venerdì 7 settembre 2018

RICORDIAMO, FURONO I FRANCESI AD UCCIDERE ENRICO MATTEI





Nell’attuale  campagna di odio  lanciata  da Macron contro i nostri governanti, mi ha preoccupato questo titolo  su Dagospia, che riporta un articolo de Il eEssaggero:
TIM ACCUSA LA COMPAGNIA LOW COST FRANCESE, ARRIVATA IN ITALIA CON UN’OFFERTA ULTRA COMPETITIVA: “ILIAD VIOLA LE LEGGI ANTITERRORISMO”.
 SECONDO GENISH IL MECCANISMO DI ATTIVAZIONE DELLE SIM NON PREVEDE IL RICONOSCIMENTO DIRETTO DEL TITOLARE, CHE NON DEVE NECESSARIAMENTE COINCIDERE CON L’INTESTATARIO…

  1. Mar. per “il Messaggero    Il testo:
La questione sarebbe stata presa molto sul serio. Da qualche giorno sarebbero anche partite delle verifiche sul campo per controllare se, quanto denunciato da Tim, sia vero. La società guidata da Amos Genish ha acceso un faro sulle modalità di attivazione delle sim card di Iliad, la compagnia low cost francese che fa capo a Xavier Niel, da poco sbarcata in Italia.
Tim ha inviato nei giorni scorsi un’ istanza con la quale chiede al Dipartimento di Sicurezza del ministero dell’ Interno, alla Polizia Postale, alla Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo e alla Direzione generale per i servizi di comunicazione del ministero dello Sviluppo, se il meccanismo di attivazione, sia online che fisico, delle sim card di Iliad non violi le norme della legge Pisanu contro il terrorismo.
 Il punto, come emerge dalla denuncia di Tim, è che le norme prevedono un «riconoscimento diretto» di chi compra e attiva una sim card per il traffico telefonico. «Ogni impresa», spiega nella sua istanza Tim, «è tenuta a rendere disponibili, anche per via telematica, al centro di elaborazione dati del ministero dell’ interno, gli elenchi di tutti i propri abbonati e tutti gli acquirenti del traffico prepagato della telefonia mobile, che sono identificati prima dell’ acquisizione del servizio».
 Invece, nelle procedure messe in atto da Iliad, sostiene Tim, ci sarebbero diversi bug. La procedura online di acquisto della sim di Iliad, per esempio, prevede l’ inserimento dei dati in anagrafica, la registrazione di un videomessaggio e l’ upload di un documento, che però, sostiene Tim, sono asincroni e senza riconoscimento de visu.
Il controllo dei documenti verrebbe fatto da un consulente prima della spedizione della sim, ma non è necessario che il titolare della carta di credito coincida con l’ intestatario della nuova linea. La sim, poi, viene attivata direttamente dal cliente nell’ area self service della società telefonica.
IL PROCESSO
Secondo Tim la legge Pisanu antiterrorismo escluderebbe la possibilità per gli operatori di ricorrere a procedure totalmente automatizzate che prevedano l’ acquisizione dei dati anagrafici del cliente e l’ acquisizione della riproduzione del documento tramite modalità telematiche, o per corrispondenza, senza espletare nemmeno al momento della consegna della sim l’ attività di controllo dell’ identità del sottoscrittore.
La procedura di Tim per la vendita on line delle sim, prevede in diversi passaggi il riconoscimento diretto. È prevista una videochiamata con un operatore che verifica che il viso del cliente corrisponda a quello sul documento e, inoltre, la coincidenza dell’ intestazione della carta di pagamento.
La sim poi viene attivata dopo il riconoscimento con una videochiamata oppure effettuato direttamente dal postino che la consegna. Dubbi, la società guidata da Genish, li ha espressi anche sulla vendita delle sim card di Iliad tramite i cosiddetti «sim box», dei distributori automatici installati per adesso in alcuni centri commerciali ma che presto potrebbero sbarcare anche nelle stazioni.
In pratica, secondo il dossier messo a punto da Tim, per ottenere tramite queste sim box la scheda telefonica, basta inserire i dati anagrafici, registrare un videomessaggio e caricare il documento, due fasi che avvengono in maniera asincrona e senza riconoscimento de visu. La presenza dei commessi, denuncia Tim, è solo per l’ assistenza operativa senza nessuna consegna di documentazione di attivazione.
Anche in questo caso non sarebbe necessario che la carta di credito o il bancomat siano intestati al titolare della sim. Il processo di acquisto, denuncia insomma Tim, si perfeziona anche se il titolare della carta di credito, e quindi del conto corrente, è diverso dall’ intestatario della sim. La richiesta della società di Genish, in realtà, non è quella di bloccare le modalità di vendita di Iliad, ma semplicemente, se lecite, di consentirle anche agli altri operatori in modo da non falsare la concorrenza”.
