Tanto per non scordare
Dopo le dimissioni del ministro degli Esteri Giulio Terzi, si è gridato al complotto politico. Ecco le carte segrete che smontano queste verità.
15 aprile 2013 - Un
thriller legale, politico, diplomatico e militare tra Italia e India: è il caso
che coinvolge i due marò italiani.Massimiliano Latorre e Salvatore
Girone sono di nuovo a Delhi dal 22 marzo, il 26 si è dimesso il ministro degli Esteri Giulio Terzi, in
polemica con il premier Mario Monti che ha deciso di rimandarli in India.
Restano, però, due domande importanti.
La prima: il governo indiano ha garantito o no di non applicare la pena di
morte se i due fucilieri di Marina fossero rientrati in India allo scadere del
permesso?
La seconda: l’annuncio, l’11 marzo, di non farli
ripartire dall’Italia è stato una fuga in avanti di Terzi o era condiviso dai
vertici della Farnesina? E cosa dire della decisione di segno opposto del
governo, 10 giorni dopo?
A questi
interrogativi è ora possibile rispondere grazie ai documenti riservati che
Panorama ha potuto leggere.
Alla prima domanda risponde il testo dell’accordo concluso, alle
15.45 del 21 marzo, fra l’allora sottosegretario Staffan De Mistura (nominato
inviato speciale da Monti all’insaputa diTerzi) e l’incaricato d’affari indiano
a Roma, Ravi Shankar. Quella mattina, e la sera precedente, mentre presiede il
Comitato interministeriale per la sicurezza (Cisr), Monti ha già deciso di
rispedire i marò in India. Ma vuole un minimo di garanzie. Il giorno dopo scade
il permesso «elettorale» (e l’ambasciatore italiano a Delhi, Daniele Mancini,
ha già di fatto perso l’immunità e adesso rischia l’arresto).
L’ambasciata
dell’India scrive nel documento che, nonostante i procedimenti in corso, il
governo indiano «è in condizione di confermare che: 1) i marò non saranno
passibili di arresto se torneranno alla scadenza stabilita dalla Corte suprema
e saranno soggetti di nuovo alle condizioni contenute nell’ordinanza emanata
dalla Corte il 18 gennaio 2013».
In
pratica, non saranno arrestati, ma risiederanno in ambasciata. La seconda (e
ultima) condizione in inglese suona così: «2) According to
well settled Indian jurisprudence this case wouldn’t fall in the category of
matters which attract the death penalty, that is to say the rarest of rare
cases. Therefore there need not be any apprehension in this regard».
Tradotto «Secondo una giurisprudenza indiana ampiamente consolidata, questo
caso non ricadrebbe nella categoria di fattispecie che comportano la pena di
morte, cioè i più rari tra i casi rari. Di conseguenza, non si deve avere
alcuna preoccupazione a questo riguardo ».
Così De Mistura
la sera parla di «assicurazioni scritte», mentre il giorno dopo il governo
indiano nega d’aver dato «garanzie», solo «chiarimenti».
Il caso
viene affidato alla National investigation agency (Nia), l’Fbi
indiana che indaga su terrorismo, traffico d’armi e spionaggio. In realtà, per
il reato di attentato alla sicurezza della navigazione è prevista, eccome, la
pena capitale, ma diversi
esponenti
del governo indiano proprio riferendosi all’intesa con l’Italia promettono di
onorare tutte le «assicurazioni date all’Italia».
Alla
seconda domanda risponde, invece,la lettera del 26 marzofirmata dal
segretario generale della Farnesina, Michele Valensise, e indirizzata a Terzi
che si sta preparando per l’informativa alla Camera. Non stupisca il tu: Terzi
è un collega, ex ambasciatore a Washington. Nella missiva Valensise registra il
«profondo disagio per gli sviluppi della vicenda dei marò» emerso in una
riunione con i direttori generali (Latorre e Girone sono appena tornati in
India). «La gestionedel caso, la sua improvvisa evoluzione di giovedì scorso,
le pesanti polemiche che ne sono seguite sono fonte di grande frustrazione per
l’amministrazione.
Già nella
giornata di giovedì, poi sabato e ancora ieri, ti avevo manifestato la
necessità e l’urgenza di un gesto deciso di chiarezza e di assunzione di
responsabilità a tutela della dignità tua e della Farnesina».
Dopo
avergli espresso a nome di tutti la «solidarietà personale», Valensise
riferisce al ministro l’opinione «unanime nel ritenere che l’odierno intervento
in Parlamento costituisca l’ultima occasione utile per dissociare pubblicamente
le responsabilità del ministro degli Esteri da quelle di coloro che, in questa
vicenda, hanno voluto sacrificare la linearità e la coerenza
dell’azione dell’Italia. L’offerta di dimissioni dall’incarico oggi sarebbe non
un’ammissione di colpa bensì un atto di coraggio e di forza». Poche ore dopo
Terzi si dimette. Anche, spiega, «per restituire onorabilità alla diplomazia
italiana».
