mercoledì 29 agosto 2018
Delrio, Renzi, Gentiloni, Benetton e i 43 morti di Genova
Vi ricordate quando Delrio si mise a urlare alla Camera dei Deputati durante la discussione per la fiducia al Governo Conte?
Si mise a urlare contro il Presidente Conte: ‘Piersanti si chiamava’, rimproverandolo perché, secondo lui, aveva mancato di rispetto sia al fratello defunto che al Presidente della Repubblica perché lo aveva chiamato ‘congiunto’ anziché col nome proprio.
C’è da vergognarsi a ricordarglielo, perché non si è fatto scrupolo di utilizzare un ricordo doloroso per il Presidente Mattarella e per il nostro Paese a fini di sterile e rabbiosa polemica politica.
Ma, per puri fini educativi, affinché apprenda bene la lezione ed eviti errori pacchiani del genere in futuro, potremo ricordargli i nomi delle 43 persone morte nel crollo del ponte di Genova, che per lui sì che sono anonimi senza volto.
Ieri Delrio, nella dichiarazione rilasciata a margine dell’audizione del Ministro delle Infrastrutture Danilo Toninelli alle Commissioni VIII di Aula e Senato, non ha avuto il tempo di ricordarli, di dedicare loro almeno una citazione di 30 secondi.
E né per le loro famiglie, colpite da quel terribile lutto.
Ha trovato solo il tempo per sterili e pretestuose polemiche politiche.
Ma il Governo Conte, come specifico dopo, non mancherà di richiamarlo alle sue responsabilità.
Forse che non si merita questo appunto, sicuramente molto severo, l’ex Ministro Delrio che durante la sua reggenza al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti non è stato capace di vigilare affinché Autostrade, cioè i Benetton, facessero la manutenzione della rete autostradale italiana in maniera adeguata – prima di tutto laddove era più urgente – in rispetto della stessa convenzione pur, sembrerebbe illegittimamente, secretata agli italiani ma sicuramente da lui conosciuta?
L’ex ministro Delrio ha ricoperto questo ruolo nei Governi Renzi e Gentiloni. Pertanto gli stessi ex Premier come minimo hanno una oggettiva responsabilità politica oltreché una culpa in vigilando.
Renzi giorni fa, contrariamente a quanto dichiarava ieri Delrio, non solo ha confermato la proroga di quattro anni della concessione ma è stato per lui anche motivo di vanto.
Intanto bisognerebbe accertare se è legittimo dal punto di vista del diritto amministrativo italiano, concedere una proroga senza gara.
Perché sia Delrio, che Renzi, Gentiloni e i Benetton sono soggetti alla legge italiana.
Ora il Ministro Toninelli e il Vice Presidente Di Maio li chiameranno a rendere conto del loro operato ai rispettivi giudici competenti.
fonte https://www.silenziefalsita.it/2018/08/28/delrio-renzi-gentiloni-benetton-e-i-43-morti-di-genova/
martedì 28 agosto 2018
Un mondo di migranti: la ricetta che piace alle organizzazioni internazionali.
di Ilaria Bifarini
“La migrazione può essere utile per tutti nella costruzione di società più inclusive e sostenibili. Globalmente, il numero di migranti internazionali ha raggiunto circa 258 milioni nel 2017, rispetto ai 173 milioni del 2000. La migrazione contribuisce alla crescita e allo sviluppo economico inclusivo e sostenibile sia nei paesi di origine che di destinazione. Nel 2017, i flussi di rimesse verso Paesi a basso e medio reddito hanno raggiunto $ 466 miliardi, oltre tre volte l’importo di APS (Aiuti pubblici allo sviluppo) ricevuto nello stesso anno. Le rimesse costituiscono una fonte significativa del reddito familiare, migliorando la situazione delle famiglie e delle comunità attraverso investimenti in educazione, sanità, servizi igienico-sanitari, alloggi e infrastrutture. Anche i paesi di destinazione ne traggono beneficio, poiché i migranti spesso colmano le lacune del lavoro, creano posti di lavoro come imprenditori e pagano tasse e contributi di sicurezza sociale. Superando le avversità, molti migranti diventano i membri più dinamici della società, contribuendo allo sviluppo della scienza e della tecnologia e arricchendo le loro comunità di accoglienza attraverso la diversità culturale.”
E’ quanto si legge nell’Agenda 2030 per lo Sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite, a firma del cinese Liu Zhenmin, sottosegretario generale per gli affari economici e sociali ONU.
Dunque, rispetto al 2000 le persone che hanno lasciato il proprio Paese di nascita e ora vivono in altre nazioni sono aumentate di circa il 50% per cento (il 49% per l’esattezza) con un trend di continua crescita. Al di là dei toni ottimistici e irrealistici usati nel documento programmatico, possiamo estrapolare il presunto modello economico di sviluppo sostenuto dai fautori delle attuali migrazioni, che, a differenza di quelle passate, hanno raggiunto livelli massivi e seguono nuove direttrici. A innescare un ipotizzato circolo virtuoso di crescita sarebbero da un lato l’offerta da parte dei migranti di forza lavoro per richieste non soddisfatte da parte dei lavoratori locali, dell’altro il flusso di denaro inviato ai Paesi di origine, che verrebbe utilizzato non solo per alleviare la povertà familiare, ma per investimenti produttivi nel tessuto economico nazionale. Un modello virtuoso e foriero di crescita, accompagnato da una convivenza felice, quasi simbiotica, tra migranti e cittadini dei Paese d’accoglienza.
