Il referendum si riferisce solo alle concessioni già esistenti, visto che entro le 12 miglia non sono autorizzate nuove attività di ricerca. Se passasse il Sì, le concessioni andrebbero a scadenza secondo i limiti di tempo previsti nei contratti. Chi chiede l’abolizione della norma nella Legge di Stabilità teme soprattutto l’inquinamento marino dovuto alle estrazioni. Dante Caserta, componente del Comitato per il Sì:
R. – Probabilmente, nel momento in cui dovesse verificarsi un incidente in un mare chiuso come il Mar Mediterraneo su cui si affacciano le coste italiane, sarebbe veramente una tragedia sia dal punto di vista ambientale ma anche dal punto di vista economico: ricordiamoci che moltissime attività – pensiamo al turismo e pensiamo alla pesca – si svolgono lungo le nostre coste e nei nostri mari. C’è da segnalare che anche le cosiddette “operazioni di routine”, quindi durante l’esercizio normale di questo tipo di attività, hanno una serie di problemi ambientali che sono stati peraltro documentati anche recentemente attraverso una serie di dossier da parte delle associazioni ambientaliste.
D. – Perché, secondo voi, non vanno rinnovate le concessioni a chi in questo momento sta estraendo idrocarburi dai mari italiani?
R. – Questo, secondo noi, è dannoso sia dal punto di vista del momento in cui ci troviamo, perché è assurdo concedere a un soggetto di poter utilizzare un bene di tutti per sempre; ma è anche grave perché non farà mai partire quel processo di rinnovamento e di uscita dalle fonti fossili che l’Italia si è impegnata a fare – insieme ad altri 180 Paesi – alla Cop 21 di Parigi.
D. – L’Italia è oggettivamente dipendente dalle fonti fossili: qui si tratta anche di mettere a punto una politica industriale energetica e senza le trivellazioni questo potrebbe cambiare, secondo lei?
R. – Le trivellazioni di cui stiamo parlando, cioè quelle che verrebbero interessate dagli esiti referendari, assicurano l’1 per cento del fabbisogno nazionale di petrolio e il 3 per cento del fabbisogno nazionale di gas. Quindi, sostanzialmente: nulla.
Sotto accusa anche le basse royalties, i diritti che le compagnie devono pagare all’Italia per estrarre il metano. Per molti, che chiedono agli italiani di votare Sì, bisognerebbe investire di più sulle fonti rinnovabili. Agostino Re Rebaudengo, presidente di Assorinnovabili:
R. – Il settore dell’industria delle energie rinnovabili ritiene che, dovendo scegliere se fare degli investimenti nella estrazione del petrolio o fare degli investimenti per sviluppare nuove tecnologie ed energie pulite, sia molto più intelligente per il nostro Paese sviluppare le energie pulite.
D. – Ma a oggi, secondo lei, con le fonti rinnovabili si possono sostituire i combustibili fossili?
R. – Solo la produzione in Italia del biometano, che da sette anni potremmo fare ma non facciamo perché mancano una serie di norme attuative, darebbe quattro volte la produzione di metano che attualmente generano i pozzi di cui si parla al referendum. Poi, invece, se parliamo dei consumi italiani, evidentemente le energie rinnovabili oggi soddisfano circa il 40 per cento della domanda dei consumi elettrici e molto meno di quanto riguarda il trasporto e il riscaldamento. Comunque, le fonti fossili saranno ancora importanti per molti anni. Ma quello che diciamo è che è importante oggi investire nello sviluppo delle fonti rinnovabili perché creano molto più lavoro e anche molto più lavoro qualificato, sono totalmente pulite e rendono anche l’Italia indipendente dalle forniture da Paesi come la Libia, l’Iran, l’Iraq, l’Ucraina che alla fine sono politicamente molto instabili, neanche troppo democratici.
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"No a paure infondate", il Comitato per l'astensione al referendum
Contro il referendum sulle piattaforme di domenica si è creato il Comitato "Ottimisti e razionali", che punta all'astensione. Vi fanno parte economisti e molti esperti di politiche energetiche. "Il progresso avanza solo con lo sviluppo - dicono - Siamo razionali perché vogliamo contrastare paure e allarmi ingiustificati. Alessandro Guarasci ha intervistato il presidente del Comitato.
R. – In Italia abbiamo 65 piattaforme. Tutte ci danno gas metano, quindi non petrolio. 59 di queste piattaforme si trovano in Romagna, vicino a Ravenna. Nei mari italiani ci sono piatteforme: alcune al largo delle Marche, una al largo dell’Abruzzo e due piattaforme offshore in Sicilia. Non ci sono trivellazioni, ricerche in corso da nessuna parte. La piattaforma offshore non inquina e non può inquinare.
D. - E questo perché? Eppure chi è favorevole al referendum dice che l’inquinamento c’è …
R. - Perché il ciclo è chiuso, il tubo dal quale viene fatto passare il gas è cementato. L’acqua sotto le piattaforme è pulita e la zona è diventata una zona di ripopolamento ittico.
D. - Dietro questo referendum che cosa vede?
R. - C’è un contrasto tra Stato e Regioni che, per vari motivi, non hanno raggiunto un’intesa su tutti i problemi di cui stavano discutendo in materia di politica energetica ed estrattiva. La situazione è precipitata nella decisione di promuovere un referendum che ha come oggetto, non le trivelle – anche se continuano a dire che lo sono - ma la durata delle concessioni per le piattaforme già esistenti che ci forniscono il gas metano e di cui abbiamo bisogno per i nostri usi. Questo è il punto. Quindi è un referendum che non solo non ha senso, ma è dannoso perché provoca un danno inutile al Paese.
D. - Lei ha parlato di danno: concretamente, qual è?
R. - Il ciclo di tutte le piattaforme italiane ha 11mila diretti e 20mila indiretti. Queste strutture ci forniscono da molti anni gas in una quantità significativa, importante. Sprecare il gas metano che a noi ha dato una mano straordinaria nella Val Padana ci sembra un delitto! È un’assurdità! Quindi il referendum è un strumento assolutamente improprio. Per questo noi diciamo alla gente: “Non andate a votare, fatelo fallire”, perché è un referendum che divide gli italiani su qualcosa su cui non ha senso dividersi.
Fonte Radio Vaticana -Marilina Lince Grassi
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