R. – La cosa credo che sia interessante per un fatto: che, essendo un ciondolo, probabilmente appartenuto a una donna, un crocifisso veramente di pochissimi centimetri – 4 centimetri circa – questo, forse, ci apre a delle ipotesi di contatto con popolazioni circostanti. Del resto, sappiamo che i vichinghi si muovevano moltissimo, sia nei loro mari, ma poi anche conquistando pian piano le coste dell’Europa, giungendo fino nel Mediterraneo, più o meno un secolo dopo. Quindi, forse, nelle scorribande fatte magari in Inghilterra o forse in Irlanda o anche in territori più vicini, qualcuno è riuscito a entrare in contatto in maniera più profonda. Perché, è vero che erano più che altro rapporti fugaci: arrivavano, prendevano tutto il razziabile e poi si spostavano … Però, è anche evidente che è possibile che qualcuno abbia poi portato con sé qualcosa o qualche giovane cristiano è stato catturato, fatto schiavo, qualche monaco … adesso siamo proprio nella fantasia storica … Però, è chiaro che da lì possono essere nate delle cose.
D.– Quali sono le caratteristiche stilistiche del crocifisso?
R.– Il crocifisso ha caratteristiche stilistiche ben precise: è molto legato a una cultura celtica, quindi a un utilizzo di segni arcaici che non conservano segni che vengono dal cristianesimo maturo, europeo. Quindi è evidente che lì c’è un’elaborazione, una ri-elaborazione anche dal punto di vista antropologico-culturale molto interessante: questo credo che sia l’aspetto più interessante. Per esempio, a me dà l’impressione – guardando le immagini, le fotografie che sono state pubblicate all’inizio su Facebook e poi hanno invaso la rete – già di una elaborazione, di una inculturazione avviata, il che significa che se questo piccolo crocifisso è databile intorno all’anno Novecento, quindi spostandolo di 50, 65 anni prima, dalle Jelling Stones è chiaro che c’è una interpretazione del cristianesimo all’interno della cultura vichinga. E quindi è possibile anche che questo significhi che non è arrivato nel Novecento, ma che fosse già un frutto maturo di qualcosa. Quindi, potremmo addirittura spostare di 50 anni prima, o anche di 100 anni prima i contatti per un approccio di cristianizzazione. E questo potrebbe essere estremamente interessante, perché i segni che si vedono su questo piccolo gioiello sono proprio legati ad una tradizione celtica, con segni estremamente evidenti. Quindi, non c’è una “occidentalizzazione”: è proprio una “cristianizzazione”, un primo momento di “cristianizzazione” di una cultura, come quella vichinga, che è ben precisa.
D. – Quanto può essere precisa la datazione dei reperti?
R. – Bè, allora … qui, la prima regola è quella della comparazione: prima di ogni altra cosa è necessario comparare oggetti con altri oggetti. Ora, in questo caso noi ne abbiamo solo due; questo è già stato comparato con un oggetto più o meno dello stesso tipo di area svedese, e quindi in qualche modo è già stata fatta una relazione e quindi questo già dà una datazione. E poi, esiste tutta una serie di analisi che si possono fare, ma siccome la scoperta è di pochi giorni fa, immagini che da lì a breve interverranno anche l’utilizzo del carbonio 14, di varie altre parti; ma soprattutto l’utilizzo di un certo materiale dell’oreficeria che è legata a quel determinato periodo e quell’utilizzo, in modo particolare, di quegli elementi che qui sono evidentissimi, perché noi abbiamo semplicemente una filigrana, pallini, strisce e cerchietti che vengono composti in un certo modo. Quindi è evidente che l’esperto di questo tipo di monili sa più o meno ricostruire, datare esattamente ad un momento storico ben preciso. Sempre ed esclusivamente con la comparazione “stilistica”.
Fonte Radio Vaticana
Marilina Lince Grassi
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