La realtà, purtroppo, si rivela tutt’altra e, come spesso accade in economia, non rispetta le condizioni ideali (o forse idealistiche) dei modelli adottati. Gran parte dei Paesi di destinazione dei flussi migratori si trova a far fronte a una situazione di crisi duratura, che ha un notevole impatto sul lato della domanda e dell’occupazione. Inoltre, a fronte di un sistema di produzione sempre più automatizzato, la domanda di lavoro, soprattutto per profili non qualificati, è sempre più contratta. A seguito di un processo di iperglobalizzazione non governata, che in Europa ha trovato massima espressione nell’Eurozona, cresce la concorrenza tra lavoratori, mentre i salari e i diritti del lavoro sono in continuo ribasso. Non deve quindi stupirci se, in una simile contingenza, i flussi massivi di immigrati vadano a ingrossare la schiera dei disoccupati locali.
Per quanto riguarda invece le rimesse, è provato come esse, che pure sono molto consistenti e in continua crescita, vengano utilizzate, soprattutto nel caso dell’Africa, per consumi primari da parte delle famiglie. In un Continente dove permane l’ingerenza da parte di potenze (ex?) coloniali –come la Francia– e postcoloniali –come la Cina– le opportunità di investimento sono alquanto limitate, considerata la ricetta letale neoliberista imposta da decenni dal Fondo monetario e dalla Banca mondiale (cfr “I coloni dell’austerity – Africa, neoliberismo e migrazioni di massa”). In compenso, però, le rimesse rappresentano un business fiorente per le agenzie di trasferimento di denaro, che per quello inviato in Africa, ad esempio, applicano commissioni che arrivano al 10%.
Dunque la situazione idilliaca di cui parla l’Onu non solo non esiste, ma è assolutamente irrealizzabile date le attuali condizioni dell’economia mondiale, destinate peraltro ad aggravarsi.
Eppure lo stesso entusiasmo per i flussi migratori proviene da un’altra organizzazione internazionale, l’Ocse, che in un suo documento, “Le sfide politiche per i prossimi 50 anni” (2014), auspica che l’Europa e gli Stati Uniti accolgano da qui al 2060 la considerevole cifra di 50 milioni di migranti per soddisfare le richieste di forza lavoro necessaria (di nuovo!). Nello stesso documento l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo prospetta gli scenari economici futuri. Da qui al 2060, la crescita mondiale considerata a livello aggregato, ossia di Paesi Ocse (nei quali rientrano le cosiddette economie occidentali) e non Ocse, subirà un rallentamento e si attesterà a livelli di gran lunga inferiori a quelli pre-crisi.
Gli scenari previsti dagli economisti per il mercato del lavoro sono piuttosto drammatici. Essendo il modello economico futuro sempre più “technology oriented”, l’automazione ridurrà la domanda di lavoratori mediamente qualificati, mentre sopravviveranno quelli ad alto e basso livello di qualifica e responsabilità, cui corrisponde un correlato livello di salario. Ne conseguirà un inevitabile e inarrestabile aumento del tasso di disuguaglianza della popolazione: è il fenomeno già in atto della distruzione del ceto medio, elemento fondante e prerogativa del benessere delle economie occidentali. Su scala mondiale il livello di disuguaglianza (indice di Gini) da qui al 2060, mantenendo inalterato l’attuale modello economico, potrebbe riscontrare, secondo gli studi condotti, un’impennata addirittura del 40%.
Dunque l’attuale e fallimentare modello economico che si vuole continuare ad applicare, di cui i flussi migratori sono un elemento portante, arrecherà un aumento della povertà e della disuguaglianza, per dimostrazione degli stessi suoi fautori. Tuttavia si persevera con miopia e ostinazione masochistica a somministrare la medesima letale ricetta a un paziente morente, intrappolati ormai nella logica neoliberista del TINA (there is no alternative). Eppure non solo esistono alternative, ma quella attuale è la peggiore tra le possibili. E’ giunta l’ora di cambiare rotta, e anche condottieri!
Ilaria Bifarini
fonte http://ilariabifarini.com/un-mondo-di-migranti-la-ricetta-che-piace-alle-organizzazioni-internazionali/
Chris Hedges: Stiamo ritornando servi della gleba
Conoscete la statistiche. La disuguaglianza salariale negli Stati Uniti non è mai stata così elevata da oltre un secolo. Il 10% della parte alta della classifica si accaparra il 50% delle retribuzioni nazionali e il primissimo 1% ne incamera il 20%. Un quarto dei lavoratori americani tira avanti con paghe da meno di 10 dollari l’ora, cosa che li pone al di sotto del livello di povertà, mentre la retribuzione media degli amministratori delegati delle più grandi multinazionali è più di 300 volte il salario medio dei loro dipendenti, un incremento enorme, dato che negli anni ‘50questa proporzione era solo di 20/1. Questa disuguaglianza salariale è un fenomeno mondiale. L’1% della popolazione agiata del mondo controlla il 40% delle ricchezze di tutto il pianeta. E diventa sempre peggio.
Quali saranno le conseguenze economiche e politiche di questa sperequazione? Quanto dovrà peggiorare la situazione, quando si impongono programmi di austerità e nuove regole di tassazione che abbassano le aliquote per le multinazionali e che permettono alle aziende di accumulare capitali o di ricomprare le proprie azioni, invece che di investire nell’economia? Come faremo a sopravvivere, quando il costo dell’assicurazione sanitaria aumenta costantemente e i servizi di previdenza sociale come Medicaid, Pell Grants e i buoni pasto subiscono dei tagli? Inoltre, in base alla revisione del regolamento fiscale firmata dal Presidente Trump a dicembre, le aliquote a carico dei lavoratori sono destinate ad aumentare, sul lungo periodo. Nel prossimo decennio, questa riforma sarà costata alla nazione circa 1,5 trilioni di dollari. Quando ne usciremo?
Noi viviamo in un nuovo feudalesimo. Siamo stati privati del potere politico. I lavoratori sono intrappolati in mansioni umili, costretti a debiti paralizzanti e a salari stagnanti o in calo. L’indigenza cronica e le condizioni lavorative di particolare sfruttamento in molte parti del mondo e, sempre di più, negli Stati Uniti, sono la replica dell’inferno patito alla fine del 19° secolo dai lavoratori del comparto industriale.
