giovedì 3 aprile 2014

IL SEQUESTRO DEI FUCILIERI DI MARINA LATORRE E GIRONE - UN RIEPILOGO DELLA VICENDA ( E VIDEO TGCOM 24 CON COMMENTI ALLA SOSPENSIONE DEL PROCESSO, E ALLE RAGIONI DELL'INNOCENZA)








Non ho l'illusione di riuscire ad evitare che sulla tragica vicenda che vede coinvolti Massimiliano e Salvatore continuino purtroppo a circolare sui media in generale - e sulla rete in particolare - ricostruzioni ed opinioni talvolta del tutto strumentali, altre volte solo fantasiose, talvolta del tutto fuorvianti, altre volte vere solo in parte, spesso perlopiù utili a questo o quel soggetto (o a chi per loro simpatizza) nel gioco infinito della politica e del rimpallo delle responsabilità.
Il mio dovere è comunque continuare a provarci.
E quindi oggi provo nuovamente a sintetizzare gli aspetti fondamentali di quello che, con convinzione, credo sia avvenuto da due anni a questa parte con la speranza di aiutare chiunque in questa vicenda voglia arrivare al più presto all'affermazione della verità.
Più persone avranno chiari i punti che di seguito mi accingo sinteticamente a riproporre più sarà veloce ed ineluttabile che giustizia e verità possano essere ristabilite.

1° Punto – Come si sono svolti gli eventi

Il 15 febbraio 2012 al largo delle coste del Kerala avvennero due diversi incidenti.
Nel primo incidente poco dopo le ore 16.00 un tentativo di abbordaggio della nave Enrica Lexie da parte di un'imbarcazione pirata venne respinto senza vittime grazie all'intervento di Latorre e Girone a 20.5 miglia dalla costa indiana.
Nel secondo incidente alle ore 21.20 il peschereccio St. Anthony rimase coinvolto nel tentativo di abbordaggio della nave Olympic Flair da parte di un'imbarcazione pirata all'interno delle 12 miglia delle acque territoriali indiani. Il St. Anthony rimase verosimilmente intrappolato nello scontro a fuoco tra il personale dell'Olympic Flair e la barca pirata in fuga con la conseguente morte di due pescatori.
Esistono innumerevoli elementi, già presentate nei mesi scorsi insieme a Toni Capuozzo e Luigi Di Stefano, a prova di tale ricostruzione degli eventi.
La nave Enrica Lexie ed il peschereccio St. Anthony non si sono mai incontrati.
Massimiliano Latorre e Salvatore Girone sono del tutto innocenti delle accuse a loro rivolte ed il loro sequestro che dura da oltre due anni ha quindi tutt'altre motivazioni. 





2° Punto – Chi c'è dietro al sequestrato di Latorre e Girone in India

Il primo ministro del Kerala, Chandy, ed il ministro della difesa indiano, Antony, nel Febbraio 2012 avevano tutto l'interesse politico a strumentalizzare la vicenda e questo interesse lo mantengono tutt'ora in quanto sul caso si giocano ormai i destini politici di entrambi.
Per questa ragione questi due potenti politici del Partito del Congresso di Sonia Gandhi per oltre due anni hanno costruito false prove, manipolato dati e boicottato ogni tentativo di soluzione della vicenda.
Sul piano investigativo hanno indotto i pescatori del St. Anthony a cambiare versione sugli eventi ed a testimoniare il falso, hanno spinto la Guardia Costiera indiana a ricostruire eventi mai accaduti e manipolare orari, hanno provato a nascondere o far sparire prove a discolpa come l'incidente dell'Olympic Flair e l'autopsia sul corpo dei pescatori morti.
Sul piano politico hanno orchestrato una campagna mediatica falsa e colpevolista sulla stampa indiana senza precedenti e hanno condizionato tanto il lavoro di polizia e magistratura quanto le scelte del governo centrale indiano.

3° Punto – L'Italia è colpevole di tante cose, ma Latorre e Girone non lo sono!

Gli errori dei vertici politici, militari e diplomatici italiani sono infiniti e Chandy, Antony ed i loro complici ne hanno tratto vantaggio fin dal primo momento. Per ricordarne alcuni:
- la nave Enrica Lexie non avrebbe potuto trovarsi nella zona economica esclusiva indiana con guardie armate senza autorizzazione,
- le regole di ingaggio tra marina militare ed armatore non erano definite,
- il nucleo anti-pirateria imbarcato sulla Lexie era sprovvisto delle dotazioni minime previste,
- il rientro nelle acque territoriali indiane è stato il risultato di superficialità ed incompetenza senza precedenti per non parlare poi della ancora più grave decisione di far scendere a terre Latorre e Girone,
- la scelta di salvaguardare prioritariamente e ad ogni costo gli interessi economici anche a scapito dell'accertamento della verità,
- le dichiarazioni colpevoliste di De Mistura,
- il cosiddetto rapporto Piroli che si è mosso sulla stessa linea,
- il pagamento fatto alle famiglie dei pescatori indiani,
- il silenziatore consigliato/imposto ai media italiani,
- e poi …. e poi …. e poi ….... potremmo continuare quasi all'infinito.

Un simile disastro nazionale in cui è affondata l'intera classe dirigente del Paese (quindi non solo quella politica) ha fatto sì che fin dall'inizio tutti coloro che avrebbero dovuto difendere Latorre e Girone, che in quanto militari hanno sempre e solo fatto conto sul personale e sull'azione di difesa a loro garantita dallo Stato italiano, abbiano in realtà purtroppo soprattutto cercato di difendere gli interessi dei 'potenti incompetenti' che non quelli degli innocenti Girone e Latorre.

