martedì 18 giugno 2019

CINQUE MESI DOPO L'ATTENTATO, PAPA WOYTILA COMMISSARIO' LA COMPAGNIA DI GESU' (GESUITI)



La ferita originaria : il commissariamento dei gesuiti

Si accennava poco fa al tema del 'commissariamento' dei gesuiti. La decisione di papa Wojtyla di commissariare la Compagnia di Gesu' nel 1981 non ha mai smesso di produrre pesanti effetti sulla geografia del potere ecclesiastico. E si presta a numerose letture interpretative, relative al fatto che esso sia avvenuto in quanto i gesuiti sarebbero uno dei canali dell'infiltrazione massonica in Vaticano, oltre che un ponte di dialogo con forze della modernizzazione, genericamente quantificabili come 'di sinistra' o comunque progressiste.
La decisione, senza precedenti, fu assunta dal pontefice polacco durante la sua convalescenza post attentato, nei mesi di blackout informativo durante i quali solo la 'cerchia polacca' dei fedelissimi aveva accesso all'appartamento papale. Da quel periodo di silenzio emersero due decisioni destinate a cambiare gli assetti di potere interni alla Chiesa e alla curia vaticana: la nominia a progovernatore della Citta del Vaticano dell'arcivescovo americano Paul Casimir Marcinkus (che era gia' il capo dello Ior) e, appunto, il commissariamento dei gesuiti, tanto piu' clamoroso perche' l'ordine religioso piu' potente del mondo e' legato al soglio pontificio da un suo specifico giuramento di fedelta' al papa, che costituisce un quarto voto, oltre ai tre canonici di poverta', castita' e obbedienza.
Non bisogna poi dimenticare che i gesuiti hanno rappresentato il braccio secolare della Chiesa, l'ordine piu' contiguo al potere, a ogni latitudine. Prova ne sia il controverso 'Monita Privata', o 'Istruzioni segrete della Compagnia dei Gesu', un manuale di infiltrazione e conquista del potere diffuso nei primi anni del Seicento, circa mezzo secolo dopo la fondazione (1540) della Compagnia di Gesu' da parte di Ignazio di Loyola, da un gesuita dissidente (il polacco Hieronim Zahorowski) che – pur se considerato un apocrifo – dice molto sulla fama dei gesuiti.
Piu' che soldati di Cristo, i membri vi appaiono come figli di Machiavelli, pronti a usare ogni mezzo a fini di potere temporale, manovrando regnanti o ricche vedove attraverso quell'arte della
'dissimulazione' che, nel linguaggio comune, avrebbe reso la parola 'gesuita' sinonimo di 'ipocrita'. I 'Monita privata' crearono lo stereotipo della 'menta nascosta', del 'regista occulto' d'ogni evento, del 'Grande Vecchio'. Tanto piu' che autorevoli padri come Giovanni Argenti e Jakob Gretser scrivevano di apprezzare i rapporti che certi gesuiti intrattenevano con il potere, in linea con i 'Monita'.
Da allora- come segnalavano sul 'Corriere della Sera' Cesare Medail a Adriano Prosperi il 27 ottobre 2000 – ''Il segreto della potenza dei gesuiti ha continuato ad affascinare, per la capacita' attribuita alla Compagnia di Gesu' di conquistare il potere attraverso un'arte speciale della simulazione e della seduzione, della presenza larvata e della penetrazione occulta di cui si attribuiva loro l'invenzione. E' il modello di una possibile via verso la conquista del potere che ha conosciuto una straordinaria fortuna nei secoli successivi. Lo spettro di una forza tanto esigua quanto diabolicamente astuta, capace di insinuarsi nei gangli vitali della societa' e dello stato fino a prenderne la direzione, si e' riaffacciato di continuo da allora in poi, soprattutto nelle fasi dei grandi rivolgimenti politici e sociali. Nei regimi politici dell'eta' delle masse, dietro i grandi movimenti sociali in atto, per stimolarli e dirigerli, e' stato spesso agitato il fantasma di una mente nascosta, un grande burattinaio capace di dirigere gli eventi per scopi sapientemente nascosti allo sguardo degli inconsapevoli attori e delle potenziali vittime''.
Il potere dei gesuiti e' stato spesso collegato a quello dell'ebraismo e della massoneria, secondo dinamiche non lontane da quelle che hanno originato un altro apocrifo, i 'Protocolli dei Savi di Sion' : l'idea che vi sia un piano di dominio globale gestito da gesuiti, ebrei e massoneria.
Difficile sapere se questi pregiudizi abbiano avuto un ruolo nelle durissime decisioni del polacco Wojtyla (e' curioso osservare che i 'Monita Privata' apparvero a Cracovia nel 1614). Certo e' che la dinamica del commissariamento dei gesuiti sembra rispecchiare il copione di un film. La scena e' quella dell'aereoporto di Fiumicino, 7 agosto 1981. Dall'Estremo Oriente, quel giorno, stava arrivando padre Pedro Arrupe, il preposito generale della Compagnia di Gesu' dal 1965, detto anche ' 'generale'', o ''papa nero'', perche' si trattava di una carica a vita e a causa dell'influsso da sempre esercitato dai gesuiti all'interno della Chiesa. Arrupe si era recato nelle Filippine per ricordare il quarto centenario della presenza dei gesuiti in quelle isole e aveva sostato anche in Thailandia, per scambiare impressioni e fare il punto con alcuni confratelli presenti nei campi profughi di quella terra.
Ma il religioso che sta arrivando – che qualche giornale amava descrivere in posizioni yoga durante la preghiera- viene colpito da una trombosi cerebrale. Non passano che tre giorni : il 10 agosto 1981, seguento le costituzioni dell'ordine fondato da sant'Ignazio di Loyola, e nonostante le sue condizioni di salute, Arrupe – alla presenza del segretario e degli assistenti della Compagnia – designa vicario generale padre Vincent O'Keefe. Egli avrebbe dovuto convocare poi la congregazione generale e quindi indicare il successore. Ma c'e' sempre un ''ma'' nelle storie che riguardano i gesuiti : il 5 ottobre 1981 papa Giovanni Paolo II, ormai fuori pericolo dopo l'attentato del 13 maggio precedente, interviene in maniera diretta e nomina un suo delegato personale, l'ottuagenario padre Paolo Dezza, e gli affianca come coadiutore padre Giuseppe Pittau. Di conseguenza, O'Keefe viene sostanzialmente cacciato, 'dimissionato'. E' una decisione che non conosce precedenti, perche' di fatto viola una tradizione e una regola secolari : la convocazione della congregazione generale, vale a dire l'organo supremo dell'ordine, spetta al ''papa nero''e , nel caso di sua impossibilita', al vicario.