La totale conquista delle istituzioni di governo da parte delle multinazionali e delle loro elites oligarchiche, compresi i due principali partiti politici, il sistema giudiziario e la stampa, sta a significare che non c’è rimasto più nessun meccanismo con cui riformare il sistema o che ci protegga dagli abusi, sempre crescenti. Dovremo ribellarci o diventeremo i servi della gleba del 21° secolo, costretti a vivere in miseria e brutalmente oppressi da una polizia militarizzata e dai più sofisticati sistemi di sicurezza e di sorveglianza della storia dell’umanità, mentre gli oligarchi al potere continuano a crogiolarsi in opulenza e ricchezze inimmaginabili.
“Il nuovo sistema di tassazione è un abuso esplosivo,” aveva detto l’economista Richard Wolff quando aveva parlato a New York. “Abbiamo avuto 30 o 40 anni in cui le multinazionali hanno pagato meno tasse del dovuto. Hanno fatto più soldi di quanti non ne avessero mai fatti prima. Sono riuscite a non far aumentare le retribuzioni mentre la produttività cresceva. Un altro grosso regalo, in questo momento, è l’ultima cosa di cui hanno bisogno, sopratutto se a pagarlo sono le stesse persone che hanno visto ristagnare le proprie paghe. Dare alle loro tasse una sforbiciata di questo genere, riducendole praticamente dal 35% al 20%, significa tagliarle del 40%. Questo genere di eccessi, assolutamente folli, mi ricorda la Francia prima della Rivoluzione, quando questi abusi erano arrivati ad una dimensione sociale esplosiva. Ecco dove siamo.”
Quando negli anni ‘30 il capitalismo era collassato, la risposta della classe lavoratrice era stata quella di dar vita alle organizzazioni sincali, scioperare e protestare. I lavoratori avevano contrapposto la forza alla forza. Avevano costretto gli oligarchi a rispondere con il New Deal, che aveva creato 12 milioni di posti di lavoro sovvenzionati dallo stato, la Social Security, il salario minimo e i sussidi per la disoccupazione. L’infrastruttura della nazione era stata modernizzata e manutenzionata. I soli Civilian Conservation Corps (CCC), avevano impiegato 300.000 persone per la creazione e la gestione dei parchi nazionali. “Il messaggio della classe operaia organizzata era stato inequivocabile,” aveva detto Wolff. “O ci aiutate a superare la Depressione, o ci sarà una rivoluzione.”
I programmi del New Deal erano stati finanziati con la tassazione delle persone abbienti. Ancora negli anni ‘50, durante la presidenza Eisenhower, l’aliquota massima era del 91%.
I ricchi, infuriati, erano entrati in guerra per smantellare questi programmi e ripristinare l’ineguaglianza sociale che li aveva fatti arricchire a spese nostre. Ed ora abbiamo chiuso il cerchio. I dissidenti, i radicali, gli oppositori del capitalismo, vengono nuovamente etichettati come spie delle potenze straniere ed estromessi dalle università e dai media. Il movimento dei lavoratori è stato smantellato, come anche le leggi sul cosiddetto ‘diritto al lavoro’, che proibiscono gli accordi [diretti] fra sindacati e datori di lavoro. Le ultime normative rimaste che frenano il saccheggio e l’inquinamento causato dalle multinazionali vengono rimosse. Anche se il governo è l’ultimo meccanismo a nostra disposizione che ci protegge dagli oligarchi predatori e dalle corporations, i ricchi ci dicono che il governo è il problema, non la soluzione. Ci assicurano che l’austerità e un bilancio della difesa gonfiato oltre ogni limite, insieme alla privatizzazione dei servizi pubblici e delle istituzioni, come le utenze e la scuola, sono la strada per la crescita economica. E, a comandare questo assalto e questa rapina incontrollata troviamo l’Imbroglione Capo e i suoi amici miliardari del carbone e dell’industria bellica di Wall Street.
Le elites forniscono false statistiche e mentono sulla ripresa che sarebbe avvenuta dopo il crack finanziario del 2008. Per quanto riguarda i dati sulla disoccupazione, i funzionari governativi fanno due domande alle persone: sei occupato? Se la risposta è ”si” vengono considerate impiegate, anche se hanno un lavoro temporaneo che li impegna solo un’ora alla settimana. Se rispondono “no”, viene loro domandato se sono alla ricerca di un posto di lavoro. Se non hanno cercato lavoro nelle quattro settimane precedenti l’intervista, sono magicamente cancellati dalle liste dei disoccupati. E poi c’è il lungo elenco di chi non viene conteggiato come disoccupato, come i carcerati, i pensionati, le casalinghe e gli studenti delle scuole superiori e delle università in cerca di lavoro. I “fatti alternativi” [diversamente veri], non sono iniziati con Donald Trump.
“Non bisogna essere dei geni di statistica per comprendere che, negli ultimi dieci anni, un numero significativo di persone ha rinunciato a cercare perché la cosa è troppo rivoltante,” aveva detto Wolff: “I lavori offerti erano inferiori ai precedenti o talmente precari da rendere impossibile la loro vita familiare. Sono ritornate a scuola, sono entrate nell’economia sommersa o hanno incominciato a vivere pesando sugli amici, sui familiari o sui vicini di casa.”
“La qualità dei lavori, la sicurezza, i sussidi e l’impatto sulla salute fisica e mentale sono scesi a cascata verso il basso, mentre le retribuzioni sono rimaste stagnanti,” aveva continuato. “Noi non siamo in ripresa. Siamo in costante declino, che è, tra l’altro, il motivo per cui è stato eletto il sig. Trump. Questo sta succedendo al capitalismo in Europa Occidentale, in Giappone e negli Stati Uniti. Questo è il motivo per cui una classe lavoratrice esasperata sta cercando il modo per farsi sentire e cambiare la propria condizione.”
