay del 1982, potrebbe porre a un lato la problematica dell’immunità funzionale che, va menzionato, è una costruzione della dottrina internazionalistica, però non è oggetto di una convenzione internazionale ad hoc.
Chiaro che ci potrebbe essere l’opposizione delle autorità indiane, anche come tattica dilatoria, alla procedura dell’arbitrato, asserendo che non esiste una controversia internazionale e che le autorità italiane non si sono preoccupate di coltivarla, intervenendo nel processo dinanzi alle corti indiane.
La terza possibilità consiste nel difendersi nel processo e non da esso per far presente alle corti indiane che non può essere applicabile la norma antiterrorismo, e che l’India non ha giurisdizione e via discorrendo. Se dovesse essere emessa la condanna, e una volta che la sentenza sia divenuta definitiva, è possibile rendere in essere il Trattato Italia – India sul trasferimento delle persone condannate e chiedere che i marò siano trasferiti in Italia. Tale accordo è stato adottato con la legge n.183 dell’ottobre 2012, con cui il nostro Paese l’ha ratificato e data esecuzione. Tale trattato determina le condizioni per il trasferimento di un individuo condannato in uno dei due Stati per scontare la condanna ricevuta nell’altro Stato. Secondo l’accordo bilaterale italo – indiano, gli organi dello Stato ricevente sono tenuti a eseguire la condanna rispettando la natura e la durata della pena inflitta dalla sentenza dello Stato trasferente. Richiesta che, quindi, non è di automatica esecuzione ma resta soggetta a un accordo ad hoc tra i due Stati.
La quarta possibilità è di un’intensa iniziativa diplomatica, volta a un’efficace opera di supporto dei nostri alleati. È ben chiaro che la vicenda non deve essere impostata come una questione di diritti umani, ma di sovranità e difesa di chi è dedito alle missioni di contrasto alla pirateria. Qualcosa si è mosso in ambito Unione Europea e Nato, anche se con molto ritardo. Si sta valutando la strada di far intervenire il Segretario Generale delle Nazioni Unite, sebbene, ancora oggi, non abbia trovato il riscontro sperato.
La scelta della strada da perseguire è quella politica che dovrà essere messa di nuovo a fuoco dal governo italiano. Per rendere più concreta la propria azione presso le competenti istituzioni internazionali, le autorità italiane potrebbero, nel frattempo, presentare una convenzione internazionale che abbia come fine quella di disciplinare il personale armato (militari e contractor) imbarcati su navi mercantili a difesa degli attacchi compiuti da gruppi di pirati. Tale convenzione dovrebbe determinate che, dinanzi a incidenti in mare, la giurisdizione penale debba spettare unicamente allo Stato della bandiera su cui è imbarcato l’organo militare. La vicenda della nave mercantile italiana Enrica Lexie sarebbe considerata la migliore opportunità per una codificazione sul piano internazionale, come accadde nell’incidente dellaLotus – il Lotus, vapore battente bandiera francese, entrò in collisione con un vapore turco, il BozTurk, la notte del 2 agosto del 1926, provocandone l’affondamento e causando la morte di otto persone che non riuscirono a mettersi in salvo – per disciplinare favorevolmente allo Stato della bandiera l’urto tra navi e altri incidenti della navigazione.
Dott. Giuseppe Paccione
Esperto di Diritto Internazionale
Diritto dell’UE
Diritto diplomatico e consolare
fonte http://formiche.net/2014/02/21/soluzioni-giuridiche-internazionali-riportare-casa-i-due-maro/

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