4° Punto – Cosa si dovrebbe fare

Il governo Monti ha sbagliato tutto e si attende che magistratura e/o commissioni d'inchiesta facciano luce.
Il governa Letta, infilando la testa sotto la sabbia ed accettando fin dall'inizio come soluzione che l'India processasse i due marò italiani, ha, se possibile, peggiorato la situazione.
L'inviato De Mistura, che in questi 26 mesi ha assunto più 'ferme' posizioni di quante posizioni esistano nel Kamasutra (con l'Italia sempre in posizione 'ricevente') dovrebbe semplicemente essere rimosso per evitare ulteriori danni e ristabilire, se e per quanto possibile, una qualche credibilità italiana.
Il governo Renzi deve trovare il coraggio di sposare e rendere pubblica la verità per quanto difficile essa sia tanto per l'India che per l'Italia.
Le dichiarazioni dell'ultimo mese sull'internazionalizzazione della vicenda o sulla richiesta di arbitrato internazionale da avviare in modo unilaterale servono a prendere tempo ed a dare l'impressione all'opinione pubblica che si stia facendo qualcosa, ma, al punto in cui siamo arrivati, da sole non possono certo rappresentare, anche in prospettiva di lungo termine, la soluzione della vicenda.
La verità deve essere fatta conoscere alle opinioni pubbliche, quella indiana in primo luogo, fin qui tratte in inganno da giornali e televisioni asserviti al potere ed ai giochi politici. A scuola, studiando Socrate, si imparava che esiste un solo vero bene, la verità, ed un solo vero male, l'ignoranza.
Se il governo Renzi ha avuto affidabili rassicurazioni dall'India, che pure ha interesse a trovare una via d'uscita, che attraverso il ricorso in Corte Suprema si potrà arrivare ad un primo sblocco della vicenda nelle prossime settimane almeno con il rientro di Latorre e Girone in Italia come primo passo, posso anche chiudere gli occhi ed accettare l''ammuina' di questi giorni.
Ribadisco comunque quanto già scritto nei giorni scorsi. Fino a quando l'Italia non troverà le palle (non è necessario che siano d'acciaio) per affermare con forza L'INNOCENZA dei marò, senza più confonderla con altre questioni, per il rientro ci si affida sostanzialmente alla 'benevolenza' indiana con tutti gli ineludibili rischi connessi.
Quando (e se) l'Italia troverà invece finalmente la forza e la dignità per rivendicare L'INNOCENZA dei fucilieri il loro rientro sarà allora questione di pochissimo tempo.


Video tgcomm 24 :
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3 Aprile 2014 - Stefano Tronconi


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mercoledì 2 aprile 2014

India, al via le “più grandi elezioni” del mondo; ed i Marò sono motivo di scontro tra candidati


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Domanda: ma quando si tengono le tanto annunciate elezioni politiche 2014 in India? Domanda ovvia, alla quale è però praticamente impossibile rispondere. Perlomeno non con una singola data. Non perchè l’India non tenti di essere un Paese democratico e non cerchi di fare le cose per benino ed in modo corretto e trasparente, ricorrendo ad ogni accorgimento per limitare per quanto possibile frodi ed imbrogli elettorali. Ma mettiamoci nei loro panni : hanno il compito tremendo di portare al voto una moltitudine di elettori che supera quella di tutta l’Europa e gli Stati Uniti messi insieme. Tutto è da record in queste elezioni di primavera per i 543 deputati della Lok Sabha, la Camera del Popolo o Camera Bassa (si osservi che per governare 1300 milioni di persone si accontentano di 87 deputati in meno che in Italia, dove la popolazione è un ventiduesimo di quella dell’India!). Sono infatti 814 milioni gli aventi diritto al voto, 100 milioni in più di quelli fatti registrati nell’ultima tornata elettorale del 2009, distribuiti in circa un milione di sezioni elettorali. Per consentire un flusso ai seggi ordinato e regolare è stato stilato un calendario secondo il quale in varie date si recheranno al voto i cittadini di 28 stati e 7 territori, tra i quali quello dell’immensa aerea metropolitana di New Delhi. L’avvio delle votazioni si avrà il 7 di aprile, per poi proseguire con tornate a tappe previste per i giorni 9, 10, 12, 17, 24 e 30 di aprile, per poi chiudere il 7 ed il 12 di maggio. Lo spoglio dei voti, se tutto andrà secondo i piani, partirà il 15 maggio e l’esito elettorale dovrebbe essere ufficializzato il giorno dopo. Tra i criteri presi in considerazione per fissare tale calendario stato per stato, oltre a festività locali ed il profilo climatico delle varie regioni indiane, si sono considerate le tipicità delle attività lavorative, specie nel settore agricolo dove in alcuni stati i raccolti sono molto anticipati rispetto ad altri e già avviati.
Per la prima volta, sarà introdotto nel sistema elettorale indiano l’opzione “none of the above” (nessuno di quelli indicati sopra), l’equivalente di una scheda bianca con la quale si possono bocciare tutti i candidati elencati nelle liste dei partiti in competizione. Una misura che mira ad incentivare i partiti al ricorso a candidature pulite, cioè di personaggi non compromessi con la giustizia. La situazione attuale in India fa impallidire persino il PD nostrano. Stando ai dati pubblicati dall’Association for Democratic Reforms, oggi in India il 30% dei deputati della Lok Sabha, molti dei quali riproposti in lista, ha in corso procedimenti giudiziari per reati che spesso sfociano nel penale, e che vanno da corruzione e frode fino all’omicidio ed alla violenza sessuale. 


