R. – Si tratta certamente di una agenda molto vasta. Con questo nuovo passaggio sicuramente si compie un salto di qualità, perché si parla di sviluppo sostenibile: quindi, per certi versi, rendere più completa questa cornice di obiettivi, ampliare queste ambizioni era un passaggio necessario per mettere insieme lotta alla povertà, lotta al cambiamento climatico e lotta alle ineguaglianze.
D. – Fermiamoci sui punti dell’agenda che si occupano della lotta alla povertà estrema e della garanzia per tutti del diritto al cibo. Sono obiettivi realizzabili? In che modo?
R. – Vorrei dire che si tratta di obiettivi alla portata della nostra comunità internazionale, del nostro sistema globale. Eliminare la povertà significa ridurre al minimo possibile la quantità di persone che vivono oggi con meno di un dollaro e 25 centesimi al giorno. Ricordiamoci che, in tema di accesso al cibo, il problema non è la quantità di cibo disponibile, che supera le esigenze dell’intera popolazione globale. Quindi, per come sono definiti questi obiettivi, si può essere ragionevolmente ottimisti. Veniamo, però, da una lunga serie di impegni non realizzati; veniamo ad esempio da una Conferenza per la finanza e per lo sviluppo, che si è svolta solo qualche settimana fa ad Addis Abeba e che non ha dato delle precise indicazioni su come mobilitare le risorse necessarie. Quindi, come spesso accade in queste circostanze, il 'punto interrogativo' è legittimo e fa parte del lavoro che organizzazioni come la nostra devono fare: cercare cioè di risolvere questo quesito in termini positivi.
D. – Pare sempre più evidente che gli obiettivi fissati dall’Onu non potranno essere raggiunti se lasciati alla responsabilità dei soli governi. Ma l’agenda riconosce l’importanza della società civile, dei movimenti popolari, fino ad arrivare al singolo cittadino?
R. – Sicuramente siamo in una fase dove – se guardiamo ai testi – sì, c’è questa importanza della società civile. Contestualmente, però, dobbiamo prendere atto che ci sono molti Paesi in cui lo spazio per la società civile, locale e internazionale, è uno spazio che viene ridotto e contestato. In questo caso si tratta di compiere un certosino lavoro di verifica. Sull’importanza attribuita al sistema multilaterale, poi, io vorrei aprire una riflessione: si vede molto spesso in questi anni, proprio sulle politiche di cooperazione e sviluppo, una ripresa della dimensione nazionale. Quindi l’attribuzione di un ruolo sempre maggiore delle Nazioni Unite poteva essere ulteriormente rafforzata in queste occasioni. Questa probabilmente è una delle eredità delle decisioni di queste settimane che dovranno essere ulteriormente approfondite.
D. – C’è chi ha commentato che la parola che sta alla base della nuova agenda mondiale è “solidarietà”: una parola molto utilizzata da Papa Francesco. Lei la ritrova?
R. - Assolutamente sì! Quello che vorrei segnalare, però, è che c’è una coesistenza di elementi. Si parla spesso di “nuovo partenariato globale per lo sviluppo sostenibile”: ma è sufficiente creare questa grande cornice, è sufficiente dire che tutti hanno un ruolo, che tutti hanno le proprie responsabilità o è necessario incominciare a precisare e verificare cosa ciascuno e cosa ogni attore deve fare? Questa idea poi che gli aiuti pubblici allo sviluppo non sono più sufficienti: le risorse necessarie per raggiungere i grandi obiettivi di sviluppo sono sicuramente grandi volumi e si parla di diversi migliaia di miliardi. L’aiuto pubblico allo sviluppo, così come lo abbiamo conosciuto, sono poche risorse… Però l’idea semplice è di attingere a risorse di altra natura: quindi il settore privato, quindi le rimesse, quindi la tassazione. Però, al di là dei buoni principi e al di là dei buoni intenti, non siamo ancora riusciti - come comunità internazionale - a capire come integrare queste risorse verso obiettivi di sviluppo sostenibile, perché non basta dire che le risorse sono disponibili, ma bisogna fare in modo che vengano indirizzate nella maniera migliore possibile.
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