Sono ormai passati già quattro anni dal caso dell’Enrica Lexie che
ha causato un duro scontro diplomatico tra Italia e India, la cui
soluzione appare ancora lontana. La questione che ha coinvolto i due
fucilieri di marina Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, dopo anni
di polemiche a proposito del conclamato mancato rispetto del diritto
internazionale da parte indiana, su chi avesse la giurisdizione del caso
e sull’immunità funzionale dei due militari, è ora interamente gestita
dalla Corte permanente di arbitrato (CPA) dell’Aja.
Tuttavia, la sentenza non dovrebbe arrivare prima dell’agosto 2018,
quando saranno passati più di sei anni dall’incidente del 15 febbraio
2012, ammesso che lo stesso tribunale non decida di allungare
ulteriormente i tempi per la presentazione delle dichiarazioni delle due
parti in accordo con le stesse. Massimiliano Latorre resterà in Italia
almeno fino al 30 aprile 2016; bisognerà attendere poi il pronunciamento
della Corte Suprema indiana per un’eventuale proroga del permesso per i
motivi legati alle cure mediche che lo riguardano. Per quanto concerne
Salvatore Girone, il 30 e 31 marzo 2016 la Corte dell’Aja esaminerà la
richiesta italiana indirizzata al trasferimento del fuciliere
dall’ambasciata di New Delhi in cui risiede in Italia, dove potrebbe
attendere la sentenza definitiva.
Gli ultimi mesi, a parte le questioni
tecniche collegate all’arbitrato internazionale, non sono stati
caratterizzati da sviluppi di rilievo, salvo due questioni. La prima
risale al settembre 2015, quando emerse la notizia
secondo la quale, in base ai documenti relativi all’autopsia svolta sui
corpi dei due pescatori Ajesh Binki e Valentine Jelestine, i proiettili
che li hanno colpiti a morte non sarebbero in dotazione ai militari
italiani. Le pallottole estratte erano infatti più lunghe (31
millimetri) rispetto a quelle calibro «5.56X45» Nato in dotazione ai
fucilieri di marina (23 millimetri). Su richiesta italiana questa
questione è stata posta all’attenzione della Corte permanente dell’Aja,
anche se altre notizie non confermano questa versione.
All’inizio del febbraio 2016 è apparsa invece sulla stampa indiana una ricostruzione («The Telegraph» di Calcutta),
in maniera scontata poi smentita dal Ministero degli Esteri indiano, in
base alla quale New Delhi avrebbe offerto di lasciar liberi i due marò
in cambio di informazioni compromettenti che collegassero Sonia Gandhi
(Presidente del Congresso – oggi all’opposizione) o la sua famiglia alle
presunte tangenti pagate per la fornitura all’India, poi bloccata,
degli elicotteri Augusta/Westland. Questo accordo sarebbe stato
raccontato dall’ex agente commerciale Christian James Michel, che cita
questa vicenda in una lettera inoltrata alla Corte permanente di
arbitrato dell’Aja e al tribunale internazionale dell’ONU sul diritto
del mare.
L’intransigenza dell’India verso la questione dei due fucilieri di marina è collegata alla tradizionale visione della politica estera indiana in Asia meridionale, dove New Delhi si riserva il diritto di difendere i propri interessi mettendo in secondo piano il diritto internazionale.
A parte queste notizie e la necessaria
cautela, non ci sono altre fondamentali novità mentre l’attesa per i due
fucilieri rimane ancora lunga. Tuttavia, per quanto riguarda l’India e
considerato che sono passati ormai quattro anni dall’accaduto, è
possibile tracciare una breve analisi sull’operato del paese asiatico,
collegandolo, in una prospettiva storica, alla tradizionale visione
della politica estera di New Delhi nel periodo post-indipendenza in
particolare nel contesto regionale.
A livello storico non possiamo sapere
nulla di concreto sul caso marò, visto che ci vorranno diversi anni
prima di offrire, attraverso i documenti, una chiave di lettura
tendenzialmente obiettiva di una vicenda oggi con molti punti oscuri e
dai contorni sfumati. Malgrado questa considerazione, è possibile
comunque analizzare l’azione di New Delhi legandola alla storia recente
del subcontinente. Per quanto concerne possibili spiragli diplomatici,
nonostante ci siano nella stampa indiana voci contrarie
all’operato dei governi Singh e Modi coinvolti nel caso e più vicine
alle posizioni italiane, è altamente prevedibile che l’India manterrà
una linea risoluta anche nei prossimi mesi.
Nel corso della sua storia
post-indipendenza, New Delhi ha sempre infatti difeso, anche con la
forza, interessi considerati vitali per lo Stato in ambito regionale
promuovendo una politica di potenza. Tralasciando il caso dei rapporti
con il Pakistan, che porterebbero a considerazioni più complesse, basta
citare le operazioni militari all’indomani dell’indipendenza, come
quella che coinvolse lo Stato di Hyderabad nel 1948, l’occupazione di
Goa nel 1961 con il termine dell’Impero portoghese in India, oppure le
continue ingerenze nei confronti di Bangladesh, Maldive, Nepal e Sri
Lanka, sempre mal digerite da vicini più piccoli. Senza dimenticare il
programma nucleare, iniziato già negli anni Cinquanta, e il primo
esperiemento del 18 maggio 1974, nome in codice Smiling Buddha e primo test di uno Stato non presente all’interno del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.