Le reazioni, anche se i gesuiti sono legati a uno speciale voto di obbedienza al papa, non tardano ad arrivare, a cominciare da quelle dei prelati tedeschi. Tutti vedono nel gesto di Wojtyla un pesante atto di sfiducia verso la Compagnia da parte della Santa Sede. Anzi, il teologo gesuita Karl Rahner, uno dei protagonisti del Concilio Vaticano II, indirizza a Sua Santita' una lettera nella quale dissente in termini espliciti.''Anche dopo aver pregato e meditato'' scriveva il grande teologo ''non ci e' stato facile riconoscere ''il dito di Dio'' in questa misura amministrativa, perche' la nostra fede e l'esperienza della storia ci insegnano che anche l'autorita' piu' alta della Chiesa non e' esente da errori.'' Parole pesanti come pietre.
In quell'incidente di Arrupe e nella successiva missiva di padre Rahner si riflette la complessa storia dei gesuiti da cui proviene papa Bergoglio, l'ordine piu' colto e preparato della Chiesa,, dotato di un prestigio che non e' facile riassumere. A quel tempo – l'inizio degli anni Ottanta-contava 36.038 membri, presenti in innumerevoli punti chiave dei cinque continenti. Non era facile tentare un computo delle universita' che i gesuiti controllavano direttamente o indirettamente (53 nel solo Occidente), i collegi, le scuole, le opere e le iniziative apostoliche.
In Italia, per fare un esempio, erano stati i gesuiti, su sollecitazione di papa Pio XII, a creare una serie di iniziative culturali di grande spessore. Come l'Enciclopedia filosifica che esce nel 1958 e, quasi raddoppiata, nel 1968; o le quattro collane di testi dedicati al pensiero che rimettevano in circolazione opere trascurate, o lette con criteri ideologici, dal mondo laico.
Inoltre i gesuiti avevano controllato le voci religiose della Treccani, non si erano lasciati sfuggire altre iniziative editoriali, erano presenti nelle cure dei grandi testi a Lovanio, a Oxford, alla Sorbona, in numerose altre universita' tedesche e del mondo intero.
''Quel gesto di Giovanni Paolo II, se volessimo tradurlo in soldoni significa anche il commissariamento della cultura della Chiesa, o almeno della parte piu' attenta e operativa'' ha commentato sul ''Corriere della Sera'' Armando Torno. E il fatto che padre Arrupe chiudesse il suo mandato giungendo dall'Oriente, ricordava al mondo che i rapporti con quella parte del pianeta li avevano consolidati e resi operativi proprio i gesuiti, gettando ponti, creando grammatiche, scambiando idee.
William V. Bangert, nella sua 'Storia della Compagnia di Gesu', traccia le radici della presenza culturale dei gesuiti nel mondo, illustrando come dietro a ogni re cattolico (la Compagnia di Gesu' si specializzo' nella direzione spirituale di personaggi di rango elevato, anche di sovrani, come i re di Francia Enrico IV e Luigi XIV) ci fosse un gesuita confessore; e come a fianco di ogni imperatore orientale ci fosse un gesuita consigliere. Perseguitato nel XVIII secolo, l'ordine venne sciolto nel 1773 da papa Clemente XIV e ricostituito da papa Pio VII nel 1814. I gesuiti sono spesso criticati per la loro apertura teologica: ad esempio, per giudicare la colpevolezza di un atto, privilegiarono la teoria del ''probabilismo'': esisterebbe cioe' una molteplicita' di opinioni su quello che deve essere il modo giusto di agire in una determinata situazione e il confessore puo' sceglierne una probabile (non necessariamente la piu' probabile) se questa e' favorevole al penitente.
Ma torniamo al nodo del commissariamento voluto da Giovanni Paolo II.Merita di ripercorrere il percorso attraverso la testimonianza di Pedro Miguel Jamet, biografo di padre Arrupe. Poco prima che l'aereo proveniente da Bangkok atterrasse all'aereoporto di Fiumicino, verso le cinque e mezza del mattino, Pedro Arrupe tento' di prendere la sua valigia. Ma la sua mano non rispondeva. Al suo ritorno da un viaggio nelle Filippine e in Thailandia,dove si era occupato dei rifugiati della Cambogia, del Laos e del Vietnam, qualche cosa aveva fatto 'clic' nella sua testa. L'epoca in cui aveva studiato medicina alla facolta' San Carlos di Madrid doveva indurlo a pensare che si trattasse di una trombosi. Trasportato all'ospedale Salvador Mundi di Roma, alle sette di sera, lo scanner confermo' la diagnosi: embolia della carotide sinistra. In quell'istante si fermo' l'orologio instancabile di padre Arrupe, l'uomo dalla inesauribile attivita' apostolica, il gesuita che aveva soccorso le popolazioni giapponesi dopo Hiroshima.
Una storia, questa, che rende bene l'uomo : Pedro Arrupe, con un semplice secchio, andava a prendere l'acqua per i sinistrati di cui si occupava durante il suo noviziato, in un luogo diventato un ospedale di fortuna. Arrupe operava tra le macerie di una citta' ridotta in cenere in cui si udivano ancora i lamenti delle persone vaganti che domandavano aiuto e un po' d'acqua. Con il suo rasoio da barbiere come bisturi- racconta Jamet- Arrupe tolse migliaia di frammenti conficcati nella pelle dei giapponesi. Senza medicine ne' strumenti, egli doveva ricorrere al suo sesto senso medico: dare piu' cibo a una moltitudine di feriti per facilitare la loro autoguarigione. I suoi gesti d'umanita' erano incredibili.