“La società ha una responsabilità verso sé stessa,” aveva detto Wolff.“Se il settore privato non può o non vuole farlo, allora deve subentrare quello pubblico. E’ ciò che aveva detto Franklin Roosevelt quando aveva parlato alla radio: ‘Se ci sono milioni di Americani che non chiedono nulla di più di un posto di lavoro, e il settore privato non può provvedere, allora tocca a me. Chi altri potrebbe farlo?’ Se tagliamo sul welfare, allora rendiamo la gente dipendente dal settore privato. Che cosa accadrà a quelle persone scaricate in un settore del capitale privato che non può e non vuole funzionare in maniera socialmente accettabile?”
“Invece di creare una classe media, tutto viene polarizzato,” aveva aggiunto, parlando delle ineguaglianze. “Questo permette agli alti dirigenti di avere delle retribuzioni completamente folli. Sono pagati oltre il ragionavole, ben oltre quello che percepiscono i loro colleghi capitalisti in altre parti del mondo. C’è un crollo nella capacità di spesa. Un’azienda che risparmia denaro grazie al taglio delle tasse del sig. Trump non spenderà i suoi soldi per assumere gente, acquistare macchinari e aumentare la produzione. Hanno già tutti i loro problemi a vendere quello che producono. Stanno impoverendo le stesse persone a cui cercano di vendere. Che cosa ci fanno con i soldi? Li prendono e se li tengono. Si danno delle retribuzioni più alte. Si ricomprano le loro stesse azioni, cosa che è legalmente consentita. Questo fa salire il valore delle azioni. I loro emolumenti personali sono collegati all’andamento delle azioni. Non vengono creati posti di lavoro. Non viene creata nessuna crescita. Il valore delle azioni sale anche se la redditività aziendale, per il crollo del mercato, si riduce.”
“Il capitalismo si sta eliminando da solo,” aveva detto. “I capitalisti si rifiutano di riconoscerlo perché stanno guadagnandoci, ancora per un po’. E’ la stessa logica dei re [francesi] prima della Rivoluzione, che avevano costruito la fantastica reggia di Versailles, senza rendersi conto che in quegli adorabili giardini si stavano scavando la fossa.”
Le elites cercano di distogliere l’attenzione dai loro saccheggi incolpando la Cina o i lavoratori in nero per il declino economico della classe lavoratrice.
“E’ il classico trucchetto dei politici corrotti alle prese con un problema creato da loro stessi, quello di darne la colpa a qualcun altro,” aveva detto Wolff. “Prendiamo i 10 o 11 milioni di immigrati poveri in questo paese, con una condizione legale discutibile, e li demonizziamo. Li facciamo diventare dei capri espiatori. Non sono assolutamente responsabili delle difficoltà di questa economia. Espellerli non cambia di una virgola le dinamiche dell’economia. E’ una cosa infantile asserire una cosa del genere. Ma è un bel teatrino. ‘Sto bastonando lo straniero.’”
“I dazi sono un altro modo di bastonare lo straniero,” aveva continuato Wolff. “I dazi sono un sistema per punire gli altri. In questi giorni lo spauracchio è la Cina. Loro sono i cattivi. Sono loro che lo fanno. Vorrei ricordare alla gente due o tre cose riguardo ai dazi. Uno: storicamente non hanno mai funzionato molto bene. E’ molto semplice aggirarli. Per esempio, noi imponiamo un dazio sull’acciaio cinese. Che cosa fanno i Cinesi? Fanno un accordo con i Canadesi, o con i Messicani, o con i Coreani, o con gli Europei. Vendono a loro, che lo rivendono qui. Arriva sempre sulla stessa nave. Ha solo una bandiera diversa a poppa. Questo è un trucco da bambini. E lo sanno tutti.”
“Numero due: è un teatrino politico,” aveva aggiunto. “Non è molto differente. Per esempio, una buona metà delle merci provenienti dalla Cina arriva dalle filiali delle multinazionali americane che negli ultimi 30 anni hanno trasferito in Cina la produzione per il mercato americano. Le punisci chiudendo loro il mercato. Si arrabbieranno. Perderanno i loro investimenti. Cercheranno poi delle soluzioni correttive. Tutto questo è negativo per l’economia americana. E’ un’assurdità.”
“Alla fine, i Cinesi, dal momento che i loro uomini politici non sono poi così diversi dai nostri, dovranno decidersi a rispondere e si rivarranno,”aveva detto. “Stanno già prendendo di mira i nostri prodotti agricoli. E’ il caos. Gli Stati Uniti, quando erano ancora una nazione giovane, erano stati accusati dalla Gran Bretagna e dall’Europa di carpire le loro tecnologie e le loro proprietà intellettuali. Non è mai stato così facile come al giorno d’oggi trasferire la proprietà intellettuale. I Cinesi, con la loro economia intraprendente, hanno fatto la loro parte. Non è una novità. Non è una cosa che spaventa. Fa parte del funzionamento del capitalismo. Fare arrabbiare così di colpo la gente, come se stesse succedendo qualcosa di strano, è solo disonesto.”
Sugli organi di informazione non ci sono discussioni sugli effetti di un capitalismo corporativo ormai fuori controllo. I lavoratori che tirano avanti sotto il peso dei debiti, incapaci di pagarsi un’assistenza sanitaria sempre più costosa e gli altri costi basilari, intrappolati in lavori a basso salario che rendono la vita un’emergenza senza fine, sono resi invisibili dai media, che ci intrattengono con i pettegolezzi amorosi delle attrici porno e delle protagoniste dei reality show e che si concentrano solo sul culto della celebrità. Ignoriamo la realtà a nostro rischio e pericolo.
“Abbiamo dato il via libera ad un sistema capitalistico perché avevamo paura di dibatterlo,” aveva detto Wolff. “Quando si permette che una qualsiasi istituzione faccia quello che vuole, si creano le condizioni perché, al di là delle apparenze, arrivi fino al punto di marcescenza. Questo è ciò che sta accadendo.”
