Sarà per esempio divertente (amaro divertimento, o se si preferisce amarezza divertita) sfogliare le cronache di questi giorni. Si apprende, leggendo una lettera inviata al “Corriere della Sera” (non, dunque, un qualcosa detta soprappensiero, sfuggita dal seno come la celebre “voce”), che una posata signora che ha la ventura di fare il ministro dello Sviluppo Economico ha una lecitissima relazione sentimentale con una persona che considera suo marito. Un legame, si immagina, di una certa concretezza, se è vero che con questa persona, il ministro ora non più ministro, ci ha fatto un figlio. È poi, quel considerarlo come marito, al di là del vincolo ufficiale…
Invece no. Passa qualche giorno e colui che si considera come marito si trova declassato: intanto non si è mai veramente convissuto. Non solo letti separati, anche appartamenti separati; ma anche quel figlio: sì, c’è, ma per le sue esigenze ci ha sempre e solo pensato la madre, e la di lei famiglia, che è decisamente ricca. E quel che si considerava “marito” qualche giorno prima diventa persona frequentata una volta la settimana, se non ogni quindici giorni. Ciò non impedisce comunque di informare questa persona che un certo emendamento che lo interessa e riguarda personalmente (interessi corposi, riguardano il petrolio) è stato inserito nella Legge di Stabilità varata dal Governo di cui l’oggi ex ministro fa parte; e questa comunicazione fa bella mostra in una intercettazione che viene ovviamente resa nota urbi et orbi. Non è la sola intercettazione: che l’ex ministro ad un certo punto ha una crisi di nervi, e rimprovera il “marito” di usarla, in altre occasioni sembra piangere; e insomma: senza addentrarci nei risvolti penali che possono esserci oppure no, per quel che riguarda il costume, c’è molto di che obiettare e restare perplessi. L’ex ministro, quand’era in carica, si trovava in evidente situazione, come s’usa dire, di “conflitto d’interessi”. Ed è grave, non c’è bisogno di dirlo. Ma ancor più grave se non si è resa conto di trovarsi in questa situazione e se non ha considerato e calcolato rischi e conseguenze di questo conflitto, destinato a venir fuori, prima o poi, inevitabilmente.
Ma ci sono anche altri “effetti collaterali”. Il Presidente del Consiglio rivendica la paternità politica dell’emendamento in questione; e il ministro che deve mantenere i Rapporti con il Parlamento fa sapere che comunque quell’emendamento è giusto, legittimo, e lo ripresenterebbe tale e quale; e anche lei, data la funzione che ricopre, ne rivendica diciamo così, la “maternità”, essendo donna. Nulla da eccepire. Ignorando completamente la polpa della questione, si prende per buono e per positivo il contenuto di quell’emendamento. Però: è da credere che il Presidente del Consiglio nulla sapesse di questo conflitto di interesse, e neppure il ministro per i Rapporti con il Parlamento. Se è una presunzione fallace, se cioè ne erano a conoscenza, la cosa è grave senza bisogno di spiegare perché. Ma se lo ignoravano, la gravità decuplica, e anche qui non c’è bisogno di spiegare perché. L’ignoranza non dovrebbe essere ammessa. Ma se l’ignoranza c’è, la colpa aumenta. A meno che non si voglia rispondere come Bill Clinton, scoppiato il caso della sua relazione con la stagista: “Mai fatto sesso, con Monica Lewinsky… Solo relazioni inappropriate”. Già, basta intendersi su cosa sia “fare sesso”.
C’è poi un corollario, che non è esattamente un qualcosa di secondario. Un signore che vive in Basilicata, un vero, autentico rompiscatole che si chiama Maurizio Bolognetti e che da anni da sempre denuncia le cose che emergono in questi giorni. È uno che ha la tessera radicale da decenni, da sempre Marco Pannella è il suo Mahatma. I vari potentati locali lo conoscono bene perché non c’è scempio ambientale e speculazione che non lo veda implacabile censore. A queste vicende Bolognetti ha dedicato anche un paio di libri: “La peste italiana. Il caso Basilicata. Dossier sui veleni industriali e politici che stanno uccidendo la Lucania” (del 2011, cinque anni fa!) e “Le mani nel petrolio. Basilicata coast to coast, ovvero da Zanardelli a Papaleo, passando per Sanremo e Tempa Rossa” (2013). Possibile che non una copia di questi due libri, in tutti questi anni, non sia finita sulla scrivania di nessun magistrato? Ma è pur vero che la giustizia italiana ha i suoi tempi, che notoriamente non sono esattamente veloci… Ma è comunque straordinaria (e non priva di significato) questa lunga, interminabile catena di “non so” in cui ad ogni passo ci si imbatte.
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