lunedì 14 dicembre 2015

il terrorismo dell'Isis ricorda gli anni bui della Rivoluzione francese

«Voltaire è un buon riferimento per reagire al terrorismo». Queste le parole, dopo i fatti di Parigi, di

Robert Darnton, tra i massimi studiosi dell’Illuminismo.

Stupisce che un razzista, antisemita e filo-schiavista come Voltaire, il cui motto più noto fu “Écrasez l’Infâme” (“schiaccia l’infame”, ovvero “a morte i Gesuiti cattolici”), venga considerato ancora oggi con tale onore. Ed infatti, pochi giorni, dopo su “Il Manifesto” è arrivata una indiretta risposta di Peter McPhee, Fellow professor all’Università di Melbourne e tra i maggiori specialisti della storia rivoluzionaria francese, che ha parlato di «deragliamento terroristico dei processi rivoluzionari».

Proprio a Voltaire, infatti, si ispirò dichiaratamente Robespierre, il cosiddetto “becchino illuminista”, il quale «si fece coinvolgere in un brutale gioco al ribasso, arrivando a licenziare la legge contro i “nemici della Rivoluzione e del popolo” del 10 giugno 1794, che cancellava di fatto il diritto degli imputati alla difesa, il ricorso in appello, il giudizio alternativo alla piena assoluzione o alla totale condanna e stabilendo, infine, che il mero sospetto fosse di per se stesso elemento sufficientemente probante».

Questi furono i veri “valori” che emersero dalla Rivoluzione francese, sinonimo più di Terrore ed epoca buia che culla della democrazia. Lo sanno bene i vandeani, soppressi brutalmente dai valorosi rivoluzionari illuministi nel cosiddetto “Massacro dei Lumi”, «quando i massacri a danno dei civili compiuti dalla guardia nazionale repubblicana avviarono la lunga prassi di una politica di repressione indiscriminata contro gli insorgenti, la quale si sarebbe ripetuta nel corso del tempo, diventando una triste abitudine nel Novecento», ha proseguito il prof. McPhee. 117.000 persone massacrate in nome della liberté illuminista.

Il sociologo Giuliano Guzzo ha giustamente ricordato alcune analogie tra il Regime del Terrore francese e il terrore moderno promosso dall’ISIS. La decapitazione a cui assistiamo oggi, promossa dagli uomini del Califfato, conobbe infatti notevole diffusione proprio durante gli anni della Rivoluzione francese (18.000 decapitati almeno, al ribasso). Un altro parallelo è la distruzione delle opere d’arte e la discriminazione delle donne: ricordiamo che l’avvocato Sylvain Marechal (1750-1803), illuminista, propose nel 1801, durante la Rivoluzione, di vietare alle donne di imparare a leggere, e la stessa autrice della “Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina”, Olympe De Gouges, venne decapitata per «per aver dimenticato le virtù che convenivano al suo sesso».

Il celebre storico Pierre Chaunu, professore di Storia Moderna alla Sorbonne e membro dell’Institut de France ha spiegato che la considerazione altamente positiva da parte dei nostri intellettuali (anticattolici, in gran parte) verso il passato della Francia, «è una visione della storia assolutamente falsa, scritta da vincitori o comunque, in larga misura, da ricercatori con spiccate simpatie per l’ideologia rivoluzionaria. La rivoluzione è stata, in tutti i campi, una regressione della nazione». Fortunatamente, molti coraggiosi studiosi «hanno mostrato l’ampiezza straordinaria dei massacri compiuti sotto la Rivoluzione. Se si sommano le perdite della guerra e le perdite anteriori, si arriva per un Paese di 27 milioni di abitanti qual’era allora la Francia ad un totale che è nell’ordine di milioni. Sono perdite notevolissime, ancora maggiori di quelle subite dalla Francia nella Prima Guerra Mondiale. Per tutte queste ragioni, il bilancio della Rivoluzione è largamente negativo». Il mondo senza Rivoluzione francese sarebbe «molto migliore». Perfino Vito Mancuso, non certo sospettabile di simpatie cattolico-cristiane, ha riconosciuto: «nei dieci anni della sua durata (1789-1799) si registra un numero di vittime variamente stimato dagli storici ma comunque enorme, visto che nei diciassette mesi del Terrore tra il 1793 e il 1794 si ebbero centomila vittime, una media di quasi 200 morti al giorno. E tutto questo nel nome di “liberté, égalité fraternité”».

Altro che Liberté, Égalité e Fraternité. A proposito di questo motto, la nota scrittrice Rosetta Loy, autrice “della memoria” per i suoi libri di denuncia contro la tragedia dell’Olocausto, ha commentato pochi giorni fa: «questa triade ha perso buona parte del suo valore quando i loro propinatori nel XIX secolo hanno rivolto i loro interessi verso gli altri continenti; e dimenticando Liberté, Fraternitè, Egalité, hanno brutalmente sfruttato le popolazioni che li abitavano da millenni. A volte in maniera orrenda e inaccettabile».

Una triade che invoca la libertà, l’uguaglianza e la fratellanza. Sono i principi del cristianesimo, non certo dei rivoluzionari giacobini, che copiarono maldestramente dal Vangelo. Sono i valori del Medioevo cristiano (da loro denigrato come “secoli bui”). Infatti, ha proseguito lo storico della Sorbona di Parigi, Chaunu, «la libertà non è caduta dal cielo con la Rivoluzione, si è costruita nel nostro Paese attraverso i contadini del Medio Evo, coi Comuni, con il Parlamento, con tutta la costituzione giuridica: ebbene, occorre il coraggio di dirlo, lo Stato di diritto nel quale viviamo attualmente non è figlio della Rivoluzione, è figlio della storia, di San Luigi come di Luigi XVI. Tutti i principi che si trovano nella Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino erano già formulati, più o meno intelligentemente nella dichiarazione di Jefferson del 1783, e non sono altro che principi giudeo-cristiani. Che tutti gli uomini sono liberi è un principio del Deuteronomio».

Per questo, di fronte al terrore del fondamentalismo islamico, occorre fare memoria delle radici cristiane dell’Europa, prendendo le distanze dagli anni bui -e non certo “illuminati”- della Rivoluzione francese.

Fonte UCCR Marilina Lince





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