domenica 17 giugno 2018

Allora, chi sta tentando di rapire l'Europa, la Russia o gli Stati Uniti?


Nella guerra dei nervi tra i leader occidentali, nessuno voleva cedere


I disaccordi tra gli Stati Uniti e i loro alleati europei continuano a crescere. Ancora una volta, questo fatto si è chiaramente palesato nel recente incontro del G7 in Canada. Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha persino informato https://twitter.com/realDonaldTrump/status/1005586152076689408   i suoi partner che gli Stati Uniti non avrebbero appoggiato il comunicato finale alla fine del vertice, definendo “false” le dichiarazioni del primo ministro canadese Justin Trudeau sulle tariffe. La guerra di nervi tra i leader occidentali, nella quale, a quanto pare, nessuno vuole cedere, sta diventando sempre più aperta e implacabile.
Tutti sono d’accordo sul fatto che il principale provocatore sia proprio il presidente Trump, il quale, in modo coerente e ostinato sta conducendo la revisione dell’intero sistema di relazioni transatlantiche a favore degli Stati Uniti. La questione delle tariffe è solo uno degli elementi di questa tendenza. Per tal ragione, secondo un’abitudine adottata negli ultimi tempi in Occidente, spesso risuona https://www.welt.de/wirtschaft/article176959718/Handelskrieg-Treibt-Trump-die-EU-in-Putins-Arme.html?wtrid=onsite.onsitesearch la diceria che lo stesso Trump stia giocando a favore della “Russia di Putin”.
La Russia, si vocifera, con l’aiuto di “mezzi ibridi” in tutti i modi aspirerebbe non solo a dividere l’Europa dagli Stati Uniti, ma anche a spaccare la stessa Unione Europea. In altre parole, Putin si accingerebbe a un “rapimento dell’Europa”, e Trump lo starebbe aiutando, ricompensando l’assistenza ricevuta “dai russi” nelle elezioni del 2016. Le dimensioni della “cospirazione della Russia contro l’Europa”, ad esempio, negli scritti https://www.thetimes.co.uk/edition/world/european-voters-elect-pro-putin-governments-7hqhl2pw8 del britannico Edward Lucas, quasi quasi acquisisce natura cosmica. Ai suoi occhi, con l’intento d’indebolire la NATO e l’UE, “agenti russi” all’estero seminerebbero contrasti linguistici, etnici, sociali, regionali, culturali. Come risultato, in Europa è diventato ammissibile criticare la NATO, definendola “un ricattatore aggressivo, costoso, bellicoso” (orrore!), e qualificare i passi politici dell’Alleanza come “tentativi da parte di stranieri d’imporre la loro volontà ai popoli”.
Tuttavia, la realtà ci narra tutt’altro. Si tratta, invece, di Washington che sta cercando di trattenere l’Europa, un tempo da lui «rapita», ma da molto in grado ormai di vivere in modo indipendente. In particolare, è proprio Washington che tenta di contrapporre alcuni membri dell’UE ad altri. Mosca s’inserisce in questo contesto, piuttosto, come dato oggettivo, rispetto a ciò che potrebbe di fatto influenzare.
Dopotutto, nella traduzione dal linguaggio della mitologia al linguaggio della politica, la metafora del “rapimento” rimanda a chi rimarrà col controllo dei principali processi in Europa – agli americani, ai russi o agli stessi europei. Nel caso della Russia, parlare di controllo, non calza: la Russia non ne ha, né la capacità, né la necessità. È sufficiente guardare l’elenco dei partner commerciali dell’UE. Il primo posto, anche se in caduta, continua ad essere occupato dagli Stati Uniti. A fine 2017, il volume del loro giro d’affari ammontava a 631 miliardi di euro, pari al 16,9% del commercio estero dell’UE. Per gli Stati Uniti, la quota dell’UE nel loro interscambio è di circa il 13,5%. La seconda posizione da 573 miliardi di euro (15,3%) è occupata dalla Cina. In terza posizione c’è la Svizzera (261 miliardi di euro, 7%). La Russia è solo quarta (231 miliardi di euro, circa il 6,2%). Allo stesso tempo, nel commercio estero della Russia, la quota rappresentata dall’UE, nel 2017, ha toccato il 42,2%. L’aritmetica elementare, non l’algebra strategica, indica che la Russia dipende ripetutamente più dal commercio con l’Europa che da se stessa. Lo stesso vale per la fornitura d’idrocarburi russi in Europa. Nel bilancio energetico dell’UE, essi non superano il 5%, mentre, per il PIL della Russia i ricavi da tali forniture sono fondamentali. Questa non è semplicemente una leva su entrambe le direzioni: la spalla russa è molto più vulnerabile.
Ed è proprio la Russia che ha bisogno di riflettere seriamente su come risolvere tale problema per il mantenimento della propria sicurezza economica. Un’Unione Europea stabile e in sviluppo efficace risponde agli interessi nazionali russi, quindi non vi sarebbe alcun motivo per far saltare la coesione dell’UE, Mosca non ne avrebbe alcuna ragione. Secondo Vladimir Putin, il 40% delle riserve russe in oro e in valuta sono conservate in euro. Recentemente ha affermato https://tvthek.orf.at/profile/Additional-Content/1670/Langfassung-Wladimir-Putin-Das-Interview/13978963/Langfassung-Wladimir-Putin-Das-Interview/14310995 : “Perché dovremmo smuovere il tutto, compresa la moneta unica europea come derivata dall’oscillazione della stessa Unione Europea?”.