L'attacco di Wojtyla ad Arrupe e ai gesuiti
Arrupe aveva gia' conosciuto un po' di tutto, dalla sua nascita a Bilbao il 14 novembre 1907: l'esilio in Spagna; il periodo del nazismo in Germania; la fase in cui i superiori lo destinarono agli studi di psichiatria; lo stile di vita degli Stati Uniti; l'entrata del Giappone nella Seconda guerra mondiale, mentre scopriva e si appassionava allo zen e alla cultura orientale. Ma anche la prigione, per l'accusa di spionaggio; cosi come l'enorme sfida di formare dei giovani giapponesi secondo lo spirito del basco Ignazio di Loyola.
Il superiore provinciale Pedro Arrupe si preparava ad assumere le piu' grandi responsabilta'. Egli aveva fatto gia' piu' volte il giro del mondo, ricco dell'esperienza di una permanente vita cosmopolita, molto diversa da quella di Karol Wojtyla. Mentre si trovava nell'eclettica comunita' gesuita del Giappone, intento a rafforzare il prestigio dell'universita' Sophia in questo paese di missione, fu eletto nel 1965 padre generale della Compagniaa di Gesu'. Da qui, lo slancio profetico di Pedro Arrupe si estese su tutto il pianeta, rispondendo alle sfide degli anni Sessanta e alla crisi del dopo Concilio in seno alla Chiesa. Ottimista per natura, continuo' a essere gioviale e sorridente, vivendo una relazione personale con ciascuno dei suo confratelli, sempre rivolto al futuro e impregnato di una permanente creativita' : ''gesuiti come quelli di una volta'' amava dire.
Ma il post Concilio e' anche il momento in cui cominciano i suoi problemi con la Santa Sede. Paolo VI che pure nutriva molto affetto per Pedro Arrupe, comincio' ad avere paura di attraversare l'ultima tappa del Concilio a causa della rivoluzione spirituale provocata dal Vaticano II nella Chiesa. Pedro Arrupe doveva rendere compatibili due realta' che aveva conosciuto bene nel corso della sua vita: la propria 'visione' della Chiesa e la fedelta' alla Sede apostolica. Qui e' da ricercare l'origine del dramma di Pedro Arrupe. I gesuiti, guidati da Arrupe, decisero nel corso della loro trentaduesima congregazione generale di lottare contro l'ingiustizia nel mondo, in seguito alle loro nuove opzioni di fede.
Questo tema e la revisione dei gradi (le differenti categorie dei gesuiti all'interno dell'ordine) provocarano un intervento della Santa Sede. Paolo VI convoco' Pedro Arrupe e non lo lascio' parlare. Gli ordino' di scrivere cio' che gli avrebbe dettato il sostituto della Segreteria di stato, il cardinale Benelli. Arrupe usci' in lacrime. Ma qualche minuto dopo, con un sorriso sulle labbra, spiegava ai rappresentanti dei gesuiti di tutto il pianeta e ai partecipanti della congregazione di Roma come obbedire con gioia. Era diventato una specie di idolo per i giornalisti (era disponibile in tutto e per tutti): si ritrovava traccia delle sue lettere e delle sue conferenze stampa perfino nei giornali dell'Unione Sovietica.
Poiche' scriveva articoli sull'ingiustizia in America Latina, sul razzismo negli Stati Uniti o sulla mancanza di spirito sociale dei suoi ex allievi, fu accusato di marxismo. Egli si prese il rimprovero con humour, senza tuttavia che alcuna critica limitasse la sua liberta'.
Questa apertura sociale, cosi' radicata in lui, esasperava chi all'epoca era arcivescovo di Cracovia, Karol Wojtyla. I gesti di Arrupe avevano piu' impatto delle sue parole: ando' negli Stati Uniti a rendere vista a Daniel Berrigan, un gesuita incarcerato per aver bruciato i dossier militari di reclutamento per la guerra in Vietnam. Sfido' il dittatore Alfredo Stroessner, che aveva espulso numerosi membri dell'ordine in Paraguay. Critico' il generale Franco sul tema delle torture in Spagna. Difese Tielhard de Chardin, il criticato antropologo gesuita, e instauro' un dialogo con i non credenti, gli scienziati, i marxisti e le culture non occidentali.
Ma, soprattutto, scrisse centinaia di testi di spiritualita' e fu piu' volte eletto presidente dei superiori degli ordini religiosi a Roma. Era un leader incontestato del dopo Concilio, seguito e ammirato dall'ala rinnovatrice, fino ad allora maggioritaria, della Chiesa. Ma la parte integrista dell'ordine-nella quale si collocava il futuro papa Jorge Mario Bergoglio- e numerosi vescovi non vedevano di buon occhio le innovazioni di Pedro Arrupe.
Egli aveva in effetti instaurato un modo di governare diverso, piu' disinvolto e amichevole, e stabilito nuove interpretazioni dell'obbedienza e della vita religiosa. L'intervento di quelli che si chiamavano ironicamente i 'gesuiti a piedi nudi' si propago' soprattutto in Spagna.
L'arcivescovo di Madrid, che era allora Casimiro Morcillo, fu sul punto di ottenere dal Vaticano la creazione di una provincia a parte del tutto il gruppo dei gesuiti ortodossi. Tuttavia, Pedro Arrupe, instancabile viaggiatore, che aveva ritardato intenzionalmente la sua visita in Spagna, proprio perche' era il suo paese, vi si reco' nel 1970 e, con la sua innata simpatia, ''si mise in tasca'' numerosi conservatori. Anche l'ondata di proteste da parte di coloro che volevano dei gesuiti ''piu' tradizionali'' continuava ad avere ripercussioni fino a Roma.