Secondo gli ultimi opinion polls, largamente in testa alle intenzioni di voto degli indiani c’è Narendra Modi, beneamato primo ministro dello stato del Gujarat e candidato del partito nazionalista indù Bjp (Bharatiya Janata Party). Come mostra la tabella aggiornata a ieri limitatamente ai più importanti Stati dell’India, la coalizione Nda (National Democratic Allinace) centrata sul Bjp si accaparrerebbe oltre il 52 % , 166 su 319, dei seggi dei grandi stati. Nonostante la cautela sia d’obbligo perchè nulla è più volatile dei sondaggi pre-elettorali in India, questa sembra la volta buona per l’opposizione di destra per smantellare il pluridecennale potere dell’Upa, il centrosinistra in cui domina l’Inc (Indian National Congress), il partito della dinastia Gandhi-Nehru della quale è storico oppositore. Modi per molti anni è stato un personaggio moltro controverso, uno di quelli che o si ama o si odia. Sessantatre anni, cresciuto all’ombra della formazione paramilitare ultra-induista “Rashtriya Swayamsevak Sangh”, nemico giurato degli islamici, Modi si è sempre rifatto ai principi dell’Hindutva, il nazionalismo indiano a matrice religiosa hindu, in contrapposizione al secolarismo dello stato laico peculiare dei governi di centrosinistra dei Gandhi-Nehru. Nel 2002, durante il suo primo mandato di governo in Gujarat, nello stato esplose la violenza inter-religiosa tra hindu e musulmani, figlia del mai sopito rancore islamico per la distruzione 10 anni prima della moschea Babri ad Ayodhya (Uttar Pradesh) da parte di gruppi estremisti hindu, si dice, ispirati da Modi. Quella locale guerra di religione produsse oltre mille vittime, quasi tutte di fede musulmana.
A 12 anni di distanza, Modi s’è ricostruito un’immagine di credibilità e su di lui puntano forte i mercati che chiedono l’attuazione di politiche d’impronta liberista e fortemente orientate allo sviluppo, come quelle che gli hanno permesso di ottenere nel Gujarat risultati che tutti gli indiani e gli investitori nazionali ed esteri sottoscriverebbero subito. Un dato per tutti : il Gujarat anche in tempi di crisi è continuato a crescere più del Paese e nei sei anni fino al 2012, il suo Pil è salito a tassi medi superiori al 10% e nel 2013 l’espansione è stata dell’8%, contro il 4,9% fatto registrare complessivamente dall’India. Valendosi della sua immagine di politico tutto orientato verso impresa, lavoro e mercato Modi ha condotto una campagna elettorale all’insegna di un programma a dir poco ambizioso: creazione di 250 milioni di posti di lavoro in dieci anni, nascita di 100 nuove smart city, investimenti infrastrutturali a pioggia, semplificazioni normative, taglio della burocrazia e sviluppo delle esportazioni e del commercio usando il motore di una accorta politica estera del Paese (quante volte, inascoltati, abbiamo battuto sull’importanza di questo tasto per risolvere il caso Marò?). Tutto sommato, però, i più si accontenterebbero che il leader del Bjp replicasse in tutta l’India quanto realizzato in Gujarat : strade asfaltate, collegamenti, ammodernamento dello Stato, erogazione di energia elettrica su base regolare evitando alle fabbriche ed alle imprese la necessità di costosissimi gruppi di continuità per sopperire ai frequenti black out. Rimedi efficaci per sostenere l’economia e lo sviluppo, consci che per reperire quei 12-20 milioni di nuovi posti di lavoro necessari ogni anno occorre uno sviluppo medio del Pil non inferiore al 6,5 %. Poi si chiede acqua per tutti e drastiche semplificazioni delle regole per gli investitori per attrarre capitali anche dall’estero. La sensazione è che Modi ce la farà a vincere, anche se non riuscirà a raggiungere i 247 seggi che gli consentirebbero di governare con un monocolore. Gli osservatori locali della politica ritengono che gli basteranno 200 seggi per governare, perchè a quel livello potrà facilmente tirare dentro alla maggioranza alcuni dei molti partiti di importanza regionale, che vedono nella sua leadership un modello da seguire.
L’avversario da batter per Modi è l’Inc (Indian National Congress), il partito fulcro della coalizione di centrosinistra Upa (United Progressive Alliance) che governa da tempo immemore, il partito feudo privato dei Gandhi, che punta tutto sul figlio Rahul dell’italiana Sonia Gandhi, che da 16 anni occupa la poltrona di presidente del partito. Gli ingredienti del programma dell’Inc sono il mantenimento della laicità dello Stato, aiuti alle fasce più indigenti della popolazione, unità nazionale contro le spinte centripete del separatismo, rilancio dello sviluppo. Insomma le solite cose che promettevano quando il Pil cresceva a doppia cifra, mentre ora arranca sotto il 5 %, che per un Paese emergente è un dato nefasto. Promesse completamente disattese negli ultimi otto anni, per colpa anche della recessione, ma soprattutto a causa degli scandali sempre più numerosi, del clientelismo eretto a sistema, della corruzione dilagante, degli sprechi (ma quante affinità con l’Italia) che i Gandhi pagheranno a carissimo prezzo in termini di consenso elettorale, perchè sul piano delle promesse, Modi è più credibile. Lui può esibire risulati concreti e l’affezione dei suoi amministrati, l’Inc solo fallimenti clamorosi.
Desta curiosità l’avventura elettorale del terzo incomodo, il fenomeno Aam Aadmi Party (Aap), il M5S indiano guidato da Arvind Kejriwal. Dopo l’exploit alle elezioni locali di New Delhi, in cui è risultato il secondo partito della capitale, l’Aap per la prima volta quest’anno si candida a livello nazionale, facendosi facile paladino di una lotta senza quartiere alla corruzione. L’obiettivo, per Kejriwal ed i suoi, è quello di confermarsi come terza forza politica nazionale, assumendo il ruolo privilegiato di ago della bilancia quando la ricerca di una maggioranza in parlamento dovrà per forza, secondo Aap, bussare alla porta del movimento anti-corruzione indiano. Da questo punto di vista, appare completamente diverso dal M5S, perchè si propone come partner di alleanze di governo, assumendosi quelle responsabilità che Grillo e Casaleggio invece rifiutano. Anche tra populisti c’è chi è meglio e chi è peggio del peggio.
In questi ultimi giorni di campagna elettorale al calor bianco, ogni argomento è buono per polemizzare o demonizzare gli avversari, tanto che i Marò sono stati involontari protagonisti di una rissa verbale a distanza tra Modi e Sonia Gandhi, immortalata da tutti i media indiani. E’ stata Sonia Gandhi, nata nel vicentino, cresciuta ad Orbassano, hinterland torinese dove il padre avviò un’azienda edile, naturalizzata indiana nel 1983, a lanciare la prima bomba verso Modi, quando nel corso di un comizio dell’Inc ha affermato che “ci sono alcuni che rullano i tamburi di un falso patriottismo, ma vogliono solo ingannare il popolo per arrivare al potere”. La replica di Modi non s’è fatta attendere e dall’Arunachal Pradesh dove era impegnato in una manifestazione elettorale le ha chiesto pubblicamente con pesante sarcasmo: “Signora Sonia, visto che lei mette in dubbio il nostro patriottismo, può per cortesia dirci in quale carcere sono detenuti i due suoi connazionali (i Marò, ndr)? Per favore, lasci perdere, non abbiamo bisogno di certificati di patriottismo rilasciati da lei. A proposito, chi ha aiutato ad uscire (in licenza, ndr) dal Paese i due militari italiani che avevano ucciso due nostri pescatori? Me lo dica, coraggio”.
Una sanguinosa e tormentosa polemica che la Sonia ha scatenato insensatamente, senza pensare che le si sarebbe comunque ritorta contro come poi puntualmente accaduto. Sarebbe bastato poco per rintuzzare il contrattacco di Modi, affermando che i Marò non sono ancora nemmeno stati accusati, per cui non dovrebbero neanche stare in India, se il diritto non è solo una parola priva di qualsiasi significato in quel Paese e nella mente di Modi. Ma si sarebbe data la zappa sui piedi, perché è proprio il governo incentrato sul suo partito, ed in particolare il ministro della Difesa A.K. Antony ad aver fatto della vicenda Marò un caso. Meglio per lei se non ne avesse parlato proprio.
Questo battibecco centrato sulla sorte dei Marò ha suscitato reazioni di sdegno in Italia. Il vice presidente del Senato, Maurizio Gasparri ha tuonato: “I nostri marò non possono essere oggetto dello scontro politico-elettorale in atto in India. Quanto dichiarato dal leader del partito nazionalista Modi è intollerabile ed evidenzia che Latorre e Girone sono ancora a New Delhi per ragioni di carattere politico”. Gasparri ha poi anche proposto che il presidente della Repubblica nomini i due Marò senatori a vita. 