Ovviamente l’Italia non ha posto una
minaccia militare concreta all’India perché il caso diplomatico deriva
da un incidente nell’ambito della cooperazione internazionale
indirizzata alla comune lotta contro la pirateria nell’Oceano Indiano.
La posizione dell’India e l’intransigenza del paese verso il caso sono
però spiegabili collegandole alla auto-percezione del proprio ruolo in
Asia meridionale, dove è avvenuto appunto l’incidente: sostanzialmente,
ciò che avviene in un’area d’interesse primario (subcontinente), acque
internazionali o meno, riguarda solo ed esclusivamente l’India. In
questo modo è comprensibile il motivo per cui, posta l’indipendenza del
potere giudiziario nel paese, in generale il potere politico non intenda
arretrare da posizioni che possono apparire ai nostri occhi risolute in
difesa dell’interesse nazionale, anche a discapito del diritto
internazionale. È certamente vero che sono morti due cittadini indiani,
ma questo fatto è posto in secondo piano nel tradizionale discorso
inteso a difendere l’interesse dello Stato in ambito regionale. Oltre a
ciò vi è da aggiungere che in un contesto più generale, come sosteneva
alcuni anni l’ex ambasciatore a New Delhi Antonio Armellini, la politica
estera dell’India «tradisce una visione dei propri interessi a livello
globale che sfiora l’arroganza (vecchio vizio, questo, duro a morire)»1.
L’auto-percezione dell’India è quella di avere fin dal 1947 una sorta
di missione globale, con riferimenti sia all’etica (Gandhi, Nehru, ecc.)
che alla politica di potenza (dominio del contesto regionale).
A maggior ragione e una prima lettura,
un governo come quello di Narendra Modi non appare indirizzato a una
linea morbida verso l’Italia perché è portatore di un immaginario
collettivo predisposto a incoraggiare, sia all’interno che all’esterno,
anche se spesso ciò è naturalmente molto enfatizzato, la visione di
un’India forte, autonoma, moderna e in ascesa. È un governo, come tanti
altri contemporanei in altre aree geografiche, basato sull’immagine
personalistica del leader, il quale deve apparire come il protagonista principale della politica estera indiana2.
Una prospettiva accondiscendente verso l’Italia sarebbe
controproducente per questo tipo di narrazione perché potrebbe essere
percepita come remissiva in una fase per giunta in cui Modi sta
attraversando altri problemi interni (basti citare i casi della rivolta studentesca in corso alla Jawaharlal Nehru University, o le rimostranze legate a questioni di casta, comunità Patel in Gujarat e Jat in Haryana).
Eppure, una via per rendere Modi più
“morbido” potrebbe essere collegata ai rapporti che l’India ha con Stati
Uniti ed Europa, e alla realpolitik. Al di là del diritto
internazionale, un problema per la posizione italiana è che i nostri
alleati (Stati Uniti, Francia, Germania e Gran Bretagna) stanno puntando
molto sulle proprie relazioni bilaterali con l’India e non sono
sostanzialmente interessati al caso-marò. Gli USA, che fin dall’inizio
considerarono il caso un problema esclusivamente italiano e indiano,
vorrebbero inserire l’India all’interno del MTCR (Missile Technology Control Regime). L’Italia ha però bloccato lo scorso ottobre 2015 l’ingresso di New Delhi nell’organizzazione. Nel corso dell’ultima visita in India nel gennaio 2015 in quanto ospite d’onore del Republic Day
indiano, il Presidente americano Obama si era espresso favorevolmente
all’ingresso dell’India in altri organismi di rilievo globale (Nuclear Supplier Group, Wassenaar Agreement, Australia Group),
dicendosi anche pronto a sostenere la candidatura di New Delhi quale
membro permanente del Consiglio di sicurezza dell’ONU. Supporto
confermato nell’aprile 2015,
che si aggiunge al sostegno anche della Gran Bretagna. La prossima
riunione per il MTCR sarà in primavera, Washington medierà tra Italia e
India?
Gli Stati Uniti sostengono l’India e il governo Modi in diversi organismi multilaterali. La decisione italiana di bloccare l’ingresso di New Delhi nel MTCR potrebbe portare a un interessamento di Washington nei confronti dello scontro diplomatico tra Italia e India.
Per quanto riguarda l’Europa, divisa nel
proprio approccio nei confronti dell’India poiché viene preferito dai
singoli Stati membri un approccio esclusivo con il paese asiatico
piuttosto che comunitario, in una recente risoluzione del Parlamento Europeo
a proposito dei cittadini dell’Unione detenuti in India e inviata a
governo, Parlamento e Stati membri della Federazione indiana c’è un
brevissimo riferimento alla pirateria internazionale e ai due fucilieri.
Tuttavia è molto poco per le aspettative italiane e probabilmente ciò è
stato fatto per non urtare la sensibilità dell’India, con la quale l’UE
è per giunta in trattative da diversi anni per finalizzare un Trattato
di libero scambio.
La risoluzione della questione sarà
dunque ancora molto lontana. In ogni caso, dall’intera vicenda sarà
importante per l’Italia comprendere, per i suoi futuri rapporti con
l’India, sia in momenti di positiva collaborazione, i quali hanno
contraddistinto la maggior parte della storia dei rapporti bilaterali
Roma-New Delhi, sia in fasi delicate e di aperta rottura diplomatica
come quella attuale, che è necessario abbandonare passate visioni
stereotipate in rapporto a questo Stato (paese del cosiddetto Terzo
mondo, dedito alla spirtualità e alla non-violenza, ecc.), considerando
invece una più ampia e complessa gamma di prospettive.
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