martedì 27 giugno 2017

George Soros e il business della droga

George Soros durante una conferenza in Malesia. Foto da Wikipedia.

George Soros è uno degli influencer comportamentali dei nostri tempi. Se i “valori” propugnati dai movimenti anarchici e libertari degli anni 60′ e 70′, infatti, trovano continuità nell’attuale espressione del sistema capitalistico, abitano anche nelle strategie finanziarie e culturali dell’investitore di origini ungheresi.
Il successore di Allen Ginsberg, il profeta della beat generation, ha preso residenza a Wall Street. E se il ragionamento dovesse apparire paradossale, basterebbe leggersi le analisi di Costanzo Preve sulla contiguità tra la liberalizzazione dei costumi propagandata nel 68′ e l’attuale sistema economico finanziarizzato per capire che, queste analogie, paradossali non lo sono affatto. Oppure seguire le tracce di certi finanziamenti.
Quando il miliardario decise di mettere sul banco una riedizione del Piano Marshall in funzione di un ausilio necessario alle nazioni appena uscite dal comunismo erano gli anni 90′ e tra i messaggi pubblicitari paralleli venne strutturato, appunto, un sostegno alla liberalizzazione delle droghe leggere. Così, una pioggia di soldi venne catapultata nelle tasche delle associazioni a favore della legalizzazione di alcune sostanze stupefacenti. Un costume che Soros ha perpetrato negli anni, il cui conto totale è difficilmente rintracciabile: trent’anni di aiuti indiretti. Chi ha provato a fare una sommatoria, ha dedotto che la cifra  sborsata da George Soros per la causa della liberalizzazione, sarebbe pari a 80 milioni di dollari. Niente, per uno che ha un patrimonio stimato di 20 miliardi. Una cifra enorme, però, se si considera lo scopo e i possibili effetti conseguenziali.
Le donazioni di George Soros, come si legge qui, utilizzano canali precisi:  la Drug Policy Alliance, anzitutto, un ente no-profit a cui il magnate darebbe 4 milioni di dollari annui, l’ American Civil Liberties Union, altra organizzazione tesa a finanziare iniziative per la per la legalizzazione della marijuana e la Marijuana Policy Project, indirizzata verso gli interventi statali in merito. Ma anche il Lindesmith Center, il Drug Stategies  ed una serie di organizzazioni minori. Fu un’inchiesta del Daily Mail a stanare il circuito in questione. George Soros, in fin dei conti, potrebbe apparire anche in questo caso come un filantropo, uno che ha deciso di provare a far sì che l’opinione pubblica evitati di criminalizzare i consumatori abituali, ma a farne il più grande sostenitore diretto di una vera e propria riforma dell’utilizzo della droga nel mondo sono dei dati specifici e delle vicende concrete; negli Stati Uniti ha finanziato tre partite decisive per l’avvallo dell’ideologia antiproibizionista :  in California,  in Colorado e nello stato di Washington D.C.
Nel primo caso ha contribuito  alla campagna referendaria per la regolamentazione fiscale della canapa. Una battaglia elettorale complicata, per cui George Soros stanziò 1 milione di dollari. L’esito elettorale fu sfavorevole, ma il tutto rappresentò comunque un primo passo verso la vittoria della cultura della regolarizzazione dell’uso della marijuana negli States. In Colorado, infatti, Soros e Lewis, suo braccio destro, stanziarono  il 67%  dei finanziamenti totali finalizzati a sostenere un progetto di legge per omologare la  la marijuana all’alcool. Questa volta il 54,8% di chi si espresse votò a favore della proposta.  A Washington, infine, i due donarono il 68% dei contributi per la campagna sulla liberalizzazione delle droghe leggere. Il disegno di legge passò col 70% dei consensi. Quando alla marijuana viene associato un approccio legislativo diverso da quello proibizionista, insomma, la firma di Soros sembra essere facilmente rinvenibile. Ulteriori fonti, poi, sostengono che dietro la strategia del magnate ci sia un disegno  scientifico : la rivista Eir  ha impegnato un intero numero per dimostrare che George Soros è ”  impegnato nella più grande campagna internazionale per la legalizzazione” . Anche ad Harvard, del resto, si fa un gran propagandare sul tema e l’università del Massachusetts non sarebbe del tutto estranea a certe oliature della Soros Fondation.
Complottismo? Forse, magari più banalmente ideologia. Quella del 68′, che cammina sulle gambe di chi tendenzialmente avrebbe dovuto rappresentare un hostis, un avversario giurato di quella generazione rivoltosa.
fonte http://www.occhidellaguerra.it/george-soros-business-della-droga/

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