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di Rosengarten 2 apr 2014

fonte: http://www.qelsi.it
 
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LA STRADA DIPLOMATICA PER RIPORTARE A CASA I DUE MARÒ



 Con la messa da parte dell’applicazione circa la legge antiterrorismo nei riguardi di Latorre e Girone, la Suprema Corte di Nuova Delhi ha ritenuto necessario accogliere il ricorso delle autorità italiane che doveva evitare che la National Investigation Agency, cioè a dire quel corpo di polizia che si occupa di contrastare il terrorismo, dovesse continuare le indagini e formulare le accuse ai due marò.
 È d’uopo porre in chiaro se il nostro Paese abbia intenzione di difendersi nel processo ovvero dal processo. A oggi, ha unicamente contestato la giurisdizione dell’India all’interno del processo, rendendosi presente con i due ragazzi pugliesi alle udienze, sostenendo di sovente la questione delle Istanze giudiziarie internazionali, senza ottenere alcun esito positivo.
 Nello stato attuale, le autorità italiane stanno valutando di puntare sull’internaziona-lizzazione della controversia. In primis, il rifiuto di non essere presente ai dibattimenti della Corte Suprema indiana o ad altra Istanza giudiziaria dell’India, perché ciò potrebbe indicare non solo ostacolare che Girone e Latorre si presentino in tribunale, ma pure ordinare che i due fucilieri della marina militare italiana non si presentino più alle autorità di polizia indiane per la consueta firma settimanale (come avevo già sottolineato in un mio precedente articolo, su questo sito).
 Tale punto potrebbe cagionare la revoca della libertà di movimento di cui godono i due militari italiani e, pertanto, restare chiusi all’interno dei locali della sede diplomatica italiana, considerati sicuri, dato che le autorità indiane non possono invaderne, come accadde nel 1979, quando un gruppo di studenti iraniani occupò l’ambasciata e la sezione consolare statunitense nella città di Teheran.
 Dubito fortemente che il governo di Nuova Delhi possa lasciare andar via i due ragazzi pugliesi alla volta del nostro Paese, sino a quando non venga a delinearsi tale questione, come spesso ha domandato l’Italia. Nel caso in cui l’India rifiuti di processarli, l’internazionalizzazione ha due vie come l’arbitrato internazionale o il negoziato di carattere diplomatico, da seguire nell’ambito multilaterale. Sia l’India, che l’Italia dovrebbe determinare a chi spetti la giurisdizione, senza entrare nel merito della questione, con l’evitare se i due marò siano in modo chiaro i responsabili dell’uccisione dei due pescatori indiani che si trovavano a bordo della piccola imbarcazione.
 L’arbitrato è quello stabilito dall’Annesso VII alla Convenzione di Montego Bay del 1982 sul diritto del mare, che potrebbe essere posto in moto dalle autorità di Roma attraverso un ricorso unilaterale. Contemporaneamente, l’Italia potrebbe presentare la domanda al Tribunale internazionale del diritto del mare (con sede ad Amburgo) una misura temporanea, volta al ritorno in patria dei due marò in attesa della decisione finale. Si menzioni che l’arbitrato internazionale o Tribunale arbitrale è composto da un collegio di 5 giudici, 2 dei quali sono dei due Stati in causa, cui spetta la nomina, i 3, invece, di altri Stati.


 L’Annesso VII dell’UNCLOS stabilisce un iter procedurale in caso d’impasse, ivi l’intervento del presidente del Tribunale del diritto del mare. Dato che l’appello è escluso, i due Stati in controversia potrebbero in modo preliminare inserirlo. La Corte permanente internazionale arbitrale (la sua sede è all’Aja) potrebbe mettere a disposizioni le proprie strutture.
 Com’è ben noto, le argomentazioni dell’Italia pongono in evidenza due linee: il fatto che l’incidente sia accaduto nelle acque internazionali e l’immunità funzionale dei due fucilieri della Marina Militare Italiana. La prima linea è molto fragile, perché si è alla presenza di un concorso di giurisdizione, sebbene i due pescatori morti avessero la cittadinanza indiana ed è speciosa l’argomentazione, secondo cui la giurisdizione spetti unicamente al nostro Paese.
Le argomentazioni italiane fanno essenzialmente perno su due punti: il fatto che la sparatoria sia avvenuta in alto mare e l’immunità funzionale dei due marò. La prima argomentazione è debole. Esiste un concorso di giurisdizione poiché le vittime sono di nazionalità indiana ed è speciosa l’argomentazione secondo cui la giurisdizione spetta esclusivamente all’Italia, come sarebbe avvenuto se si fosse trattato di collisione o altro incidente della navigazione.
 La seconda argomentazione si fonda sul fatto che i due fucilieri italiani, anche se erano a bordo su Enrica Lexie, nave commerciale battente bandiera italiana, hanno agito per una funzione di carattere pubblico e la loro azione va imputata direttamente allo Stato italiano che ne risponderà in base ai canoni della responsabilità internazionale. Il solo problema è che si tratta di una norma cogente o jus cogens, non scritta, e che la vicenda dell’immunità funzionale è ancora sotto la lente della Commissione del diritto internazionale dell’ONU.
 L’altro problema dell’arbitrato concerne il tempo, dove sino a oggi sono stati azionati iter procedurali arbitrali nell’ambito dell’UNCLOS, tanto è vero che gli arbitrati conclusi hanno avuto la durata di 3 anni; altri non sono ancora giunti alla loro conclusione, come ad esempio quello tra l’India e il Bangladesh del 2009.