Giovanni Paolo I mori' prima di pronunciare un discorso molto critico nei riguardi dei membri dell'ordine di Ignazio di Loyola. E' evidente che anche Giovanni Paolo II non condividesse le idee di padre Arrupe, anche si rispettava il suo grande impegno spirituale. Pedro Arrupe tento' di dialogare con lui. Ma il papa aveva gia' preso da se' le decisioni sul caso. Nel corso del pre conclave che precedette l'elezione di papa Wojtyla, alcuni cardinali, su richiesta del generale dei gesuiti, discussero dello stato dell'ordine nel mondo e analizzarono il discorso di papa Luciani, Giovanni Paolo I.
Karol Wojtyla, che aveva gia' avuto degli attriti con i gesuiti nella sua diocesi, era tra quelli. In seguito, Pedro Arrupe domando' numerose volte udienza a Giovanni Paolo II. Ma il ''papa bianco'' non volle ricevere il ''papa nero'' se non due volte; e solamente per brevi istanti.
Ne corso dei suoi esercizi spirituali, padre Arrupe ebbe una premonizione sulle sofferenze che avrebbe potuto provocare ai gradi superiori. ''Se il mio stile non piace al papa, mi devo dimettere'' disse. Annuncio' alla Compagnia che avrebbe rinunciato al suo posto. Il papa non accetto' le sue dimissioni. Aveva un altro piano per l'avvenire della Compagnia. Sopraggiunge pero' la trombosi e l'orologio si arresto'. Con la meta' del corpo paralizzato, Pedro Arrupe dovette reimparare in qualche modo a scrivere. L'uomo che parlava sette lingue aveva ormai solo l'udito e a stento poteva esprimersi in spagnolo. Aveva dimenticato tutti i nomi.
Chi ebbe l'occasione di rendergli visita a Roma per preparare la sua biografia, nel luglio 1983, racconta che Arrupe si trovava in un angolo della sua spoglia stanza di ospedale, scavato, quasi trasparente, ma con un dolce sorriso sulle labbra, sostenuto da un coraggio interiore impressionante. Pedro Arrupe sorrideva, ma i suoi occhi piangevano. Poiche' non gli era piu' possibile governare conformemente ai regolamenti della Compagnia, aveva nominato il suo vicario, padre Vincent O'Keefe, per convocare la congregazione generale, il 'parlamento' gesuita, che doveva eleggere il suo successore.
A quel punto, la Santa Sede intervenne in maniera imprevista. Un bel giorno, il cardinale Agostino Casaroli, senza informare il nuovo vicario, rese visita a padre Arrupe nella sua stanza d'ospedale. Quando usci', dopo alcuni minuti, c'era una lettera sul tavolo, consegnata all'addolorato padre Arrupe. Il papa interrompeva il processo costituzionale dell'ordine e nominava il suo delegato personale.
All'inizio il Vaticano aveva addirittura pensato a un uomo che non appartenesse alla Compagnia. Ma alla fine decise di scegliere un gesuita, padre Paolo Dezza, un ottantenne, mezzo cieco, che era stato confessore di due papi e la cui principale caratteristica era proprio quella di non approvare le idee di Pedro Arrupe. Per ricompensarlo dei suoi servizi, Giovanni Paolo II lo avrebbe nominato cardinale, dopo la morte di Arrupe. Contemporaneamente a queste manovre, padre Arrupe ricevette il suo biografo, il giornalista scrittore Pedro Miguel Jamet, per un periodo di venti giorni (con il permesso di padre Dezza e del suo coadiutore padre Giuseppe Pittau) e gli accordo' l'ultima grande intervista della sua vita, prima di perdere definitivamente la parola.
Il biografo ripercorre tappa per tappa le differenti peripezie della vita del papa nero e Pedro Arrupe rilascio' preziose dichiarazioni. Eccone qualche esempio illuminante. Sulla decisione dei gesuiti di optare per la giustizia internazionale : ''Sentivo che qualcosa di nuovo stava per cominciare. Avevo una certezza molto forte in me. Non avevo il minimo dubbio. Apparivano una nuova era e dei nuovi valori. Che bella cosa!''. Jamet gli rammento' che la decisione di optare per la giustizia era gia' presente, in molti suoi interventi e lettere. E che durante il Concilio egli aveva gia' parlato del dialogo con il mondo. ''Si', alcuni padri del Concilio allora mi avevano detto : ''Che idiozia!'' Ma io mi sentivo libero. Sapevo che cio' fa parte di Dio. Ora, sono tutti d'accordo su questo''.
Sulla sua maniera di governare i gesuiti, rispettando la liberta' degli individui, Arrupe disse : ''Io non posso governare che in un solo modo. Non sono autoritario. Io spiegavo ed erano loro a decidere''. Su Montini e Wojtyla fece due commenti illuminanti: ''Ho avuto grande fiducia in Paolo VI. Parlavamo di tutto. Dopo essere stato eletto, Giovanni Paolo II mi ricevette e mi pose una serie di domande sulla Compagnia, ma in modo molto generale. Io ero gia' molto preoccupato e avevo molti dubbi. Dopo aver presentato le mie dimissioni, egli mi ricevette due volte. Ma parlo' molto poco con me.''
E' chiaro che il papa venuto dall'Est e ferocemente anticomunista non poteva accettare l'idea di un dialogo con il marxismo, ne' comprendere il sostegno di Pedro Arrupe ai movimenti legati alla teologia della liberazione; e neanche una nuova immersione dei gesuiti nel mondo, in quelli che Karol Wojtyla considerava posti limite.
Padre Giuseppe Pittau, uomo di fiducia del papa e delfino scelto per la successione a Pedro Arrupe, racconto' che Giovanni Paolo II non poteva sopportare di sentir citare in una conversazione il nome di Arrupe. ''Questo lo rende subito nervoso'' rivelo' Pittau. L'avversione di Wojtyla per i gesuiti e' palese. Pittau ha narrato : ''Padre Arrupe stesso mi racconto' che tutte le domeniche si metteva sistematicamente sulla porta della curia generalizia dei gesuiti, nel quartiere di Santo Spirito, per salutare il papa che passava di la' in macchina nel pomeriggio, per recarsi in visita, ogni settimana, a una parrocchia romana. Il papa non rispondeva mai al suo saluto''.