Chris Hedges
Fonte: truthdig.com
Link: https://www.truthdig.com/articles/becoming-serfs/
26.08.2018
Scelto e tradotto da Markus per comedonchisciotte.org
Link: https://www.truthdig.com/articles/becoming-serfs/
26.08.2018
Scelto e tradotto da Markus per comedonchisciotte.org
http://www.comedonchisciotte.net/modules.php?name=News&file=article&sid=6763
martedì 7 agosto 2018
QUANDO LE DEMOCRAZIE OCCIDENTALI ORCHESTRANO LE PULIZIE ETNICHE
“Non potevamo impedire il massacro dei serbi da parte dei croati, compresi gli anziani e i bambini …” – Luogotenente generale Jean Cot del UNPROFOR
23 anni fa gli Stati Uniti sostenevano una brutale pulizia etnica croata dei serbi
di Miodrag Novakovic
Certo, se sarebbe irragionevole, per questo evidente e ben documentato crimini di guerra e crimini contro l’umanità, incolpare solo i croati. Se le loro mani sono intrise di sangue, di innocenti civili serbi, fino alle loro braccia, allora le mani dei loro sponsor occidentali (USA e Germania) sono intrise di sangue almeno fino ai loro gomiti. I croati non sarebbero mai riusciti a scappare con “un crimine così perfetto”, se non fossero stati sostenuti, in ogni modo possibile, dai loro sponsor americani e tedeschi.
Questa settimana segnerà 22 anni, dal momento che il 4 agosto 1995, la Croazia ha pranzato in una cosiddetta operazione di polizia militare, chiamata Storm, contro i serbi ‘detenuti e controllati nella regione di Krajina. I croati sostenuti dal supporto militare e logistico degli Stati Uniti, la ricognizione dei droni di intelligence della CIA e il sostegno politico aperto da Washington hanno completato la loro “operazione” in soli tre giorni. Il 7 agosto hanno dichiarato “vittoria”.
Dalla loro “vittoria è risultata”: una completa pulizia etnica della regione della Krajina e un omicidio di almeno 2000 serbi; la stragrande maggioranza di loro erano civili indifesi. Fonti ufficiali sostengono che: 1.192 civili serbi furono uccisi o dispersi e circa 200.000 mila (tutta la popolazione della Krajina) furono espulsi dalla loro terra antica. Le loro proprietà sono state distrutte, saccheggiate e rubate dai “soldati” croati (che hanno eseguito questa “operazione” sotto la diretta supervisione di Washington, mentre le forze di pace di UNPROFOR assegnate per la protezione dell’ONU, designato “Krajina Safe Zone”, si sono limitate a fare quasi nulla per prevenire il massacro).
L’IMPERATIVO ERA DI STABILIRE LA PRESENZA MILITARE USA IN YUGOSLAVIA
Per comprendere questa complicità USA e il suo coinvolgimento militare diretto, in un’orrenda atrocità contro un gruppo etnico, in una di tante guerre civili scoppiate, quando l’ex Jugoslavia socialista “crollò”, di nuovo con un chiaro e occulto sostegno occidentale, dobbiamo guardare qui al quadro più ampio
Quando il governo di Clinton, insieme ai loro maggiori alleati europei, decise negli anni ’90, il miglior interesse americano nei Balcani sarebbe quello di appoggiare la ribellione armata delle regioni amministrative separatiste nella Jugoslavia occidentale e sostenere apertamente la disgregazione, riconosciuta a livello internazionale, La Repubblica Federale di Jugoslavia, mentre era ancora membro delle Nazioni Unite, aprì consapevolmente la scatola di Pandora.
Gli USA si schieravano apertamente, politicamente e militarmente, con i cattolici sloveni e croati delle Repubbliche jugoslave occidentali e con i fondamentalisti islamici della Bosnia, nelle loro guerre civili e religiose contro i serbi cristiani ortodossi che vivevano fuori, poi nella Repubblica amministrativa di Serbia (e più tardi nel 1999, negli Stati Uniti e La NATO ha iniziato un’altra guerra illegale contro la Serbia, a nome dei separatisti islamici albanesi dal Kosovo, alla fine “rubando” questa provincia meridionale serba).
I serbi croati e bosniaci, che semplicemente volevano rimanere nella loro Repubblica federale di Jugoslavia, e non essere “portati via” dai separatisti cattolici e islamici, e non essere privati dei loro diritti costituzionali, secondo le allora attuali leggi jugoslave, si sono naturalmente ribellati a tali risultato illegale e violento della Jugoslavia, e successivamente hanno dichiarato la propria autonomia all’interno delle regioni separatiste jugoslave.
E poi si scatenò l’inferno …
Le radici storiche di questo approccio americano si possono trovare nel sostegno occidentale (principalmente britannico e americano) del leader comunista “Anti-Stalin” del maresciallo della Jugoslavia post-seconda guerra mondiale Josip Broz Tito (che era lo stesso croato), che fornì ai leader occidentali assicurazioni che, non solo avrebbe tenuto la Jugoslavia fuori dal blocco sovietico, ma avrebbe allineato anche militarmente il suo paese con l’alleanza NATO; e più tardi nella direttiva presidenziale di Reagan NSDD133, del 1984, che delineava l’interesse strategico degli Stati Uniti per espandere la propria presenza militare nei Balcani.
I CRIMINI DELLA GUERRA CROATA CONTRO I SERBI SONO STATI COSI DA EVIDENTI, E SU QUELLA GRANDE SCALA, QUELLO CHE HA CONTROLLATO L’ICTY NON AVEVA ALCUNA SCELTA, MA PER SENTIRSI VICINI ALLA LEADERSCHIP CROATA
L’ICTY (Tribunale criminale internazionale per la Jugoslavia) controllato dall’Occidente aveva con riluttanza accuse per crimini di guerra e pulizia etnica, contro la leadership ultra-nazionalista croata (tempo di guerra) e un gruppo di suoi generali. Ma sulla scia di prove schiaccianti e proteste internazionali, avevano poca scelta.