La Russia non ha bisogno di acquisire o di ampliarsi con un ulteriore avamposto in Eurasia poiché, lei stessa, ne costituisce già la parte più considerevole. Per la Russia, il compito principale è proprio quello di mantenere la sua vantaggiosa posizione intermedia tra i due potenti poli economici: la Cina e l’Europa, non d’invadere il loro spazio rovinando così il suo status quo. Alla luce degli accordi che sono echeggiati durante la visita di Putin a Pechino dall’8 al 10 di giugno, nei prossimi anni questa condizione potrebbe addirittura rafforzarsi. Stiamo parlando dell’inserimento della Russia nel programma elaborato dai cinesi, incluso il trasporto passeggeri, per lo sviluppo del traffico ferroviario di merci su elevata velocità (fino a 250 km/h). I container, in andata e ritorno dalla Cina all’Europa, attraverso il territorio russo, su questo percorso potranno giungere a destinazione in soli 2 giorni. In considerazione degli indiscutibili successi cinesi in questo campo, questo progetto darà un potente impulso all’integrazione euro-asiatica.
Diversa è la situazione in relazione alla formazione, sul lungo termine, dei rapporti tra l’Europa e gli Stati Uniti. Solo il mantenimento dell’Europa nella propria orbita garantirà agli Stati Uniti la salvaguardia della loro leadership mondiale. Tuttavia questa attuazione sarà sempre più difficile in un mondo multipolare. I tempi del piano Marshall e la dipendenza incondizionata dell’economia europea dall’economia americana, quando gli americani non dovevano dimostrare nulla ma davano solo disposizioni, sono ormai alle spalle. Da qui, la crescente attenzione della Casa Bianca verso il problema del controllo sugli alleati per compensare il declino del proprio potere statale e la perdita di leve economiche d’influenza. Talvolta questo controllo diventa estremamente meschino e fastidioso, al punto di generare un’evidente irritazione da parte europea, come nel caso delle sanzioni anti-russe; il problema è sorto molto prima del presidente Trump, con lui ha solo acquisito dei contorni più chiari. L’aumento delle offese americane verso il comportamento “parassitario” degli europei, le perdite derivanti dallo scambio di merci con gli stessi europei, sono, a loro volta, una manifestazione del relativo declino di potere dell’America.
Gli Stati Uniti sono ancora il primo partner commerciale dell’UE, ma alle sue spalle l’America sente già il respiro della Cina, la quale, insieme alla Russia, su questo parametro supera già gli Stati Uniti. I progetti di transito già in corso in Eurasia inevitabilmente accelereranno l’ulteriore divergenza di queste traiettorie. Gli Stati Uniti incapaci di resistere alla concorrenza aperta, incluso quella sui mercati europei, ricorrono dappertutto all’utilizzo di metodi non economici per garantire i propri interessi. Ciò si manifesta, sia nell’espansione senza precedenti delle sanzioni contro altri stati (per un qualsiasi motivo), sia nella guerra tariffaria contro i propri alleati.
Fino a poco tempo fa sarebbe stato impossibile immaginare che il vertice del G7 in Canada sarebbe stato tenuto sotto la bandiera del protezionismo e con la ritirata dai principi liberali dell’ordine mondiale, mentre gli stati membri della SCO (Shanghai Cooperation Organization n.d.r.) in una riunione in Cina avrebbero sostenuto il libero commercio senza restrizioni. Ma questo è ciò a cui ora noi stiamo assistendo, osservando cambiamenti radicali nell’agenda mondiale. L’ideologia e la pratica del globalismo sono seriamente erose. È difficile dire cosa ne verrà in cambio. Un dato però è ovvio: più forte sarà il controllo, più forte sarà l’aspirazione a liberarsene.
L’evidente discordia tra Europa e America, in pratica, non dipende da una qualsiasi “azione dietro le quinte” da parte della Russia, ma si basa su profondi processi dello stesso mondo occidentale. L’Europa, legittimamente e inevitabilmente, apparterrà agli europei senza dipendere dalla volontà di qualcun altro. Tenere all’infinito l’Europa in una condizione di “rapimento” non funzionerà. Allo stesso tempo, gli Stati Uniti, sangue dello stesso sangue del “vecchio continente”, manterranno sempre stretti legami con gli europei. Quindi, il desiderio di una maggior indipendenza da parte di questi ultimi (gli europei n.d.r.) non è un’aspirazione alla scissione indotta da qualcuno, ma un’esigenza fondamentale di uguaglianza, come valore, che sembra essere stata fissata nelle costituzioni di tutti gli stati occidentali.

Dmitrij Minin
Fonte: www.fondsk.ru
13.06.2018
Scelto e tradotto per www.comedonchisciotte.org a cura di ELISEO BERTOLASI
http://www.comedonchisciotte.net/modules.php?name=News&file=article&sid=6587

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