Pedro Arrupe, dopo la trombosi, era consapevole del decadimento psicologico dovuto alla malattia. A mezze parole diceva sovente : ''Io non servo piu' a niente, sono un pover'uomo. Io ho tentato di dire la verita' a ogni persona in tutta franchezza, come la vedevo davanti a Dio. Vedo tutto molto chiaramente. Vedo un mondo nuovo. Sentivo che una luce mi guidava. Noi abbiamo molto sofferto.'' E con la mano sinistra prendeva la sua mano destra tutta irrigidita per dare la benedizione.
Il 2 settembre del 1983, la congregazione generale, finalmente autorizzata dal papa, si riuni' e scelse il successore di Pedro Arrupe nella persona di padre Peter-Hans Kolvenbach, un olandese contro cui l'ex vescovo del Guatemala Gerard Bouffard (ora cristiano rinato in Canada, dopo aver lavorato sei anni in Vaticano con l'incarico di trasmettere la corrispondenza giornaliera riservata tra il papa e i dirigenti dell'ordine dei gesuiti) ha rivolto pesanti accuse.
Precedentemente, Pedro Arrupe aveva presentato la sua domanda di rinuncia – un fatto inedito nella Compagnia – e aveva fatto leggere per bocca di un compagno il suo testamento spirituale e il suo addio alla congregazione generale. Essa lo accolse in piedi e con la piu' grande ovazione mai tributata a un padre della Compagnia di Gesu'. Piu' tardi, Giovanni Paolo II gli rese personalmente visita a due riprese, quando era costretto a letto.
Le foto mostrano un Pedro Arrupe dolce di fronte allo sguardo severo del papa. Un'altra foto, piu' vecchia, scattata nel corso di un'udienza, ha fatto il giro del mondo. Mostra senza ombra di dubbio lo sguardo molto severo rivolto a Karol Wojtyla al padre dei gesuiti.
Eppure, il carisma spirituale di Arrupe era enorme. Severo Ochoa, premio Nobel e compagno di studi di medicina di Pedro Arrupe, benche' si dichiarasse agnostico, gli chiese un giorno la benedizione in ginocchio. Anche Madre Teresa di Calcutta e frere Roger di Taize', cosi' come cardinali, vescovi e semplici persone venute da tutte le regioni del mondo, gli resero visita.
Persino una comunita' protestante era presente durante tutta la sua malattia, accendeva un cero e intonava canti religiosi. Tutti si trovavano d'accordo sull'elogio della sua semplicita' e insistevano sul fatto che Pedro Arrupe fosse soprattutto un amico.
Pedro Arrupe passo' il resto dei suoi giorni in seminconscienza in una piccola camera romana vicino alla curia generalizia dei gesuiti, a due passi dal Vaticano. Vi mori' nel 1991. Il temperamento energico lo aiuto' a mantenersi in vita relativamente a lungo. I suoi ultimi progetti concernevano i tossicodipendenti e i rifugiati.
Con un grande senso dell'umorismo, Arrupe aveva l'abitudine di ascoltare le battute sul suo conto, come questa frase velenosa : ''Un basco ha fondato al Compagnia di Gesu', e un altro si e' incaricato di distruggerla''. Il teologo gesuita salvadoregno Jon Sobrino, in compenso, ha detto di lui '' che aveva aiutato la Compagnia a essere piu' vicina a Gesu'''.
L'itinerario spirituale di quest'uomo singolare non e' importante solo per la storia tormentata dei gesuiti di questi ultimi anni,ma anche in ragione del suo percorso nella vita religiosa del dopo Concilio. Rieletto piu' volte presidente dell'unione dei superiori maggiori, egli fu l'artefice della modernizzazione degli istituti religiosi misti. Certamente, i religiosi hanno sofferto per la forte
diminuzione del numero delle vocazioni. Solamente i gesuiti hanno perduto piu' di diecimila membri in questi ultimi trent'anni. Ma per Pedro Arrupe questa crisi era da inquadrare in una mutazione mondiale, nel cambiamento di valori seguito alla 'rivoluzione' degli anni Sessanta.
I gesuiti hanno fatto spesso opera di promozione sociale, allo stesso tempo criticando il funzionamento interno della Chiesa, un'attitudine che ha infastidito diversi papi determinati a imporre una linea accentrica alla Chies. Tra i leader di quasi tutti i movimenti di liberazione e di trasformazione dell'istituzione ecclesiale vi sono stati molti gesuiti : il gesuita Rutilio Grande (assassinato dai sicari del regime salvadoregno nel 1977), la cui morte determino' l'opera e le scelte di monsignor Oscar Romero, a sua volta ucciso; il padre Ignacio Ellacuria (trucidato nel 1989) e i suoi compagni assassinati in El Salvador, la stragrande maggioranza dei teologi della liberazione; i vescovi socialmente piu' impegnati del Brasile, a cominciare da monsignor Pedro Casaldaliga; cosi come un gran numero di gesuiti firmatari dei documenti europei contro il progetto di restaurazione del papa polacco. I provvedimenti contro la teologia della liberazione presi dall'allora cardinale Ratzinger (prefetto della Congregazione per la dottrina della fede) sono stati rivolti, in gran parte, a teologi e professori spesso usciti dagli istituti religiosi dei gesuiti.
Il commissariamento della Compagnia di Gesu' -attuato in parallelo alla concessione di un enorme potere a realta' come Opus Dei, CL, Legionari di Cristo, Neocatecumenali, Focolarini- rappresenta quindi un fatto centrale nello scontro di potere che ha agitato il Vaticano prima del conclave che ha eletto papa Jorge Mario Bergoglio. Una vicenda che si intreccia strettamente, in modo sotterraneo, con il tema dei rapporti con la massoneria.
Fonte : Vaticano massone

