Non ci sono patti scritti, non ci sono carte che attestano transazioni e cambiali, solo un codice d’onore che permette il trasferimento di somme da un posto ad un altro. È il sistema cosiddetto “Hawala“, in voga soprattutto nel mondo arabo. Si tratta di un modo di trasferimento di soldi che si basa sulla parola e che dunque reca con sé numerosi vantaggi, a partire da quello di non lasciare alcuna traccia e di essere dunque relativamente sicuro. Il sistema Hawala è tenuto sott’occhio da molti inquirenti anche in Italia. Essendo diffuso in special modo nel Nord Africa, il rischio è che con questa modalità di finanziamento si faccia arrivare liquidità volta ad agevolare l’immigrazione ed il terrorismo. Ed andare a scovare le reti di chi utilizza il sistema Hawala appare molto difficile.
Le possibili connessioni con l’immigrazione
A spiegare meglio come funziona nel dettaglio il finanziamento tramite Hawala è Giuseppe Morabito, in un articolo pubblicato su ItaliaOggi. “Il sistema prevede la partecipazione di quattro attori – si legge nel pezzo – il richiedente, due hawaladar ed un beneficiario”. Il richiedente è colui che vuole trasferire denaro in un’altra città, l’hawaladar è invece l’intermediario. Ne esistono per l’appunto due durante la fase di passaggio delle somme: uno sta nella città del richiedente, l’altro invece in quella del beneficiario. Il primo raccoglie il denaro del richiedente e contatta il secondo, spesso un suo socio, al quale comunica la cifra della somma richiesta dal beneficiario. Quest’ultimo poi non deve fare altro che andare dal secondo hawaladar e ritirare la somma. Non c’è trasferimento fisico di denaro, non ci sono spostamenti di soldi, tutto inizia e tutto finisce senza lasciare traccia perché l’operazione si svolge sulla semplice parola data tra i protagonisti. Ben si comprende dunque in che modo il sistema hawala entri in gioco nel contesto migratorio.
Colui che vuole raggiungere l’Europa da un Paese arabo o del Sahel, non può certo portare con sé tutta la cifra occorrente. Attraversare il Mediterraneo od i Balcani con le somme che al migrante poi potrebbero servire una volta giunto a destinazione appare senza dubbio rischioso, oltre che difficile a livello logistico. Un giornalista del Washington Post, Joe Parkinson, già nel dicembre 2015 nota un particolare. Il cronista americano si trova nell’isola di Lesbo nel pieno della crisi derivante dalla rotta balcanica, con migliaia di profughi che si riversano dalla Turchia verso la Grecia nel tentativo di raggiungere poi il nord Europa. Nell’isola ellenica Parkinson si accorge che, come prima cosa, gli immigrati appena scendono dai barconi prendono subito il proprio telefono cellulare sigillato in alcune buste. In modo concitato, effettuano immediatamente delle prime chiamate. Dall’altro capo del telefono non ci sono però genitori o parenti, bensì gli hawaladar che comunicano loro dove ritirare il denaro.
In poche parole, il migrante prima di partire comunica e consegna la cifra da spostare nel paese di approdo al primo hawaladar. Quest’ultimo comunica un codice che il richiedente migrante deve poi pronunciare all’hawaladar che troverà alla fine del viaggio nella città di destinazione. Ecco perché la prima preoccupazione di chi sbarca è quella di chiamare il secondo hawaladar: si comunica il codice via telefono ed in tal modo il migrante saprà dove e quando ritirare i soldi. Nell’articolo sopra citato, Giuseppe Morabito mette in evidenza i numerosi casi in cui i migranti scappano dai Cara o dai centri d’accoglienza con la possibilità che essi, per trasferire il denaro dal loro paese, usino il sistema hawala: “Dalla nave Diciotti questa estate sono scappati tutti – si legge – Appena giunto in Italia il migrante non può permettersi di rimanere nei Cara, altrimenti non potrebbe raggiungere la città dove ci sono ad attenderlo l’hawaladar e, soprattutto, i suoi soldi”.
Il sistema dell’hawalad sarebbe dunque molto più diffuso tra i migranti approdati in Europa, dunque anche in Italia, di quanto non si possa pensare. Nel nostro paese i luoghi fisici in cui avvengono le transazioni riferibili al meccanismo dell’hawalad sarebbero call center, internet point o punti adibiti a money transfer. Nello scorso mese di dicembre la direzione distrettuale antimafia di Firenze ad esempio, ha scovato un locale ufficialmente recante l’insegna di money transfer che, in realtà, al suo interno ospitava una banda che con il sistema dell’hawalad ha mosso denaro complessivamente per un valore pari a quasi 400mila euro. Il tutto senza avere la minima possibilità di essere tracciabile. Questo dimostrerebbe come molti migranti di fattohanno già disponibilità di denaro una volta approdati. Soldi liquidi, passati da un paese ad un altro senza destare sospetti perchè fisicamente mai trasferiti se non grazie alla “parola” che funge da garanzia tra un hawaladar ed un altro.
Il rischio terrorismo legato all’Hawala
Oltre all’immigrazione, la lente d’ingrandimento degli investigatori in Europa ed in Italia viene puntata anche sul terrorismo. Se l’Hawala si rivela funzionale alla tratta di esseri umani e permette il trasferimento senza traccia di importanti somme di denaro ai migranti che approdano, nulla vieta di pensare che anche potenziali jihadisti potrebbero servirsi di questo sistema. Soldi in grado di finanziare cellule di organizzazioni estremiste, così come in grado di permettere ad aspiranti terroristi di procurarsi tutte le somme necessarie, potrebbero essere trasferiti dai paesi arabi in Europa.
Un rischio concreto dunque, difficile anche da prevenire: l’Hawala, con i suoi rapporti basati sulla parola e sull’onore, non lascia alcuna scia dietro di sé. Di fatto, è come un gigantesco movimento sotterraneo che, anche se non si vede e non si nota, scorre in modo costante e continuo lungo l’asse che collega le varie sponde del Mediterraneo.
fonte http://www.occhidellaguerra.it/ecco-come-con-il-sistema-hawala-si-finanziano-immigrazione-e-terrorismo/?fbclid=IwAR0_6wEXkwCmB4WfJm0sYbkX4OmOskzEMWXT6FTSYcSO-12WfTe4NnK5Slg