Fin qui l’articolo.
Amos Genish,
israeliano, Amministratore Delegato e Direttore Generale di Telecom Italia.
Chi è Amos Genish? Israeliano anni 57, secondo  Haaretz,  è cresciuto con 11 fratelli in un quartiere di Netanya. Con la sua famiglia viveva in un piccolo appartamento e non aveva neppure un letto proprio. Ma a 14 anni gli fu permesso di studiare a Gerusalemme nella prestigiosa scuola Himmelfarb, la scuola dei ricchi. Ha combattuto anche come capitano nella prima guerra del Libano, consapevole che “per avere successo in seguito, dovevo essere ufficiale di un’unità di combattimento”. La favola bella del giovane povero ma selezionato misteriosamente per la scuola dei ricchi, capitano combattente, sembra confezionata come biografia di comodo di un asset del Mossad. Sicuramente il campo in cui opera,le telecom, è centrale negli interessi dei servizi sionisti, basta pensare alle  possibilità di intercettazione  e spionaggio. Prosegue la biografia:
“A Washington. Genish ha conosciuto, come papà di un compagno di scuola di uno dei suoi figli, Joshua Levinberg, imprenditore visionario ed ebreo come lui. Levinberg lancia l’idea di servire una parte dei 3 miliardi di persone che alla fine dello scorso millennio non avevano accesso alle telecom: l’idea era costruire una rete telefonica satellitare per raggiungere i luoghi più remoti del Sud America. Così nasce Gvt, il villaggio globale delle telecom”.
A Gvt fu assegnata la licenza ventennale per le linee fisse nelle zone centrale e meridionale del Brasile. Un’area abitata da 38 milioni di persone in nove Stati. Continua la  favola bella: “l segreto di Gvt è stato tutto nel fare scelte controcorrente: quando nel 2002 era quasi al collasso e piena di debiti, riuscì a negoziare con i creditori. E mentre Sprint, ITT, France Telecom e le altre abbandonavano il Brasile, gli imprenditori israeliti resistevano”.
Certo  sarà stato difficilissimo per un  ebreo farsi salvare da creditori ebrei. Il suo impero (“nelle giungle del Brasile”, dice l’agiografia) è  valutato 9 miliardi. In Italia è sbarcato con Bollorè.  Che lo mette ai vertici di Telecom (e di tutti gli ascolti e intercettazioni possibili) , con il beneplacito di Gentiloni, che, scrisse La Stampa, con Vivendi “ mette l’ infrastruttura telefonica del Paese nelle mani di un manager che non è né francese, né italiano”, e  “gestisce il dossier in prima persona”.
Viene ceduto così anche il controllo di Sparkle e Telsy.
Cosa sono? “Sparkle, con i suoi 560 mila chilometri di cavi  sottomarini, di cui 10.800 nel solo Mediterraneo – è un nodo strategico delle comunicazioni fra Continente europeo, sud ed est del mondo. Nel 2014 Le Monde raccontò – sulla base delle rivelazioni dell’ ex funzionario Edward Snowden – che la National Security Agency americana usò un programma per avere l’ accesso dei metadati che transitano dalle connessioni siciliane di Sparkle. …E’  un pezzo del sistema linfatico che collega il mondo intero e nel quale transitano dati di ogni tipo. Basti qui un esempio: “SeaMeWe3” – una delle infrastrutture più lunghe – conta 39mila chilometri e collega la Germania all’ Australia passando per Italia, Egitto, Indonesia, Cina e Taiwan. A Mazara del Vallo c’ è per l’ appunto il suo terminale “italiano”. Ecco perché l’ atto di ieri del comitato strategico – pur trattandosi di un pro forma – è anche l’ ennesimo e amichevole avvertimento al signor Bolloré: fidarsi è bene, non fidarsi è meglio.
Quanto alla Telsy, “un gioiellino dell’industria nazionale”, fornisce telefonini e altri apparati a prova d’intercettazione alle istituzioni, nazionali e internazionali. “Se il premier ha in tasca uno smartphone della Telsy, in teoria niente e nessuno può geolocalizzarlo, scoprendo dove si trovi. Ma Telsy aiuta anche le forze armate. Assicura, ad esempio, gli strumenti che permettono di individuare – sul territorio iracheno e in ogni altro “teatro operativo”- una pattuglia in ricognizione. E mezzi tra i più sofisticati sono garantiti alla Polizia di Stato, in tutte le missioni segrete contro mafiosi o trafficanti di droghe che richiedono comunicazioni inviolabili tra le centrali operative e gli agenti sul campo”.
Ecco cosa abbiamo messo in mano a un israeliano probabile agente del Mossad,  messo lì dai nostri amici francesi. Che possono sapere di ogni spostamento di un nostro ministro o primo ministro.