 Un’altra strada diversa dall’arbitrato, pur rimanendo nell’ambito della internazionalizzazione e respingendo il processo indiano, è la negoziazione in un quadro multilaterale, facendo leva sugli Stati alleati e presentando la disputa nei fori multilaterali, a iniziare dall’ONU, sollecitando anche l’intervento del Segretario Generale. Oltre ad aver perseguito varie vie per la soluzione, è d’uopo abbandonare il processo indiano e una strategia di tipo tecnico-giuridico possa rappresentare un vero sostegno a favore del negoziato di genere politico e diplomatico. Ritengo, ad esempio, durante la discussione che si svolge ogni anno all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite sui lavori della Commissione del diritto internazionale, che vada affrontata il problema sull’immunità funzionale di cui sono investiti gli organi di uno Stato, impegnati in missioni che hanno come fine la lotta alla pirateria.
 L’idea che potrei suggerire alle nostre autorità è quella di dare vita a un accordo o convenzione internazionale sulla disciplina del personale militare che sale a bordo di navi commerciali/mercantili, in cui andrebbero incluse norme ad hoc a favore di soggetti che indossano una divisa e armati, in modo da rendere una volta per tutte il loro status, in virtù del diritto internazionale contemporaneo e renderlo rinvigorito e adattato.
 Ritengo, infine, che la soluzione diplomatica e il coinvolgimento della comunità internazionale sia la migliore soluzione rispetto all’arbitrato internazionale, giacché i tempi lunghi porterebbero a un risultato incognito. Si tenga presente che gli atti pirateschi non sono stati del tutto debellati, ma sono in diminuzione dal momento in cui è stata data la possibilità alle navi mercantili di avere personale armato a bordo. L’Italia deve far valere dell’immenso contributo che sta dando per contrastare il fenomeno della pirateria e che la comunità internazionale deve attivarsi per porre termine a quest’amara situazione che dura ormai da due anni.

  • Giuseppe Paccione
  • Esperto di Diritto Internazionale e dell’UE
  • Diritto diplomatico e consolare
  •  
  •  
  • fonte: http://scenarieconomici.it  
  •  

  • edoardo-medini.blogspot.com 

Per i fucilieri di marina meglio diplomazia che arbitrato





Caso Marò

Dopo aver escluso l’applicazione della legge antiterrorismo al caso dei due Marò, la Corte suprema indiana ha ammesso il ricorso italiano volto ad impedire che la polizia dell’antiterrorismo (Nia, National Investigation Agency) prosegua le indagini e formuli i capi di accusa.

La Corte suprema si è però riservata di udire le controparti e ha fissato una nuova udienza tra quattro settimane. Con il rischio che il periodo feriale prolunghi di nuovo una decisione sulla vicenda.

Ma non è questo il punto. Occorre finalmente chiarire se l’Italia voglia difendersi nel processo oppure dal processo. Finora ha contestato la giurisdizione indiana nel processo, presentandosi alle udienze insieme ai due fucilieri di marina e di tanto in tanto ha sollevato la questione nei fori internazionali, ma senza ottenere risultati rilevanti.

Ora si punta sull’internazionalizzazione della vicenda e addirittura si adombra qualche mossa “segreta”, che le autorità competenti non hanno voluto rivelare per evitare di fornire all’India la possibilità di preparare una contromossa!

Cosa vuol dire in concreto internazionalizzazione della vicenda?

Difendersi dal processo indiano.  In primo luogo, il rifiuto di presentarsi alle udienze di fronte alla Corte suprema o di fronte ad altro tribunale indiano. “Nessun processino”, ha dichiarato il rappresentante speciale del governo italiano. Mettersi su questa strada significa non solo impedire che i due fucilieri si presentino in tribunale, ma anche ordinare che essi non si presentino più alle autorità indiane per la firma settimanale.


Questo, ovviamente, potrebbe comportare la revoca della libertà di movimento di cui attualmente godono. I Marò, quindi, dovrebbero starsene chiusi nella nostra ambasciata, luogo sicuro, dal momento che gli indiani non oserebbero invaderne i locali come fecero gli iraniani nel 1979 nei confronti dei locali diplomatici degli Stati Uniti a Teheran.

Non credo, d’altro canto, che l’India acconsentirebbe all’invio dei due Marò in Italia in attesa che si definisca la vicenda, come ha chiesto a gran voce il nostro governo.

Una volta rifiutato il processo in India, l’internazionalizzazione ha davanti due strade: l’arbitrato internazionale o il negoziato diplomatico, da condurre in un quadro multilaterale. Ambedue dovrebbero stabilire a chi spetti la giurisdizione, senza entrare nel merito della vicenda, senza stabilire cioè se i due fucilieri siano effettivamente responsabili della morte dei pescatori indiani.



Arbitrato internazionale
L’arbitrato è quello previsto dall’Annesso VII alla Convenzione del diritto del mare. Omettendo i dettagli tecnici, esso potrebbe essere azionato dall’Italia mediante un ricorso unilaterale. Nello stesso tempo l’Italia potrebbe chiedere al Tribunale internazionale del diritto del mare (Amburgo) una misura provvisoria volta al ritorno in patria dei due marò in attesa della decisione finale.

Richiesta sul cui esito positivo sono da nutrire seri dubbi, ma vorremmo essere smentiti. Quanto al Tribunale arbitrale, si tratta di un collegio di cinque giudici, due dei quali possono avere la nazionalità delle parti, cui spetta la nomina; gli altri tre stranieri, tranne che si decida diversamente.

L’annesso prevede una procedura in caso di stallo, incluso l’intervento del Presidente del Tribunale del diritto del mare. L’appello è escluso, ma le parti potrebbero preliminarmente ammetterlo. La Corte permanente di arbitrato, con sede all’Aja, potrebbe fungere da ufficio di cancelleria e mettere a disposizione le proprie “facilities”, inclusi i locali.

Gli handicap dell’arbitrato sono due: il merito e i tempi della procedura.

Le argomentazioni italiane fanno essenzialmente perno su due punti: il fatto che la sparatoria sia avvenuta in alto mare e l’immunità funzionale dei due marò. La prima argomentazione è debole. Esiste un concorso di giurisdizione poiché le vittime sono di nazionalità indiana ed è speciosa l’argomentazione secondo cui la giurisdizione spetti esclusivamente all’Italia, come sarebbe avvenuto se si fosse trattato di collisione o altro incidente della navigazione.

La seconda argomentazione è invece quella più convincente. I due Marò, anche se imbarcati su nave commerciale, hanno agito per una funzione pubblica e i loro atti devono essere imputati allo stato italiano che, eventualmente, ne risponderà secondo canoni della responsabilità internazionale.