martedì 4 giugno 2019

I servizi segreti governano il mondo?




unz.com
I complottisti si sono sempre immaginati il governo mondiale ombra come composto da un gruppo di malvagi savi, circondati da finanzieri e magnati del cinema. La realtà è però ben peggiore. Non è infatti un governo; è una Rete, come la massoneria di una volta, e consta principalmente di ingannevoli pennivendoli e spie. Due categorie che di lavoro raccolgono dati altrui, e che, invece di servire lealmente i propri padroni, hanno deciso di guidare il mondo nella direzione da loro più gradita.
L’ammiraglio tedesco Wilhelm Canaris, ultimo capo dell’Abwehr, l’intelligence militare di Hitler, era una spia con ambizioni politiche. Sostenne Hitler in quanto nemico del comunismo; giunse però poi alla conclusione che gli Stati Uniti avrebbero svolto meglio tale funzione, e decise quindi di passare alla parte anglo-americana. Venne scoperto e giustiziato per tradimento. Anche il Generale Reinhard Gehlen, suo collega, tradì il Führer e passò alla fazione americana. Dopo il conflitto mondiale, continuò la propria guerra contro la Russia sovietica, stavolta non per l’Abwehr ma per la CIA.
Le spie sono infìde di natura. Contattano persone che hanno tradito i propri paesi; lavorano sotto copertura, fingendo di essere qualcun altro; per loro, cambiare alleato è cosa all’ordine del giorno. Si mescolano con spie straniere, uccidono e sono impuniti; infrangono qualsiasi legge, divina od umana che sia. Se lavorano per il paese sono estremamente pericolosi. Se lavorano per sé stessi lo sono infinitamente di più, soprattutto se continuano a mantenere posizioni istituzionali.
Recentemente abbiamo assistito ad un episodio che ci ha ricordato della loro natura. La principale spia venezuelana, l’ex direttore del Sebin (il Servizio di Intelligence Nazionale Bolivariano), Manuel Cristopher Figuera, ha cambiato fazione durante l’ultimo tentativo di colpo di stato, fuggendo all’estero una volta compreso che il golpe era destinato a fallire. Ha realizzato che l’appartenenza alla Rete è per lui ben più importante del dovere nei confronti della costituzione del paese.
Negli Stati Uniti, le “agenzie-alfabeto” (CIA, FBI ed NSA), ovviamente hanno anch’esse tradito la nazione, come fatto da Figuera, Tuttavia non sono scappate, perlomeno non fino ad ora. I nostri colleghi Philip Giraldi e Mike Whitney hanno ben tratteggiato il complotto architettato da Brennan della CIA e Comey dell’FBI per compiere un regime change negli USA. Le agenzie di intelligence straniere, in primis la britannica GCHQ, hanno svolto un ruolo preminente nel piano. Come prescrive la legge, le spie non sono autorizzate ad operare nel proprio paese. Si entra quindi in una logica di “do ut des”. La CIA spia in Inghilterra e passa i risultati all’intelligence britannica. L’MI6 spia negli Stati Uniti e passa i risultati alla CIA. Oramai sono incredibilmente integrati nella rete mondiale dello spionaggio.
Non è più una questione di Stato Profondo; si tratta di agenti nel mondo che si uniscono contro i legittimi governi. Invece di rimanere fedeli al paese, lo tradiscono. Non lo fanno sempre e solo per soldi – è che pensano di sapere cosa sia meglio per gli altri. In un certo senso, sono una riedizione della Cecil Rhodes Society. Politici e statisti democraticamente eletti devono obbedire a loro od affrontare le conseguenze della loro rabbia, come accaduto a Corbyn e Trump.
Ovunque, che sia nel Regno Unito, in Russia, negli Stati Uniti od altrove, le spie hanno acquisito un potere difficilmente gestibile. La CIA era dietro l’assassinio di JFK ed ha cercato di destituire Trump. L’intelligence britannica ha indebolito Corbyn, dopo aver aiutato la CIA a spingere per la guerra in Iraq. Hanno creato il dossier Steele, inventato la bufala Skripal e portato la Russia e l’Occidente sull’orlo di una guerra nucleare.
Le spie russe sono in relazioni speciali con la Rete globale – e non da pochi anni. Voci persistenti in Russia sussurrano che la perniciosa perestrojka di Gorbaciov sia stata in realtà progettata ed intrapresa da Andropov, capo del KGB dal ’67 all’82. Assieme ai propri incaricati, smantellò lo stato socialista e preparò il cambio di paradigma del ’91, nell’interesse del progetto ‘Unico Ordine Mondiale’.
Andropov (che successe a Brezhnev nell’82 e morì nell’84) lasciò carta bianca a Gorbaciov e ad Alexander Yakovlev, architetto della glasnost. Promosse anche l’arcitraditore Oleg Kalugin, Generale del KGB, a capo del controspionaggio. Più tardi, Kalugin tradì il paese, fuggì negli Stati Uniti e consegnò nelle mani dell’FBI tutte le spie russe di cui era a conoscenza.
Tra fine anni ’80 ed inizio anni ’90, il KGB, originariamente cane da guardia a difesa della classe operaia, passò a lavorare per la Rete. Senza il suo tradimento, Gorbaciov non sarebbe stato in grado di distruggere il paese così in fretta: il KGB disinformò e neutralizzò la leadership comunista.
Permise l’incidente di Chernobyl; permise ad un pilota tedesco di atterrare sulla Piazza Rossa – disastro poi usato da Gorbaciov come scusa per cacciare l’intero lotto di generali patriottici. Il KGB è stato attivo anche nel sovvertire altri stati socialisti. Giustiziò il leader romeno Ceausescu; fece cadere la DDR, la Germania socialista; complottò con Yeltsin contro Gorbaciov e con Gorbaciov contro Romanov. I suoi complotti portarono al crollo dell’URSS.
I cospiratori del KGB del ’91 pensavano che la Russia postcomunista sarebbe stata trattata dall’Occidente come l’evangelico figliol pròdigo, accolto da un vitello ingrassato fatto macellare per la festa di benvenuto. Con loro delusione, scoprirono che alla festa il proprio paese avrebbe dovuto recitare la parte del vitello. Da invisibili sovrani vennero demansionati a guardie del corpo di miliardari. Anni dopo salì al potere Putin, con la benedizione di banchieri e spie mondiali. Essendo però uomo troppo indipendente per potersi sottomettere, è riuscito a traghettare il paese verso il suo attuale corso nazionalista, cercando di recuperare il terreno perduto. La parte lealista dei servizi lo ha sostenuto.
Solo di recente Putin ha iniziato a tagliare la crescita selvaggia dell’FSB, il personale servizio di intelligence. Forse il di solito cauto presidente è stato allarmato dall’insistenza con la quale i media occidentali hanno attribuito il caso Skripal al GRU, la relativamente piccola intelligence militare russa, mentre il molto più grande FSB veniva dimenticato. Il capo del dipartimento dell’FSB per i reati informatici è stato arrestato e condannato ad un lungo periodo di reclusione. Due colonnelli sono stati arrestati, e la perlustrazione dei loro locali ha rivelato immense somme di denaro, in valùta sia russa che straniera. Tali pile di rubli e dollari possono essere raccolte solo se si tenta un regime change, che era ciò che la Rete richiedeva.
