Relazione del perito Di Stefano
«Le pallottole che hanno ucciso i due pescatori indiani non passano per
le canne delle armi dei marò», loro due, Girone e Latorre, non hanno
mai sparato a nessuno: questo il punto chiave della relazione del perito
Luigi Di Stefano che l’altro giorno è stato chiamato dalla Commissione
Europea per le petizioni a illustrare i dati delle sue ricerche. Il
dibattito è breve, incredibilmente semplice rispetto ai 1.528 giorni,
oltre quattro anni, durante i quali si è trascinata, e si sta
trascinando, la vicenda. La presidente della Commissione Petizioni del
Parlamento europeo, la svedese Cecilia Wikstrom, ha brevemente
illustrato il punto 23 all’ordine del giorno, la petizione numero 2089
relativa «all’arresto e la detenzione di due marinai italiani in India».
L’autore della petizione «ha facoltà di parlare per cinque minuti».
E a Di Stefano quei cinque munuti sono stati sufficienti per demolire
quattro anni di ingiuste accuse, di interminabili udienze giudiziarie
indiane e infiniti rinvii. È tutto nelle carte consegnate al Tribunale
internazionale del Mare dagli stessi giudici indiani, spiega il perito
balistico. In quelle carte, come già raccontato da Il Tempo, ci sono, un
po’ maldestri, gli esami autoptici, le perizie sui proiettili, i
rilievi su quel peschereccio che, ricorda il tecnico, «dopo i rilievi di
rito, condotti con un normale metro, è stato restituito all’armatore
che lo ha lasciato affondare, così da rendere impossibile ogni ulteriore
esame».
«L’innocenza dei nostri marò - ha detto pacatamente Di Stefano era
nella consapevolezza delle autorità indiane sin dal secondo giorno dei
fatti, dal giorno in cui sono state eseguite le autopsie». L’audizione
nasce da una petizione dello stesso Di Stefano, presentata al Parlamento
Europeo nel 2014 e pone come momento di svolta la richiesta italiana di
arbitrato internazionale. Tutti i documenti relativi all’inchiesta
furono infatti tenuti segreti dalle autorità indiane, che hanno però
dovuto consegnare i fascicoli al tribunale di Amburgo. Da quelle parti
inchieste e processi hanno uno svolgimento diverso che in India e, come
ricorda Di Stefano «gli atti sono tutti pubblici». Per questo,
attraverso una semplice richiesta, chiunque può vedere i risultati degli
accertamenti fatti dagli inquirenti indiani e da questi giungere
all’inevitabile conclusione, aggiunge Di Stefano: «I marò sono
innocenti».
Da quei documenti emerge che nulla combacia: l’ora dell’incidente, lo
svolgimento dei fatti, il calibro dei proiettili. Curiosa anche la
«messa in scena» nel porto indiano di Kochi dove alla petroliera Enrica
Lexie, a bordo della quale erano i nostri marò, fu affiancato un
peschereccio simile a quello colpito dai proiettili di chissà chi, che
in realtà si trovava a 200 miglia di distanza. «Non credete a me - dice
Di Stefano - credete alle prove presentate dalle stesse autorità
indiane». E chiede alla Commissione «che siano nominati quattro esperti -
e precisa - non italiani. Che siano chiesti al Tribunale di Amburgo i
documenti indiani e sottoposti ad analisi».
Una rappresentante dell’Unione Europea ha ribadito la preoccupazione
per le tensioni che il caso marò ha suscitato e dal dibattito è emerso
anche l’imbarazzo dei politici di fronte ad una vicenda che dovrebbe
avere l’ovvia conclusione: il proscioglimento dei due militari che,
oltretutto, dovrebbero godere dell’immunità di chi partecipa alle
missioni internazionali di pace.
Alla seduta della commissione Petizioni del Parlamento europeo hanno
partecipato numerosi italiani: Mario Borghezio, esponente della Lega
Nord, Fabio Massimo Castaldo, dei Cinque Stelle, Andrea Cozzolino
(Socialisti & democratici), ma anche di altre nazioni, come Pál
Csáky, rappresentante della minoranza ungherese in Slovacchia,
incaricato dal Ppe di seguire il caso. L’esposizione di Di Stefano è
stata giudicata «estremamente convincente», ma il Parlamento Europeo non
ha modo di intervenire sulla Corte di Amburgo. Però, è intervenuta la
presidente Wikstrom, «possiamo rivolgerci alla delegazione per i
rapporti tra l’Ue e l’India e alle autorità e ai diplomatici indiani,
dedicando tutta la nostra attenzione al caso». La vicenda, per il
momento, è tutta nelle mani del Tribunale Internazionale che si dovrà
pronunciare nei prossimi giorni.
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