L’ICTY (Tribunale criminale internazionale per la Jugoslavia) controllato dall’Occidente aveva con riluttanza formulato accuse per crimini di guerra e pulizia etnica, contro la leadership ultra-nazionalista croata (tempo di guerra) e un gruppo di suoi generali. Ma sulla scia di prove schiaccianti e proteste internazionali, avevano poca scelta.
L’ICTY (Tribunale criminale internazionale per la Jugoslavia) controllato dall’Occidente aveva con riluttanza formulato accuse per crimini di guerra e pulizia etnica, contro la leadership ultra-nazionalista croata (tempo di guerra) e un gruppo di suoi generali. Ma sulla scia di prove schiaccianti e proteste internazionali, avevano poca scelta.
Nel 2001 l’ICTY ha portato accuse per crimini di guerra contro il presidente croato generale Franjo Tudjman (che sarà ricordato per aver detto pubblicamente “che era molto orgoglioso che sua moglie non fosse né ebrea o serba”), il ministro della Difesa croato Gojko Susak (prima dell’apertura della guerra) Ideologo neonazista) e altri due ex generali dell’esercito jugoslavo (rinnegati) (promossi in comandanti supremi dell’esercito croato) Janko Bobetko e Zvonimir Cermenko. La loro incriminazione fu in realtà una parodia della giustizia, perché al tempo in cui furono accusati, tutti (ad eccezione del generale Janko Bobetko), erano già morti (per causa naturale). Il generale Bobetko morì un anno dopo l’imputazione, prima che potesse essere consegnato all’ICTY.
” La decisione di lanciare Operation Storm non è controversa; ciò che è controverso, tuttavia, è “lo sforzo di successo” di alcuni funzionari croati guidati dal presidente Franjo Tudjman per “sfruttare le circostanze” e attuare il piano per cacciare i serbi dalla Krajina “. procuratore dell’ICTY Alain Tieger
Quando l’incriminazione dei generali croati Ante Gotovina, Ivan Cermak e Mladen Markac, per i loro crimini di guerra e pulizia etnica dei serbi croati a Krajina, durante “operazione” Tempesta nel 1995, fu annunciata nel 2008: i serbi sopravvissuti ai pogrom sponsorizzati dagli USA e alla pulizia etnica , speravano ingenuamente che alla fine fosse servita giustizia.
Anche con una ostruzionismo senza precedenti dell’ICTY da parte del governo croato, della Chiesa cattolica e della più ampia società croata, che ha nascosto e distrutto molti documenti di guerra, facilitato la fuga e l’occultamento dei criminali di guerra croati incriminati e intimidito non solo le vittime e i testimoni, ma anche la dirigenza dell’ICTY – il processo a carico di quei tre generali croati si concluse nel 2011, e dopo le prove schiaccianti (le prove, i croati non erano in grado di nascondere o distruggere), Gotovina fu condannato a 24 anni, Markac a 18 anni, mentre Cermak fu assolto.
Le vittime serbe speravano che alla fine almeno qualche giustizia fosse servita – ma erano di nuovo in errore. C’è un detto serbo: “Un corvo non sceglie gli occhi di un altro corvo”.
Nel 2012, la Camera di appello dell’ICTY ha annullato la decisione della camera bassa e ha assolto incondizionatamente i criminali di guerra croati Gotovina e Markac per tutti i crimini. Tutta la Croazia e la sua diaspora sono esplose in gioia e in massicce celebrazioni.
La loro esperienza storica che il crimine paga è stato dimostrato ancora una volta …
Fonte: Russia Insider
Traduzione e sintesi: Sergei Leonov
https://www.controinformazione.info/quando-le-democrazie-occidentali-orchestrano-le-pulizie-etniche/#
Ammissione del FMI: Grecia sacrificata per salvare l'euro
Una scioccante indagine interna del Fondo rivela che la Grecia è stata sacrificata per salvare l’euro e le banche del Nord Europa
Le più alte cariche del Fondo monetario internazionale hanno ingannato il proprio board, fatto una serie di clamorosi errori di giudizio sulla Grecia, sposato incondizionatamente la causa dell’euro, ignorato tutte le avvisaglie di un’imminente crisi e trascurato un aspetto di base delle unioni monetarie.
Questo è il verdetto lacerante dell’Independent Evaluation Office (IEO), un organismo indipendente all’interno dell’istituto di Washington, sulla disastrosa gestione della crisi dell’euro da parte del Fondo. Il rapporto di 650 pagine dell’IEO rivela «cultura della compiacenza», incline all’analisi «superficiale e meccanicista», e un sistema di governance apparentemente fuori controllo.
L’ufficio di valutazione indipendente del fondo è autorizzato a passare sopra la testa del direttore generale, Christine Lagarde, e risponde unicamente al consiglio dei direttori esecutivi, molti dei quali – in particolar modo quelli provenienti dall’Asia e dall’America Latina – sono furiosi per il modo in cui alcuni ufficiali dell’UE hanno utilizzato il Fondo per salvare la propria unione monetaria ed il proprio sistema bancario.
I tre salvataggi della Grecia, del Portogallo e dell’Irlanda sono stati senza precedenti per dimensioni e carattere. Ai tre paesi è stato permesso di prendere in prestito oltre il 2,000% della loro quota allocata – più di tre volte il limite normale –, pari all’80% di tutti i prestiti del Fondo tra il 2011 ed il 2014.
In un’ammissione sorprendente, il rapporto dice che i propri investigatori non sono stati in grado di accedere a documenti chiave o di gettare luce sulle attività della «task-force segreta» assegnata ai salvataggi. Nessuna accusa di ostruzionismo è stata rivolta alla Lagarde.