Nella nuova situazione,  diciamo non felicissima,  della  “amicizia  franco-italiana”, sarà il caso di ricordare che Enrico Mattei fu ucciso  su mandato del controspionaggi  francese per i suoi rapporti  con il Fronte di Liberazione Algerino, secondo lo stesso governo di Algeri. Il suo aereo precipito la  sera del 27 ottobre 1962. Era stato manomesso da militanti dell’OAS, come ha rievocato recentemente L’Antidiplomatico.
Sui rapporti fra Israele, il governo francese e il cosiddetto  “terrorismo islamico”  si possono scrivere volumi. I francesi gestiscono ed hanno gestito loro propri gruppi jihadisti, spesso rimpolpati da giovani islamici di nascita francese o belga (arruolati dai servizi francesi per combattere in Siria), qualche volta in proprio e qualche volta in collaborazione con la Cia e con gli israeliani. Certi eventi (da Charlie Hebdo alla uccisione dei due agenti del Mossad nel museo ebraico di Bruxelles il 24 maggio 2014 da un killer professionale, Mehdi Nemmouche)  sono da leggere come  vendette e contro-vendette fra servizi.
E’ noto che Laurent Fabius, allora ministro degli esteri, ricevendo una delegazione il 28 gennaio 2013, si lasciò sfuggire che Al Nusrah (Al Qaeda)  “sul terreno fa un buon lavoro” (un bon boulot). Frase che poi si è cercato di far passare come una “fake news” della Rete da parte dei “décodeurs”, un gruppo di giornalisti di Le Monde  incaricatisi di sfatare le supposte bufale, esattamente come la task-force scelta dalla UE al medesimo scopo (censura su Internet) di cui è stato chiamato a far parte il notorio Gianni Riotta, gran produttore di fake in proprio.
Sul  mistero del  mega-attentato “islamico”  del Bataclàn, 13 novembre 2015, ho già a suo tempo riportato come la prima foto ripresa all’interno del Bataclàn pochi minuti dopo la strage, e subito censurata perché perché mostrava l’orribile scena di decine di corpi smembrati, fosse diffusa sul web da  “IsraelHatzola”  una organizzazione  sionista di pronto soccorso con ambulanze e volontari, con sede ad Israele (che i facevano lì  a Parigi? Dentro la balera?)  è praticamente la stessa cosa di United Hatzolah, una ONG israeliana di paramedici che collabora con l’esercito di Israele.
La prima foto all’interno del Bataclàn fu diffusa da IsraeHatzolah, un servizio di ambulanze di pronto soccorso che non doveva essere lì.
I cadaveri  del Bataclan erano orribilmente mutilati; alcuni erano stato torturati,  ad altri strappati i testicoli.  L’indomani dell’attentato, il procuratore di Parigi Francois Molins ha annullato i due terzi delle  autopsie medico-legali; i Molins è noto come simpatizzante sionista. Diverse famiglie delle vittime hanno fatto causa  contro ignoti per mancato soccorso durante l’attentato. C’erano lì vicino otto militari della operazione Sentinelle (pattugliamento delle strade) che non intervennero, su ordine di qualcuno, non identificato, che comunicò loro il comando dalla prefettura di polizia di Parigi. Il prefetto era, dall’estate, Michel Cadot, che partecipa agli anniversari di Israele.  Il Canard Enchainé, il 9 novembre 2016,  lo ha accusato  di aver ostacolato l’intervento rapido della Gendarmerie per mantenere il controllo dell’operazione coi suoi poliziotti.
Nello steso pomeriggio, poche ore prima della strage, il ministro dell’interno Bernard Cazeneuve disse al suddetto prefetto: “Temo un attentato con 130 morti”.  Il numero dei morti risultò essere proprio 130.
La strana “intuizione”  o anticipazione di Cazeneuve è stata confermata dall’inviato speciale  (grand reporter) di Le Point, François Malye, in una trasmissione rievocativa, l’anno seguente, su France 5.

Insomma i governi francesi hanno molto da nascondere e sono capaci di gestire terroristi. Ricordiamolo, se all’improvvso dovessero avvenire anche in Italia attentati dell’ISIS, magari per fare la pelle ad un nostro ministro.
fonte https://www.maurizioblondet.it/ricordiamo-furono-i-francesi-ad-uccidere-enrico-mattei/

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