L’unico problema è che si tratta di norma consuetudinaria, quindi non scritta, e che la questione dell’immunità funzionale è attualmente allo studio della Commissione del diritto internazionale delle Nazione Unite.

Il secondo handicap dell’arbitrato riguarda il tempo. Finora sono stati azionati nove procedimenti arbitrali nel quadro della Convenzione sul diritto del mare. Gli arbitrati terminati hanno richiesto almeno tre anni di tempo. Altri non si sono ancora conclusi, come quello tra Bangladesh ed india, iniziato nel 2009.

È vero, peraltro, che, durante la procedura, le parti potrebbero continuare a negoziare e trovare una soluzione prima che si giunga a sentenza.

L’alternativa della diplomazia
L’alternativa all’arbitrato, sempre restando nel quadro dell’internazionalizzazione e rifiutando il processo indiano, è la negoziazione in un quadro multilaterale, facendo leva sugli alleati e presentando il caso nei fori multilaterali , a cominciare dalle Nazioni Unite, sollecitando anche l’intervento del Segretario generale.

Passi in questa direzione sono stati già fatti, ma occorre fare di più e, soprattutto, con costanza e coerenza, cioè abbandonando definitivamente il processo indiano. Strategie di natura tecnico-giuridica possono costituire un valido supporto al negoziato politico-diplomatico.

Ad esempio, in occasione del dibattito annuale in Assemblea Generale sui lavori della Commissione del diritto internazionale, occorre sollevare la questione dell’immunità funzionale degli organi dello stato impegnati in missione antipirateria, come i nostri marò.

L’Italia potrebbe inoltre farsi promotrice di una convenzione internazionale sulla disciplina del personale armato imbarcato sulle navi mercantili, dove dovrebbe essere inserite disposizioni ad hoc per il personale militare, volte a ribadire il loro status secondo il diritto internazionale attualmente in vigore. In materia esiste già un primo articolato, che potrebbe essere rinvigorito ed opportunamente adattato.

In conclusione, l’alternativa della soluzione diplomatica e della chiamata in causa della comunità internazionale sembra preferibile alla soluzione dell’arbitrato, a causa dei tempi lunghi che questo comporta e dell’alea del risultato finale.

La pirateria non è stata completamente sconfitta, ma gli attacchi pirateschi sono significativamente diminuiti da quando personale armato è stato imbarcato sui mercantili. L’Italia ha dato un contributo fondamentale alla lotta alla pirateria. Un merito da far valere al cospetto della comunità internazionale per porre fine ad una triste vicenda.

Natalino Ronzitti è professore emerito di Diritto internazionale (LUISS Guido Carli) e Consigliere scientifico dello IAI.
01.04.2014

fonte: http://www.affarinternazionali.it 
 
edoardo-medini.blogspot.com 

Marò, è arrivato il momento di agire



 



Un tempo le “telenovelas” che appassionavano le nostre mamme casalinghe venivano prodotte prevalentemente in America Latina. Oggi, invece, arrivano dall’India e non perché lì ci sia “bollywood”. Ma le “soap” col turbante non si limitano ad essere semplicemente goffe, sono anche amare. Quella a cui ci riferiamo sta andando in onda da Nuova Delhi e riguarda tristemente la sorte dei nostri fucilieri di marina, ancora sequestrati dalle autorità del luogo.
La soap racconta di un processo-farsa che non si tiene su neppure con gli spilli, ma che la “giustizia” indiana continua malevolmente a rimpallarsi. Una sceneggiata che, come ogni fiction che si rispetti, si allarga e cresce coinvolgendo nuovi attori e nuove location. Ieri i nostri ragazzi erano stati spinti, loro malgrado, a stare nella “tv del dolore”. I parenti delle “vittime” in lacrime, il popolo che invocava giustizia, la commozione diffusa per la sorte toccata a due “innocenti vittime” dell’arroganza e della violenza di due agenti di uno Stato “imperialista” occidentale. La cosa aveva tanto scosso le “anime belle” del pacifismo che pure in Italia qualche allocco c’era cascato. Si è passati poi alla “tv della denuncia” con il nostro Paese alla sbarra, per aver preteso, cosa assurda, la restituzione dei propri uomini. L’accusa di arroganza, allora, dai due imputati si è estesa all’intera nazione italiana che è anche la patria d’orgine di Sonia Gandhi, l’influente donna di potere che in India ha più detrattori che estimatori. La Gandhi, vedova dell’ex primo ministro Rajiv, è la presidente del Partito del Congresso Indiano, attualmente al governo. Ora siamo alla tv delle “telenovelas”, della farsa via satellite, dove un giudice ridicolo si diverte, con fare semiserio, a spedire i nostri marò avanti e indietro dall’aula del tribunale senza mai dire loro di cosa siano accusati. Sarebbe tutta da ridere se la cosa non coinvolgesse la vita di due onesti militari italiani colpevoli non si capisce più di cosa, ma detenuti sulla base di un pregiudizio.
In questi ultimi tempi la svolta al Governo del nostro Paese lasciava presagire importanti novità sul fronte della soluzione della vicenda. In parte bisogna riconoscere che il cambiamento di approccio si è prodotto. Oggi il governo italiano dice, senza mezzi termini, che la competenza a giudicare Latorre e Girone non è, e non potrebbe essere, indiana. Lo scorso 26 marzo, il commissario straordinario Staffan de Mistura, ascoltato dalle Commissioni Esteri e Difesa del Senato e della Camera, ha detto che è in corso un’iniziativa la quale produrrà effetti decisivi nel giro di un mese. Noi abbiamo sincronizzato gli orologi. Ora, ieri l’altro la Corte speciale si è riunita per decidere di non decidere e rinviare tutto a dopo le loro vacanze. Ci si rivedrà in aula il 31 luglio prossimo. Di lasciarli tornare in Italia non se ne parla. Anzi, giacché in India è in corso una dura campagna elettorale, i due marò sono diventati l’argomento preferito da tutte le parti in gioco per prendersi a pesci in faccia.
Domanda: è possibile tollerare oltre questa umiliante situazione? Non è forse giunto il momento che non il solo Governo ma l’intero Paese reagisca all’insulto? Con questo non intendiamo dire che si debba andare a cannoneggiare l’India, anche se una strapazzatina male non ci starebbe (direbbe Don Camillo imbracciando lo schioppo contro Peppone: “Signore! Sono pallini piccoli, non fanno male, sono per passerotti”). Intendiamo sostenere che sia il momento di tirare fuori i nostri ragazzi da quello schifo. Per farlo è necessario coinvolgere i nostri alleati europei che quando si è trattato di pretendere dall’Italia hanno preteso e hanno ottenuto tutto, e più di tutto. Per inciso, fra poco ci presenteranno il conto degli aiuti finanziari disposti per l’Ucraina. E noi? Invece di dire: andate a ramengo! Sulle note di una melodia intonata dalla splendida Fiorella Mannoia, “diremo ancora un altro: sì!”.