Il 29
marzo l’ormai ex ministro cita l’esistenza della lettera a Quarto
grado (la trasmissione di Rete 4), senza svelare il testo, come prova del
«sostegno» ricevuto dai vertici del ministero che avrebbero «stigmatizzato il
cambio di rotta del governo». Di rimbalzo, fonti della Farnesina precisano alle
agenzie che lo scopo dell’invito alle dimissioni era, al contrario, quello «di
riallineare l’indirizzo del ministero alle direttive del governo, dopo che
l’esecutivo aveva sconfessato la linea tenuta da Terzi». Chiunque può giudicare
da sé.
I
malumori alla Farnesina in realtà duravano dalla nomina di Terzi come ministro,
anche perché sulla vicenda dei marò avrebbe «agito da solo».
L’11 marzo, poi, Valensise era in America e secondo
qualcuno non sarebbe stato neppure informato della decisione di non restituire
Latorre e Girone. Terzi obietta che il segretario generale era sempre in
contatto e la scelta del resto era maturata in settimane, se non mesi, di
lavoro, con tappe tutte preparate dai funzionari e coordinate con la presidenza
del Consiglio.
Lo
conferma De Mistura in una dichiarazione dell’11 marzo. Piuttosto, già in
occasione del primo permesso natalizio dei marò, Terzi in un appunto riservato
invitava Monti a valutare «l’opportunità, o meglio l’esigenza, di segnalare
formalmente alla Procura della Repubblica di Roma il ricorrere dellecondizioni
affinché la nostra giurisdizione sia effettivamente esercitata».
Un
intervento della magistratura avrebbe messo i marò nella «impossibilità
pratica» di rientrare in India. A questo proposito Terziricordava a Monti i casi
Calipari (le sezioni riunite della Cassazione hanno riconosciuto
l’esclusiva giurisdizione statunitense sul militare americano che aveva sparato
al nostro 007) e Baraldini(lo Stato italiano ha affermato la
propria competenza a stabilire le misure da adottare nei confronti di Silvia
Baraldini, seppure condannata in America).
Monti non diede seguito, a quanto pare.
Poi
arrivò la sentenza della Corte suprema indiana il 18 gennaio che non
riconosceva l’immunità funzionale a Latorre e Girone e imponeva la Corte
speciale.
Terzi
concorda a quel punto col suo omologo indiano, Salman Khurshid, un
nuovo permesso per i marò. È la vigilia delle elezioni e il premier Monti,
nonché candidato, non resiste alla tentazione di farsi fotografare con i due
«eroi» appena arrivati in Italia. Terzi intanto rimugina su come fare per non
restituirli. Mancini ha firmato l’affida vita «nei limiti delle garanzie
costituzionali».
E la Carta vieterebbe di «estradare» i militari italiani che hanno
diritto al giudice naturale in Italia e a non rischiare la pena capitale.
Memorabili
tra gli addetti ai lavori, a margine delle riunioni del Cisr, gli scontri fra
Terzi e il ministro per lo Sviluppo economico Corrado Passera, in nome di
affari per oltre 7 miliardi di
dollari e 483 imprese italiane che lavorano in India, e fra Terzi e il
ministro dell’Interno Anna Maria Cancellieri, per la quale è impensabile che
l’Italia non mantenga la parola data.
L’idea di
Terzi, il 21 marzo, è che le condizioni concordate da De Mistura
siano solo la base per un’ulteriore trattativa che porti alla garanzia assoluta
contro la pena di morte, alla restituzione dell’immunità all’ambasciatore e
all’assenso di Delhi all’arbitrato internazionale.
Terzi
chiede di escludere «dalla competenza della Corte fattispecie di reato, tra cui
l’omicidio volontario e il terrorismo, per le quali la normativa indiana
prevede la pena di morte».
Si studia pure l’ipotesi di trasferire i marò ad Abu Dhabi (negli
Emirati Arabi Uniti) e di tenerli lì fino alla conclusione del negoziato.
Se
necessario, anche oltre il 22
marzo.
Sappiamo
invece com’è andata. Nel pomeriggio del 21 il ministro della Difesa, Giampaolo
Di Paola, e il sottosegretario De Mistura vanno da Latorre e Girone (a Roma per
essere ascoltati in procura) e li convincono a tornare in India, la sera
stessa. Dritti a Delhi, non più ad Abu Dhabi. Pronti per l’Antiterrorismo e
per la Corte speciale.
(di Marco Ventura - Fonte)Qui si può trovare altri documenti ... o anche in questo blog dedicato ai due Fucilieri di Marina
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