Uno studio dall'Università di Southampton che ha effettuato test per quattro anni su 2060 pazienti che hanno subito un arresto cardiaco afferma che c'è vita dopo la morte.
Ovviamente, sottolinea Giovanni D'Agata presidente dello “Sportello dei Diritti”, non in senso metafisico come intendono gli esperti, che sostengono che anche quando il cervello cessa di funzionare ed il corpo è clinicamente morto, la coscienza può continuare. Il 40% di coloro che sono sopravvissuti ad un arresto cardiaco evocano una sensazione strana di coscienza.
Il dottor Sam Parnia, che ha condotto lo studio ed è attualmente presso l'Università di New York, lo ha spiegato al Daily Mail: "i test effettuati sin qui suggeriscono che, nei primi minuti dopo la morte, la coscienza non è schiacciata. Non sappiamo se essa svanisce dopo, ma immediatamente dopo la morte, noi siamo ancora consapevoli.
Il cervello non si ferma quando il cuore cessa di battere".
Finora, è stato stimato che coloro che hanno segnalato esperienze di vita dopo la morte erano ritenute vittime "di allucinazioni".
Il 39% dei pazienti intervistati per lo studio si ricorda di essere consapevole di quello che gli è accaduto sino ad arrivare così a mantenere tutti i dettagli. Il 46% ha segnalato una sensazione di paura o persecuzione, il 9% ha sperimentato un'esperienza vicina alla morte e il 2% ha detto di essere pienamente consapevole e di ricordare, in qualche modo, di essere "uscito" dal proprio corpo.
Si ricordano con precisione cosa hanno visto e sentito dopo che il loro cuore si era fermato.
Il dottor Parnia ha così concluso: "la morte non è un momento specifico, ma un processo potenzialmente reversibile che si verifica dopo una grave malattia o un incidente ed il cuore, polmoni e cervello smettono di funzionare.
Molti tentativi sono stati fatti per invertire questo processo, chiamato 'arresto cardiaco'. Ma se non è possibile, noi lo chiamiamo morte".
Questo studio ha voluto indagare "obiettivamente" cosa succede dopo la morte. E senza essere in grado di dimostrare cosa sostengono i pazienti, ha rilevato ciò che è impossibile ripudiare.
La University of Washington che su BiorXiv hanno pubblicato lo studio intitolato “Accurate Predictions of Postmortem Interval Using Linear Regression Analyses of Gene Meter Expression Data” attraverso il quale ci spiegano come siano giunti alla loro conclusione.
I geni che “prendevano vita” erano quelli coinvolti in alcuni compiti specifici per il corpo, come stimolare l'infiammazione, attivare il sistema immunitario o contrastare lo stress. Ma non solo. Ciò che ha lasciato a bocca aperta i ricercatori è stata l'attivazione di alcuni geni fondamentali per lo sviluppo e la formazione dell'embrione che, durante il corso della vita, restano latenti. Altri geni coinvolti sono stati quelli considerati “promotori” dello sviluppo del cancro. Proprio quest'ultimo aspetto potrebbe spiegare come mai le persone che ricevono il trapianto da una persona appena deceduta siano più a rischio tumori.
A cosa serve questo studio? Quanto scoperto permetterà a livello forense di identificare meglio l'esatto momento della morte e a livello scientifico di migliorare le procedure per i trapianti di organi. E, come dice lo stesso autore Noble, “questo studio dimostra che è possibile avere più informazioni sulla vita studiando la morte”.
Fonte : FanPage / Sportello dei Diritti
Marilina Lince Grassi
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