Allora come aiutare concretamente i nostri marò? In realtà, una strada possibile sarebbe quella indicata da tempo dai parlamentari di “Fratelli d’Italia”, se non fosse che odora di strumentalizzazione elettorale a un miglio di distanza. In pratica La Russa and friends hanno proposto di candidare i due militari al Parlamento Europeo. L’idea sarebbe buona, ma non è alla loro portata. È evidente che la propongono per farci su un po’ di voti. Negli ultimi giorni, però, l’autorevole presidente della IV Commissione Difesa della Camera dei deputati, Elio Vito (Forza Italia), si è interessato all’iniziativa. Il parlamentare, per dimostrare che faceva sul serio, ha preso carta e penna e ha scritto a Berlusconi e Renzi, nella loro qualità di capi dei rispettivi partiti. Vito ha chiesto ai due leader un gesto politico forte. Si attende risposta.
L’idea è cinica e fa leva sulla sciagura capitata ai due fucilieri. Tuttavia, se li si vuole tirare fuori qualcosa si dovrà pur fare, anche se questo qualcosa reca il sospetto dell’affare elettorale per coloro che gestiranno le candidature. Comunque, per essere la più corretta possibile, l’iniziativa dovrebbe funzionare così. Le due maggiori rappresentanze politiche di destra e di sinistra, in modo bipartisan, dovrebbero candidare i due ragazzi (uno per lista). L’eventuale elezione farebbe di loro due parlamentari europei. A questo punto l’azione per il rilascio immediato di due rapprentanti del popolo, coperti da immunità parlamentare, verrebbe esercitata direttamente dall’organismo europeo. L’India sarebbe posta nella sgradevolissima posizione di trattenere illegittimamente non più due militari italiani, a cui a suo tempo non ha riconosciuto l’immunità funzionale conseguente al ruolo svolto in missione per conto dello Stato italiano, ma due membri di un organo sovranazionale rappresentativo della volontà di alcune centinaia di milioni di europei.


Renzi sta giocando di sponda con la destra berlusconiana sulla questione delle riforme. Assomiglia ogni giorno di più a “Gigi er bullo”, con quel suo fare spavaldo ai limiti dell’insolenza. Tuttavia, pare stia riuscendo nel tentativo di rimuovere le incrostazioni posatesi nel tempo sui palazzi della politica. Dimostri adesso di avere uguale piglio nel trattare questioni che vadano un po’ oltre il perimetro del cortile di casa. Dal canto loro i partiti, che dicono di avere ancora il consenso degli italiani, si diano una mossa. Dimostrino coraggio offrendo due seggi ai nostri ragazzi. Lo facciano e non avranno da pentirsene. In questi anni gli italiani hanno consentito che approdasse nelle istituzioni un campionario di varia umanità. Vi pare che, dopo aver sopportato i più improbabili personaggi, quelli che quando parlano sono “brevi e circoncisi”, ora dovrebbero temere di sfigurare con Latorre e Girone? Con loro in Europa, l’Italia la faccia la riguadagna. Non la perde.

di Cristofaro Sola
02 aprile 2014ESTERI
 

LA VICENDA DEI MARÒ TRATTENUTI IN INDIA È DI RILEVANZA INTERNAZIONALE





La lezione del “caso India”
Due anni costellati di errori, debolezze, acquiescenze, da non ripetere in futuro

Sulla incredibile vicenda dei nostri due fanti di Marina trattenuti in India si è già scritto molto, ma vale la pena esaminare con attenzione tutte le problematiche sollevate, al fine di evitare in futuro il ripetersi di questa inconcepibile sagra degli errori e di chiamare personaggi e istituzioni alle loro responsabi- lità. Partiamo dunque dall’origine, dall’art. 5 del DL 12 luglio 2011, n. 107, che consente di imbarcare team armati a protezione di naviglio mercantile nazionale che interessi acque infestate dalla pirateria: un testo monco, che non definisce il rapporto tra il comandante della nave e il personale militare, quasi che questi fossero semplici passeggeri. Si tratta ovviamente di un punto chiave, non ancora chiarito, perché non sappiamo se i militari avrebbero potuto opporsi alla decisione del comandante della Enrica Lexie di entrare nel porto di Cochin, così come non sappiamo se ci sia stato un nulla osta da parte delle Autorità italiane a tale deviazione dalla rotta ed eventualmente chi abbia dato tale nulla osta. Manca in realtà una chiara regolamentazione che non risulta essere stata emanata, se non per linee interne, al fine di evitare future incomprensioni.


Un secondo aspetto su cui puntare l’attenzione riguarda la decisione di Massimiliano La Torre e Salvatore Girone di accettare di lasciare la nave: è stata una decisione volon- taria? Chi li ha indicati agli agenti di polizia del Kerala? Da chi sono stati consigliati? Non sono quesiti dettati solo dalla curiosità, per- ché hanno una rilevanza giuridica di ordine addirittura costituzionale: la suprema Corte, infatti, chiamata a pronunciarsi nel 1996 sul caso Venezia (cittadino italiano di cui era stata chiesta l’estradizione in Florida, perché accusato di omicidio), definì l’illegittimità della consegna di un indagato a un Paese dove vigesse per il reato contestato la pena di morte. Le domande di cui sopra possono dunque portare alla definizione di ben precise e gravi responsabilità giuridiche.
Veniamo poi alla reazione delle nostre autorità di governo, che nella fase iniziale non hanno immediatamente coinvolto le istitu- zioni internazionali (Unione Europea, Nazioni Unite, Nato) dando l’impressione di considerare la questione sotto un profilo bilaterale, I due marò Massimiliano Latorre e Salvatore Girone. Nella pagina seguente, la Enrica Le- xie in navigazione e ancora Latorre e Girone mentre il diritto del mare ha rilevanza per tutti i membri della comunità internazionale e con la sua azione l’India si è posta in contrasto con il resto del mondo; la situazione è stata quindi abilmente sfruttata dall’ineffabile Alto Rappresentante dell’UE, Catherine Ashon, che se ne è inizialmente lavata le mani, dichiarando che l’Unione non entrava nel merito di problemi bilaterali.
Mentre era palese fin dall’inizio che solo attivando pressioni (e minacciando pesanti con- tromisure) a livello internazionale sarebbe stato possibile ottenere un diverso comportamento da parte delle autorità di governo in- diane. Solo ora, a distanza di due anni, e per iniziativa non del nostro governo, ma del Commissario e Vice Presidente della Commissione Europea Antonio Tajani, si è iniziato ad agitare verso New Delhi lo spettro di un veto italiano alla conclusione dell’accordo commerciale tra India e UE (minaccia che può es-sere realmente efficace non solo verso l’India, ma anche verso quegli Stati membri dell’Unione tentati di girare la testa dall’altra parte). È chiaro che da un certo momento in poi l’Italia aveva le mani legate, ma, dopo qualche debole resistenza, è stato commesso l’errore fatale di accettare nei fatti la giurisdizione indiana, il che era da evitare accuratamente, almeno dal momento in cui i nostri si sono trovati al sicuro all’interno della nostra Ambasciata (che come noto, gode della prerogativa di extraterritorialità).