«Molti documenti sono stati preparati al di fuori dei canali prestabiliti; la documentazione scritta relativa alle questioni più delicate è irreperibile. L’IEO in alcuni casi non è stato in grado di determinare chi ha preso certe decisioni o quali informazioni fossero disponibili, né è stato in grado di valutare i ruoli giocati dal management e dallo staff del Fondo», si legge nel rapporto.
Il rapporto afferma che l’intero approccio del Fondo alla zona euro è stato caratterizzato dal “pensiero di gruppo”. Non esistevano piani di riserva su come affrontare una crisi sistemica nella zona euro – o su come gestire la politica di un’unione monetaria multinazionale – perché era stato escluso a priori che ciò potesse accadere.
«Prima del lancio dell’euro, le dichiarazioni pubbliche dell’FMI tendevano a sottolineare i vantaggi della moneta comune», si legge. Alcuni membri dello staff avevano avvertito che il progetto dell’euro presentava delle falle fondamentali, ma sono stati ignorati. «Dopo un intenso dibattito interno, è prevalsa una posizione favorevole a quello che veniva percepito come il progetto politico dell’Europa».
Questo pregiudizio pro-euro ha continuato a condizionare il pensiero del Fondo per anni. «L’FMI è rimasto ottimista circa la solidità del sistema bancario europeo e la qualità della vigilanza bancaria nei paesi dell’area dell’euro fino a dopo l’inizio della crisi finanziaria globale, a metà del 2007. Questo era in gran parte dovuto alla disponibilità dell’FMI di prendere per buone le rassicurazioni delle autorità nazionali e della zona euro», sostiene il rapporto. L’FMI ha persistentemente minimizzato i rischi rappresentati dai crescenti deficit delle partite correnti e dal deflusso di capitali verso la periferia della zona euro, e ha trascurato il pericolo di un “arresto improvviso” di tali flussi.
«La possibilità di una crisi da bilancia dei pagamenti in un’unione monetaria era considerata praticamente inesistente». A metà del 2007, l’FMI pensava ancora che «in vista dell’adesione della Grecia all’unione monetaria, la capacità di reperire finanziamenti esteri non è un problema». Alla radice del problema vi era l’incapacità di capire che un’unione monetaria senza Tesoro o unione politica è intrinsecamente vulnerabile alle crisi del debito. In caso di shock, gli Stati non hanno più gli strumenti sovrani per difendersi. Il rischio di bancarotta si sostituisce al rischio di svalutazione.
«In un’unione monetaria, in cui i paesi rinunciano ad una politica monetaria indipendente e alla variabile del tasso di cambio, le dinamiche del debito cambiano», nota il rapporto. Questi problemi vengono poi amplificati dall’esistenza di un «circolo vizioso tra banche e governi». Il fatto che l’FMI non sia riuscito ad anticipare nulla di tutto ciò è una grave colpa scientifica e professionale.
In Grecia, il Fondo monetario internazionale ha violato uno dei suoi princìpi cardine, sottoscrivendo il primo bailout del paese, nel 2010, pur sapendo di non poter offrire alcuna garanzia sul fatto che il pacchetto avrebbe portato i debiti del paese sotto controllo o messo il paese sulla via della ripresa, ed erano molti a sospettare che il piano fosse condannato al fallimento fin dall’inizio.
Il Fondo ha aggirato questa regola riscrivendo radicalmente la propria politica in materia di salvataggi, per consentire una deroga (da allora abolita) in caso di rischio di contagio sistemico. «Il board non è stato consultato o informato», sostiene il rapporto. I direttori hanno scoperto la bomba «nascosta nel testo» del pacchetto greco, ma a quel punto era troppo tardi.
Quando è stato trascinato nella crisi greca, l’FMI si trovava in una situazione poco invidiabile. La crisi dei mutui subprime era ancora fresca nella memoria di tutti. «Sono state espresse preoccupazioni in merito al fatto che un tale credit event potesse diffondersi ad altri membri della zona euro, e più in generale al resto della fragile economia globale». La zona euro non aveva alcuna difesa contro un eventuale contagio e le sue banche già vacillavano. La Banca centrale europea non aveva ancora assunto il ruolo di prestatore di ultima istanza. Una ristrutturazione del debito greco veniva ritenuta troppo rischiosa.
Anche se le azioni del Fondo potevano apparire giustificabili nel pieno della crisi, la dura verità è che la Grecia è stata sacrificata per salvare l’euro e le banche del Nord Europa. La Grecia ha dovuto sopportare una terapia shock a base di austerità senza le tradizionali compensazioni prescritte dell’FMI: un taglio del debito e una svalutazione competitiva.
Un altro rapporto sulla saga greca spiega che il paese è stato costretto ad una stretta fiscale violentissima, pari all’11% del PIL nei primi tre anni. Più la situazione peggiorava, più il paese era costretto a tagliare, in quello che l’ex ministro delle finanze greco Yanis Varoufakis ha definito “waterboarding fiscale”.
Il tentativo di imporre una “svalutazione interna” pari al 20-30% del PIL per mezzo della deflazione salariale si è rivelato controproducente, perché ha ridotto la base produttiva del base e fatto schizzare verso l’alto la dinamica del debito pubblico. «C’è un’incoerenza di fondo tra il tentativo di riguadagnare competitività di prezzo e contemporaneamente ridurre il rapporto debito-PIL», nota il rapporto.
L’FMI riteneva che il moltiplicatore fiscale sarebbe stato pari a 0,5 quando in realtà è stato cinque volte più alto, data la fragilità del sistema greco. Il risultato è che il PIL nominale si è contratto un 25% in più rispetto alle previsioni del Fondo, mentre la disoccupazione è schizzata al 25% (invece del 15% previsto). «L’entità degli errori di previsione sulla Grecia è semplicemente straordinaria», si legge.
