Ordine o dis...ordine?
In questo paese può succedere di tutto, anche che qualcuno
all’improvviso si svegli e si ricordi di applicare una legge vecchia di 50 anni
mai applicata fino ad ora. Succede così, con una semplice lettera raccomandata,
che una intera generazione di sfortunati giornalisti che non ha avuto più la possibilità
o l’opportunità, e non la voglia, di lavorare onestamente e regolarmente con
contributi e stipendio, si ritrovi ad essere estromessa dall’Ordine
professionale. Già, perché l’articolo 41
della legge n. 69 del 1963, recita testualmente: “È
disposta la cancellazione dagli elenchi dei professionisti o dei pubblicisti
dopo due anni di inattività professionale. Tale termine è elevato a tre anni
per il giornalista che abbia almeno dieci anni di iscrizione. Nel calcolo dei
termini suindicati non si tiene conto del periodo di inattività dovuta
all'assunzione di cariche o di funzioni amministrative, politiche o
scientifiche o all’espletamento degli obblighi militari. Non si fa luogo alla
cancellazione per inattività professionale del giornalista che abbia almeno
quindici anni di iscrizione all'albo, salvo i casi di iscrizione in altro albo,
o di svolgimento di altra attività continuativa e lucrativa”.
Nulla da eccepire se la legge fosse
stata applicata con rigore ogni anno, provvedendo, in tal modo, alla revisione
costante dell’Albo. Ma le cose che non vanno sono tante. Perché solo ora l’Ordine
si è accorto di tutta questa gente che non fa più il giornalista, per vari
motivi? Perché si è deciso di esentare da questa scellerata scrematura, coloro
che hanno un’anzianità di iscrizione che supera i 15 anni? Perché la scelta di
questo limite temporale? Secondo quale criterio?
Molti dei giornalisti che rischiano la
cancellazione hanno avuto un iter piuttosto travagliato per ottenere il
“patentino”. Generalmente occorrono due anni di lavoro regolarmente retribuito,
ma c’è più di qualcuno che ha dovuto penare anche 5 – 6 anni per ottenerlo.
Perché, non è un mistero, è difficile trovare un editore disposto a versare
regolarmente i contributi previdenziali durante i due anni. Nell’ambiente giornalistico
il lavoro nero è prassi comune. Si fa leva sull’entusiasmo di chi vuole
intraprendere questo affascinante mestiere, si fa leva sulla passione che ci
spinge ad accettare anche orari di lavoro e situazioni che di umano hanno poco.
E si fa leva anche sulla mania di apparire piuttosto che dell’essere e del
saper fare, perché diciamolo, sono pochi che svolgono il faticoso lavoro come
andrebbe fatto, cercando le notizie, indagando, facendo quello che ormai sembra
essere scomparso: il giornalismo d’inchiesta.
E allora questa revisione dell’albo
stride un po’ troppo anche perché, nel frattempo, giornalisti che non lavorano
più da molto tempo, hanno continuato a versare la quota annuale di iscrizione.
La quota di 100 euro che puntualmente, ad ogni inizio d’anno, l’Ordine reclama.
Questa improvvisa manovra di revisione, è stata giustificata con l’applicazione
di una legge, anche se, vale la pena ribadirlo, prima d’ora non era mai
successo, ed in parte con l’arrampicata sugli specchi di voler arginare e
debellare il lavoro nero. Si ha l’impressione che in tutti questi anni l’Ordine
abbia avuto il “prosciutto sugli occhi” e non si è mai accorto che il lavoro
nero è quasi la normalità, almeno nelle piccole realtà locali, quelle che
servono ai futuri giornalisti per “farsi le ossa”. Nessuno ha mai osato
denunciare all’Ordine lo sfruttamento all’interno delle redazioni, il lavoro
malpagato o per nulla pagato e non si tratta di essere complici di un sistema
marcio, ma semplicemente di tenersi stretta quella piccola possibilità di avere
un futuro da giornalista. Chiunque avesse denunciato queste situazioni di
sfruttamento, sarebbe stato allontanato perché tanto dietro la porta ci sarebbe
stato qualcun altro pronto a sostituirlo.
Il problema allora non è il pubblicista
che non lavora più regolarmente, anzi quello semmai serve a riempire le casse
dell’Ordine con l’obolo annuale. È tutto
il sistema dell’Ordine professionale che va rivisitato. Sono gli editori che
non rispettano le regole che devono eventualmente essere colpiti. Con questa
revisione si colpisce invece l’anello più debole della catena. Quell’anello che
una volta uscito dal sistema, potrà rientrarci con estrema fatica, perché sarà
veramente difficile ritrovare un editore disposto a stipendiarti e a versare
regolarmente i contributi per due anni. Di questi tempi è davvero difficile….
Sarò per questo che dopo la lettera dello
scorso mese di febbraio nessuno dell’ambiente giornalistico ha ancora mosso un
dito e mi viene difficile pensare che ci sia rassegnazione, se così fosse le
possibilità sono due: o avete fatto i giornalisti per hobby e quindi la cosa
non vi tange o siete allineati con questa politica di tagliare risorse umane
indiscriminatamente.
Forse il tempo darà le risposte.
Nel frattempo lor signori cestinano la mia mail nella quale spiegavo perchè non posso dimostrare quello che chiedono....
Tiziana Piliego
Brava Tiziana
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