I dati della polizia confermano: Foggia è tra le emergenze principali. Spaccio di droga e racket costituiscono le maggiori fonti di guadagno. Gli agguati. La Scientifica in località Molinella (tra Vieste e Peschici Gargano), dove lo scorso 30 è stato ammazzato un pregiudicato. A Vieste il 26 gennaio 2015 è stato ucciso il boss Angelo Notarangelo. La Società foggiana è capace di farti del male da vivo e da morto. Prima soffocandoti l’esistenza, poi uccidendoti e sfigurando il tuo cadavere con il colpo di grazia consegnato a un fucile a pallettoni. Non è sufficiente farti fuori è importante umiliarti. La Società foggiana non ha il giro d’affari di Cosa nostra, della ’ndrangheta e della camorra, ma tra tutte e quattro oggi è la mafia più cattiva. E per quanto si tratti di uno spaccato finito fuori dai radar della comunicazione tradizionale, sono le statistiche della polizia di Stato a imporre la fotografia di un mondo vicino al collasso, che precipita Foggia in testa alle classifiche delle emergenze criminali. Il punto è che nel foggiano si spara. E lo si fa ogni giorno. Da settembre a oggi, con picchi in novembre e dicembre, ci sono stati quattro omicidi e otto tentati omicidi. E dieci bombe sono esplose davanti ai negozi. Punizioni per chi non paga il pizzo. O anche avvertimenti per esercizi commerciali vicini: se non ti pieghi salti per aria anche tu. «Quello che succede qui è inimmaginabile, eppure nessuno ne parla, come se nei duecento chilometri di strade tra Foggia e il Gargano esistessero solo Padre Pio, gli ulivi, la mozzarella buona e il mare azzurro», dice il questore Piernicola Silvis. In effetti non c’è nulla di religioso nella Società foggiana, nemmeno i rituali di affiliazione. Niente santini bruciati, niente sangue scambiato, niente che possa lasciare traccia. Solo un patto definitivo, spesso di tipo familiare, che neppure la morte è in grado di sciogliere. «Lo spaccio della droga e il racket sono le principali fonti di guadagno. Soprattutto il racket. Secondo i nostri calcoli l’80% dei commercianti foggiani paga il pizzo. Ma praticamente nessuno lo denuncia». Otto negozi su dieci. Cioè tutti. «Omertà, paura, disabitudine alla legalità. Tanto che con la procura stiamo cercando di trovare un modo per accusare di concorso esterno i commercianti che non denunciano il racket. Loro e gli imprenditori edili. Perché qui ogni volta che si apre un cantiere la richiesta di pizzo è automatica». Peccato che il concorso esterno sia pieno di fragilità legali in generale, figuriamoci in questo caso. Ma Silvis insiste. «Io sono foggiano e i miei concittadini li conosco bene. Sono testardi. E l’unico modo per convincerli a collaborare è essere decisi». Un tentativo di mettergli più paura della mafia. La mafia, però, di paura ne fa tanta.Le richieste di denaro. Giovanna Parlante, titolare di una pizzeria in via Corso, riduce al minimo le parole perché le considera una trappola. Ma quelle che usa fanno male. E’ una donna solida, pratica, che pochi anni fa ha sconfitto un tumore al cervello. Un miracolo. Che con la Società foggiana non le è riuscito. La sua pizza al taglio era una meraviglia (lo è ancora). Centinaia di clienti. Ottimi prezzi e ottimi affari. Poi è arrivata la mafia. «Mi hanno imposto di comprare la mozzarella da loro». Lei lo ha fatto. Solo che la mozzarella faceva schifo. E la pizza peggio. Si è ribellata. E’ cominciato il calvario. Le hanno bruciato la macchina. E poi hanno cercato di entrarle in casa. Ha dovuto mettere le telecamere per proteggersi. Quindi ha chiamato la Fondazione antiracket di Tano Grasso.
fonte IR TV
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