In Ucraina, i capi dell’SBU, la sicurezza statale, hanno complottato contro l’ultimo presidente legittimamente eletto, Victor Yanukovich. Hanno aiutato ad organizzare e gestire le manifestazioni di Maidan del 2014, costringendolo a fuggire all’estero. Quelle proteste potrebbero essere paragonate al movimento dei Gilet Gialli; tuttavia Macron, membro della Rete, il supporto dei servizi ce l’ha e quindi è rimasto al potere, mentre Yanukovych è stato tradito e detronizzato.
Negli Stati Uniti, gli agenti hanno permesso a Trump di diventare il principale candidato repubblicano, in quanto ritenuta certa la sua sconfitta contro la Clinton. A sorpresa però ha conseguito la vittoria: da allora quest’uomo, lasciato fare in quanto ritenuto un mezzo buffone, è stato braccato dalla massoneria dei servizi.
Potreste chiedervi ‘ma sono stati così stupidi da credere alla loro stessa propaganda dell’inevitabile vittoria delle Clinton?’. La risposta è sì: erano e sono stupidi. Non sono né buoni né cattivi né saggi. La mia principale obiezione ai complottisti è che di solito vedono i cospiratori come onnipotenti ed onniscienti. In realtà sono troppo avidi per poter essere onnipotenti, e troppo sciocchi per poter essere onniscienti.
La conoscenza dei peccati dei leader dà loro la sensazione di potere. Questa conoscenza però si traduce in controllo effettivo solo in caso di presidenti deboli. I leader forti non si sottomettono facilmente. Putin in passato ha sì commesso la propria quota di atti imprudenti, od apertamente criminali, ma non ha mai permesso ai ricattatori di dettargli l’ordine del giorno. Anche Netanyahu, altro uomo forte della politica moderna, è riuscito a sopravvivere ai ricatti. Dal canto suo, Trump ha sconfitto tutti i tentativi di spodestarlo, sebbene i suoi nemici abbiano strumentalizzato al massimo la sua presunta mancanza di delicatezza nei confronti di donne, ebrei e neri. Ha attraversato il profondo laghetto del Russiagate come fosse Gulliver. Per poter essere maggiormente al sicuro, dovrebbe però effettuare una ripulita nelle “agenzie-alfabeto”.
In Russia, il problema è profondo. Molte spie ed ex spie si sentono più vicine ai nemici ed ai colleghi stranieri che ai concittadini. C’è un tratto quasi massonico nel loro cameratismo. Una tale qualità potrebbe essere ritenuta encomiabile tra soldati dopo l’armistizio, ma qui la guerra sta andando avanti. Gli agenti russi hanno quasi un’infatuazione verso i nemici giurati; a quanto pare è la parte cristiana dell’animo russo, molto pericolosa.
Quando Snowden raggiunse Mosca dopo l’audace fuga da Hong Kong, un programma tv russo ospitò una discussione alla quale partecipai anch’io, in mezzo ad ex spie, giornalisti e parlamentari. Gli agenti russi dissero che era un traditore; un agente che tradisce la propria fazione non può essere ritenuto attendibile, e lo si sarebbe dovuto inviare negli Stati Uniti in catene. È evidente che il legame al gruppo sia molto più forte di quello alla nazione.
Durante la recente visita di Mike Pompeo a Sochi, Sergey Naryshkin, capo dell’SVR, il servizio di intelligence estera russo, ha proposto al Segretario di Stato, nonché ex direttore CIA, di intensificare i contatti tra i servizi speciali russi e quelli statunitensi. Ha chiarito di aver avuto continue interazioni con Pompeo nel periodo in cui quest’ultimo era a capo della CIA. Perché avrebbe avuto bisogno di contatti con l’avversario? Di norma li si evitano.
Persino Putin, che è innanzitutto un nazionalista russo (o un patriota, come si suol dire), e che ha concesso a Snowden asilo a Mosca, al caro prezzo di incrinare seriamente le relazioni con l’amministrazione Obama, ha detto ad Oliver Stone che l’agente statunitense non avrebbe dovuto far trapelare i documenti nel modo in cui l’ha fatto. “Se non gli aggradava il lavoro, avrebbe dovuto semplicemente rassegnare le dimissioni; invece è andato oltre”. Risposta che dimostra che ancòra non è completamente libero dall’influenza della massoneria dei servizi.
Le spia tramano, i pennivendoli difendono le trame. Anche i media sono un’arma, ed una potente. Nel ‘Lohengrin’ di Wagner, il protagonista viene sconfitto dalla campagna diffamatoria subìta. Nonostante il suo miracoloso arrivo e la conseguente gloriosa vittoria, la strega malvagia riesce a fare il lavaggio del cervello alla moglie dell’eroe ed alla corte. La penna può essere più fatale della spada. Quando le due si incontrano, come nel caso di pennivendoli e spie, diventano un potentissimo strumento, che deve essere arginato.
In molti paesi europei, le politiche editoriali internazionali vengono esternalizzate all’Atlantic Council, think tank con base a Washington D.C. Questo ha forte connessioni con Bruxelles e NATO, i due strumenti di controllo sull’Europa. Un altro player è The Integrity Initiative, in cui la differenza tra giornalisti e spie è molto sfocata. E così quella tra destra e sinistra. I media di destra e di sinistra usano argomentazioni diverse ma giungono alla medesima meta, in quanto nodi entrambi della stessa Rete.
Negli anni ’30 erano invece divisi. Gli agenti britannici e tedeschi manovravano in direzioni opposte. L’esercito russo divenne così amichevole coi tedeschi che, ad un certo momento, Hitler credeva che i generali russi si sarebbero schierati con lui contro i propri superiori. Gli inglesi invece si resero amici i servizi russi, i quali quindi cercarono di spingere il governo ad affrontare Hitler. Il cauto maresciallo Stalin epurò dall’Armata Rossa i generali pro-tedeschi e le spie pro-britanniche dell’NKVD, ritardando quanto più possibile lo scoppio delle ostilità. Diversamente, ai giorni nostri la coesione e l’integrazione dei servizi sono salite al livello successivo, rendendo ancor più difficile la loro gestione.
Se sono così potenti, integrati ed uniti, dovremmo forse arrenderci? Assolutamente no! Il loro successo è anche la loro rovina. Possono tramare quanto vogliono, ma non possono controllare tutto. Anzi, quando riescono a corrompere un partito, la gente vota l’altro. La Brexit ne è l’esempio perfetto. La Rete la voleva indebolire; hanno quindi neutralizzato Corbyn accusandolo di antisemitismo, mentre dietro le quinte la May faceva tutto il possibile per sabotare l’uscita dall’UE. Molto intelligente da parte loro – sennonché l’elettore britannico ha risposto abbandonando entrambi i partiti mainstream. In quel caso, hanno fatto un buco nell’acqua.
Il popolo è volubile, non sempre sa cosa sia meglio per sé. Molti demagoghi vogliono ingannarlo. Ciononostante, i funzionari legittimamente eletti dovrebbero avere la precedenza nel governare, ed i non eletti dovrebbero obbedire. I pennivendoli e le spie della Rete invece dovrebbero stare al proprio posto.