La teoria era che la “fatina della fiducia” avrebbe risollevato la Grecia dal tracollo indotto dalle politiche di austerità. Piani «molti ottimisti» che prevedevano di raccogliere 50 miliardi dalle privatizzazioni si sono rivelato del tutto irrealistici. Alcuni beni non avevano nemmeno una chiara titolarità giuridica. Questa «mancanza di realismo» cronica è durata fino alla fine del 2011. A quel punto, però, il danno era fatto.
L’ingiustizia è che il costo dei salvataggi è stato pagato di comuni cittadini greci, mentre non si è voluto ammettere che il vero motivo della politica della troika era quello di salvare l’unione monetaria. Per aggiungere la beffa al danno, i greci sono anche stati ripetutamente accusati di essere i colpevoli della loro disgrazia. Questa ingiustizia – la radice di tanta amarezza in Grecia – è stata finalmente riconosciuta. «Se la preoccupazione principale era quella di evitare il contagio internazionale, allora la comunità internazionale avrebbe dovuto prendere in carico almeno una parte del costo di tale prevenzione», conclude il rapporto.
Meglio tardi che mai.
Pubblicato sul Telegraph il 28 luglio 2016. Traduzione di Thomas Fazi in esclusiva per Eunews/Oneuro.
Fonte: www.eunews.it
Link: http://www.eunews.it/2016/07/29/lammissione-dellfmi-la-grecia-e-stata-sacrificata-per-salvare-leuro-2/65607
http://www.comedonchisciotte.net/modules.php?name=News&file=article&sid=6700
COMUNICATO STAMPA del Comitato Cittadino Aeroporto Crotone.
COMUNICATO STAMPA
La politica dimentica facilmente, ma per fortuna nell’era di internet riusciamo prontamente a risolvere questa malattia cronica. Accade, cosi, che l’ex vicesindaco di Lamezia Terme Milena Liotta abbia dimenticato il ruolo svolto proprio dall’amministrazione comunale lametina nel 2016 in merito alla partecipazione del bando Enac per l’assegnazione della gestione dei tre aeroporti calabresi.
Durante l’assemblea dei soci del 7 ottobre 2016 nel quale il comune di Lamezia era ben rappresentato essendo l’ente pubblico con la maggior quota azionaria si è deciso di procedere con la partecipazione al bando trentennale.
Solo due soci in quella sede si sono astenuti Banca Carime che si stava fondendo Ubi Banca ed AdR che “ha invece dichiarato di astenersi perché riteneva che non sussistevano le condizioni economiche finanziarie per poter affrontare, senza rischi, un investimento in ulteriori gestioni aeroportuali.
A distanza di quasi due anni non capiamo, quindi, come qualcuno continui a dichiarare che “Lamezia può essere meglio rappresentata nel Consiglio di amministrazione di SACAL oggi potendo contare su una rappresentatività delle quote azionarie del 49,8%”.
In qualità di ex vicesindaco poteva liberamente esprimere anzitempo e far valere questo suo pensiero attuale nel 2016 creando a Lamezia Terme un dibattito cittadino tale da impedire ai rappresentanti in carica di sostenere la candidatura di Sacal al ruolo di gestore unico aeroportuale regionale.
Non capiamo quindi ora questi campanilismi.
Il Comitato Cittadino Aeroporto Crotone ribadisce che SACAL non è mai stata costretta a partecipare ad alcun bando Enac ma è stata una scelta libera dei soci. Ora che ha in mano “la palla”in campo e giocando una partita ,nessuno né tanto meno alcun giocatore può cambiare le regole che erano ben poste: una gestione unitaria per il rilancio del sistema aeroportuale calabrese.
Inoltre, ci teniamo a ribadire a chi ricorda, soltanto, le cattive gestioni degli aeroporti di Reggio Calabria e Crotone che proprio un anno fa a causa di un’inchiesta giudiziaria il vecchio consiglio di amministrazione di Sacal è finito sotto inchiesta e lo è tutt’ora.
Quell’inchiesta ed il continuo bilancio in rosso, riteniamo che facciano della Sacal non certamente un buon modello di gestione aziendale o di società di cui vantarsi!
Inoltre, gli enti pubblici lametini e catanzaresi sono intervenuti con continui finanziamenti a causa della grave emorragia di risorse economiche di cui la Sacal è sempre stato affetta!
Vorremmo ricordare a tal proposito le dichiarazioni del sindaco Gianni Speranza del 6 novembre 2012 “Il senatore Speziali conferma che nel bilancio della Sacal, da lui presieduta, si è registrata una pesante ed ingiustificata perdita di oltre due milioni di euro. Se anche quest'anno il bilancio della Sacal si chiudesse in perdita, il pericolo sarebbe che le riserve della società, di 1,2 milioni di euro, non basterebbero a ripianarle e questo non farebbe altro che ricadere sui soci che saranno chiamati a coprirle.“
Pensiamo che questo spirito cittadino molto possessivo nei confronti di una società non sia ottimale al decollo della nostra regione ma anzi rischia di far rimanere a terra tutti sprecando energie e risorse pubbliche!
Ancora una volta il Presidente della Regione Mario Oliverio non interviene su queste forme di campanilismo che proprio lui dovrebbe arginare ma continua a comportarsi da Ponzio Pilato lavandosi le mani e lasciando che la plebe discuta!
Tutto questo non è giusto! I crotonesi sono stati fin troppo penalizzati per scelte politiche scellerate e privati ingiustamente di strade, treni ed aerei meritano rispetto!
La Costituzione Italiana ci riconosce il diritto alla mobilità e noi lotteremo fino alla fine per RIVENDICARLO!
fonte https://www.facebook.com/comitatocittadinoaeroportocrotone/?hc_ref=ARTybk5ZdoLsXLHDc7wSAC6eZmauq_ytEMGPEmvBXpqOlv1zVFbzzwAKKyfKyqpUgvY&fref=nf
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