Dopo la notizia di un nuovo rinvio al 14 ottobre del processo a Latorre e Girone presso il tribunale speciale di New Delhi per assenza del giudice, c’è stata la notizia dell’autorizzazione della Corte suprema indiana per il rinnovo delle garanzie bancarie legate alla libertà provvisoria dietro cauzione dei due fucilieri di Marina. I due titoli di garanzia, del valore ciascuno di 10 milioni di rupie (circa 122 mila euro), hanno validità di due anni, mentre la libertà su cauzione è a tempo indeterminato.
Il totale sborsato dai governi italiani
Questi quasi 250.000 euro si vanno ad assommare ai cinque milioni di dollari (circa 3,6 milioni di euro) già sborsati per la difesa dei marò, ovviamente prelevati dalle tasche del contribuente italiano. I fondi sono serviti a pagare le costose parcelle degli avvocati indiani che li rappresentano. In parte, poi, come anticipo del baronetto inglese Daniel Behtlehem ingaggiato per intraprendere la via dell’arbitrato internazionale. Ma anche per le cauzioni dei due “permessi” in cui i soldati italiani sono tornati in Patria (e da cui non sarebbero più dovuti muoversi) come, per fare un esempio, gli 800 mila euro posti tra le condizioni dall’Alta Corte del Kerala per il primo permesso natalizio del 2012.
L’assenza di risultati
Soldi comunque ben spesi se avessero portato al risultato del rientro di Latorre e Girone in Italia, ancora trattenuti in India da due anni e mezzo senza processo. Un esborso assurdo tenendo conto dei “non” risultati raggiunti fino ad ora. E non è tutto. Mukul Rohatgi, il principe del foro più costoso dell’India assoldato dall’Italia, il 28 maggio scorso è stato nominato procuratore generale del nuovo governo di Narendra Modi, il politico ultranazionalista che ha preso il posto di Sonia Gandhi e su cui erano puntati gli occhi degli osservatori internazionali per la risoluzione del caso. Oltre al danno, dunque, la beffa. Unico scarno successo degli avvocati indiani è stato quello di fare trasferire i marò dalla prigione del Kerala, dove sono rimasti per circa tre mesi, ai “domiciliari” a Delhi presso l’ambasciata italiana. Ma gli esosi legali erano stati pagati per far chiudere il caso, facendo riconoscere alla Corte suprema l’immunità funzionale dei nostri fucilieri di Marina. Invece, quest’ultima ha finora soltanto stabilito che l’incidente in cui sono morti i due pescatori indiani non è avvenuto nelle acque territoriali indiane ed il Kerala non aveva alcun diritto di indagare e processare i marò.
Gli ingaggi “celebri” e il nuovo “team”
Oltre all’avvocato e collezionista di auto già citato, Mukul Rohatgi, oggi promosso procuratore generale, altre cifre consistenti sono state corrisposte per l’anticipo chiesto dallo studio legale di Sir Behtlehem, che ha schierato tre avvocati sul caso. Il governo Renzi avrebbe poi coinvolto Mauro Politi, uno dei massimi esperti nazionali di diritto internazionale, Attila Tanzi dell’Università di Bologna, Ida Caracciolo, docente di Diritto del mare a Napoli, l’avvocato Paolo Busco impegnato all’ufficio legale della corte de L’Aya per l’arbitrato e, infine, Guglielmo Verdirame. Ma per ora da New Delhi tutto tace e si sa poco di questo “super team” di nove persone.
È stato un grave errore battere sulla giurisdizione indiana. Lo dicono da sempre gli esperti e non si capisce perché non siano stati ascoltati. L’Italia dovrebbe solo fare istanza al tribunale internazionale. Bisogna imboccare decisi la strada dell’arbitrato. Sono troppi 27 mesi di esborsi senza risultati. E fa sorridere in questo “contesto milionario” la richiesta dell’ambasciatore Mancini di 400 euro dalla Farnesina: i fili per stendere i panni dei fucilieri avrebbero rovinato la recinzione della sua residenza in India. Ma purtroppo c’è poco da ridere.
(di Carla Cace per Futuro Quotidiano)
(di Carla Cace per Futuro Quotidiano)
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