21.05.2019

Scelto e tradotto per www.comedonchisciotte.org da HMG

Fico come Boldrini: un insulto agli italiani




Fico come Boldrini: un insulto agli italiani

Fanno di tutto per farcela odiare, questa Festa della Repubblica. Ogni anno, o quasi. Una celebrazione che in fin dei conti rappresenterebbe l’unità dello Stato, elemento avulso da qualsiasi ideologia o visione politica, ma niente. Come la Boldrini due anni fa con le sue facce quasi disgustate al passaggio della Folgore, così Roberto Fico oggi. Le parole del presidente della Camera sono un insulto agli italiani.
Fico oggi ha superato ogni limite della decenza e del rispetto, nel momento in cui ha affermato che “oggi è la festa di tutti quelli che si trovano sul nostro territorio,  è  dedicata ai migranti, ai rom, ai sinti, che sono qui ed hanno gli stessi diritti“.
Solita violenza del concetto di casa, di cittadinanza, di spazio che si acquisisce per radici e per nascita. Dirò una cosa molto chiara: no, non siamo tutti uguali. Non lo siamo nelle nostre abitazioni, non lo siamo nei nostri Stati. Ciascuno di noi è padrone in casa propria, nel rispetto assoluto delle case altrui e dell’incolumità altrui.
i migranti non sono italiani, i rom non sono italiani. I primi hanno certamente delle case in cui hanno il sacrosanto diritto di sentirsi padroni come il sacrosanto diritto di potervi crescere e vivere dignitosamente. In quei contesti, e soltanto in quelli, queste persone valgono più degli italiani. In Italia vale il principio opposto.

Per lo meno così sarebbe in un mondo più sano e normale. Ma anni di propaganda hanno spinto quasi a concepire un assurdo giuridico abbinato a un crimine assoluto contro i popoli: l’aggressione contro le nazionalità, le differenze e i diritti che conseguono da queste. Di più: hanno abolito qualsiasi concetto di dovere, dovuto anzitutto da chi è ospite in casa d’altri, ammesso e non concesso possa guadagnarsi un diritto di permanenza.
Nel frattempo, l’Africa muore, l’Europa muore, muoiono tutti. Ma chissenefrega, si va avanti con quel “fasullo terzomondismo nel quale confluiscono sinistre e populismo cattolico”, per citare Giovanni Sartori, mai troppo lodata mente di sinistra consapevole dell’idiozia imperante che navigava già allora presso il proprio “lato politico” ammesso e non concesso di non offenderlo troppo mettendolo di fianco a gente di poco conto come Fico, dall’inizio del suo mandato capace solo di produrre futile e ridicola retorica, per di più anche offensiva nei confronti di milioni di italiani poveri, che vivono di stenti, che a fatica giungono alla fine del mese.
Italiani che dovrebbero avere la priorità nella celebrazione di questa festa (e non solo), e bene ha fatto Salvini a rispondere per le rime. Ma che non ce l’hanno, questa priorità. Ignorati e calpestati ogni giorno. Non solo: devono pure essere contenti e festeggiare uno Stato che dovrebbe essere casa propria, insieme a migranti e rom.
Fate schifo, cari sinistri. E tanto. Che l’urlo “Folgore!” emesso al passaggio del corpo possa rimbombare nelle vostre triste menti e nelle vostre anime ancora più vuote.

Un capolavoro di autolesionismo politico



DI ANDREA ZHOK
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Comunque il Presidente della Camera Fico che dedica la Festa della Repubblica a Rom, Sinti, migranti e “tutti quelli che risiedono sul nostro territorio” (turisti tedeschi? mafia russa?…) è veramente un capolavoro di autolesionismo politico.
In primo luogo, naturalmente si tratta di una sciocchezza sul piano contenutistico: il 2 giugno (data del referendum del 1946 e della morte di Garibaldi) è proprio tecnicamente la festa di una forma istituzionale, la Repubblica di contro alla Monarchia, non di un territorio.
Ma a parte ciò, la mossa astuta di Fico cerca proprio di battere sulla stessa linea volpina adottata da Di Maio in campagna elettorale, linea riassumibile in:
“Ora che la sinistra è politicamente estinta (ah, la sorte cinica e bara!), a ricalcarne filologicamente le gesta siamo rimasti noi”.
Insomma, per dirla con Machiavelli, tra la “golpe” e il “lione” facciamo “salamandra sulla tangenziale” e non se ne parla più.
E non c’è dubbio che si tratti di una strategia assai promettente, che condurrà in brevissimo tempo Salvini a dichiararsi Imperatore d’Etiopia e il M5S a cercare rifugio dai forconi con asilo politico in Senegal.

Andrea Zhok
Fonte: https://www.facebook.com/
Link: https://www.facebook.com/andrea.zhok.5/posts/1231101453737918
2.06.2019

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