E non si tratta di un aspetto tattico, ma di una questione di principio irrinunciabile, come bene hanno fatto recentemente osservare sulla stampa il professor Ronzitti e la professoressa Del Vecchio: nessun Paese al mondo, India compresa, accetta di far giudicare all’estero propri agenti per fatti connessi all’esercizio delle proprie funzioni.
In campo iniziative deboli e contraddittorie Ancora qualche osservazione e quesito su decisioni ed eventi che si sono succeduti in questo lunghissimo periodo: perché il nostro Ministro della Difesa pro tempore ha deciso di elargire una sorta di indennizzo alle famiglie dei due pescatori indiani deceduti nell’incidente? È francamente debole la giustificazione data che non si è trattato di un’ammissione di colpa, ma di un gesto umanitario (forse che diamo un contributo a tutti i pescatori indiani vittime di incidenti?). Qualcuno era veramente convinto che, come avviene in Italia, tacitando la parte civile il tri- bunale fosse più clemente? Davvero si fatica a comprendere.
E ancora, perché si è supinamente ceduto quando, a fronte della decisione italiana comunque discutibile di non far rientrare i nostri in India al termine della ‘licenza’ in Italia, l’India ha minacciato di arrestare il nostro Ambasciatore? Era quello il momento di ‘vedere il bluff’ indiano: nessun Paese al mondo si può permettere di violare l’immunità diplomatica, se non estraniandosi dalla comunità internazionale, come ha fatto l’Iran di Komeini.
E le minacce, di cui si sussurra, contro gli interessi italiani in India: anche in questo caso un paese affamato di investimenti esteri non può dare di sé l’immagine di non rispettare criteri di correttezza economica e commerciale.
Peraltro c’era uno strumento giuridicamente ben più efficace di una decisione del go- verno di non riconsegnare i nostri: sarebbe bastato che qualche magistrato, aperto un fascicolo sui fatti, avesse trattenuto gli ‘in- dagati’, impedendone l’espatrio: di fronte alle inevitabili proteste avremmo potuto op- porre che, come da loro asserito per le istituzioni indiane, anche in Italia vige il principio dell’indipendenza assoluta della Magistratura e che di fronte ad una decisione di questa, il governo era impotente! Abbiamo invece preferito un atteggiamento accomodante, che si è rivelato disastroso.
E non si obietti che è facile dare giudizi ex post, perché queste cose sono state dette e scritte quando i fatti si verificavano.
Fare intervenire gli alleati internazionali Che fare ora? Purtroppo non c’è molto che si possa fare, se non pretendere dagli alleati, con molta più forza di quanto si sia fatto finora, non soltanto una solidarietà pura- mente formale, ma forti pressioni convergenti sul governo di New Delhi, le cui ambizioni po- litiche devono risultare fortemente compro- messe dal comportamento tenuto in tutta la vicenda. Sul piano bilaterale poi, il raffred- damento delle relazioni deve risultare evi- dente ed esibito in ogni circostanza, con conseguenze anche pratiche (politica dei vi- sti?). In tema di comportamenti inoltre, i nostri due militari non devono più lasciare l’Ambasciata, tanto meno presentarsi di fronte ai giudici, sia per evitare il rischio di essere arrestati, rischio contro il quale non ab- biamo nessuna garanzia, sia per dare piena evidenza che rifiutiamo la giurisdizione in- diana. Si potrebbe obiettare che così ri- schiamo di dover tenere in India i nostri per un periodo indeterminato, ma certo si evitano pericoli ben maggiori, sia per loro, sia per la dignità del Paese.

L’Associazione Nazionale Carabinieri esprime sentimenti di affettuosa vicinanza ai Marò Massimiliano Latorre e Salvatore Girone e la convinta solidarietà alla Marina Militare e all’Associazione Nazionale Marinai d’Italia.
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L’AUTORE
Vincenzo Camporini, Ge- nerale di Squadra Aerea in quiescenza, già Presi- dente del CASD – Centro Alti Studi della Difesa (20040-6), Capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica Militare (2006-08) e successivamente Capo di Sta- to Maggiore della Difesa (2008-11), dal 2011 è Vice Presidente dello IAI – Istituto Affari Internazionali di Roma. Studioso e accademico, ha trattato le più attuali te- matiche della politica internazionale, fra cui la dimensione politico-militare dell’Unione europea e lo sviluppo delle sue capacità di utilizzare lo strumento milita- re nel quadro delle relazioni esterne
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di Vincenzo Camporini

fonte: http://www.assocarabinieri.it/fiamme_argento/2014/gennaio/doc/Fiamme_argento_gen_feb.pdf

martedì 1 aprile 2014

Presidente Napolitano perchè non ha trattenuto i due Marò in Italia ?


La domanda che tutti i cittadini Italiani si sono fatti e che continuano a fare, solo le televisioni e i giornali Italiani non hanno avuto il coraggio di farla...











Chiediamo al Governo Italiano di risolvere rapidamente questo sequestro !

Rotterdam - Disinformazione democratica

    Rotterdam - Disinformazione democratica Nei giorni scorsi tutte le televisioni (ad iniziare dal TG di SKY) e i giornali (e non soltanto...