giovedì 9 luglio 2015

Il sistema solare ha bisogno di Dio?

L’aneddoto è controverso ma qui lo racconto nella versione più semplice e popolare. Quando nel 1796 Laplace presentò a Napoleone Bonaparte la prima edizione del suo “Trattato sul sistema del mondo”, il generale osservò: “Mi hanno riferito che in tutte queste pagine Dio non è neppure citato.”. “Non ho avuto bisogno di questa graziosa ipotesi” rispose l’astronomo. Ribatté Napoleone: “Però è una ipotesi che spiega tante cose”.

C’è chi attribuisce a Lagrange quest’ultima battuta, la sostanza però non cambia. Come la maggior parte degli scienziati del suo tempo, Laplace era convinto che, conoscendo perfettamente tutte le condizioni iniziali dell’universo, fosse possibile calcolarne in modo certo tutti gli sviluppi successivi: passati, presenti e futuri. Non a caso la legge di gravitazione di Newton era contenuta in una semplice equazione ed era per antonomasia “universale”. E’ la concezione del mondo che si suole definire “deterministica”.

In realtà le cose non stavano così, o meglio stavano così solo nel caso semplicissimo che i corpi in questione fossero due, per esempio la Terra e la Luna. Ma il sistema solare è formato da centinaia, anzi migliaia di corpi grandi e piccoli, e le stelle sono miliardi di miliardi. Già con tre corpi la meccanica celeste si complica, proprio come nella vita quando i corpi sono quelli di lui, lei e l’altra.


Lagrange si cimentò con il problema dei tre corpi (celesti) e nel calcolo del loro moto trovò soluzioni precise soltanto in casi molto particolari. Quelle soluzioni oggi sono molto apprezzate: i “punti di Lagrange” del sistema Terra-Sole identificano zone di equilibrio gravitazionale nelle quale gli astronomi inviano sonde spaziali che non devono essere disturbate dalle radiazioni naturali e artificiali che inquinano i dintorni della Terra.


Cercò poi di trovare una soluzione generale del problema a n corpi Henri Poincaré (foto), e fu una vicenda dolorosa ma feconda per la scienza. Nato nel 1854 da buona famiglia, Poincaré aveva pubblicato tra il 1879 e il 1881 una ventina di lavori matematici di altissimo livello e in più aveva trovato anche il tempo per sposarsi. Era dunque già famoso quando nel 1885 re Oscar II di Svezia per celebrare il suo regale sessantesimo compleanno bandì un premio di matematica dotato di una medaglia e 2500 corone d’oro.


Dei tre problemi posti, Poincaré scelse il primo, che era appunto quello degli n corpi in meccanica celeste. Nel maggio del 1888 inviò alla giuria una memoria di 160 pagine intitolata “Sul problema dei tre corpi e le equazioni della dinamica. Tre è assai meno di n corpi, ma il premio gli fu comunque assegnato con questo giudizio: “E’ il lavoro profondo e originale di un genio matematico, tra i più grandi del secolo. Le più importanti e difficili questioni, come la stabilità del sistema solare, sono affrontate usando metodi che aprono una nuova era nella meccanica celeste”.


In vista della pubblicazione, toccò al giovane matematico Lars Phragmén curarne la revisione. Con sgomento, il ragazzo si accorse che alcune cose non quadravano e tremebondo le segnalò a Poincaré. Questi aggiunse nove note seguite da un lungo silenzio. Il lavoro era ormai in tipografia quando il 1° dicembre 1899, in una lettera imbarazzata e commovente a Phragmén e alla Commissione del premio, si decise a riconoscere di aver commesso un grave errore, un errore che aveva conseguenze decisive per la stabilità del sistema solare. In sostanza, il problema dei 3 corpi non era affatto risolto e il moto dei pianeti non solo non risultava prevedibile con precisione assoluta, ma su tempi lunghi risultava caotico. Addio determinismo, con tanti saluti a Laplace.


A questo punto Poincaré preparò una nuova versione del suo lavoro, che si allungò da 160 a 270 pagine e il giovane Phragmén si prodigò per recuperare e far distruggere le copie già stampate che erano andate in giro. Ovviamente Poincaré dovette pagare la stampa del lavoro finalmente corretto. La nuova edizione gli costò 3500 corone d’oro, mille di più del premio. Ne valeva comunque la pena, perché con il suo errore Poincaré si era imbattuto in quella che sarebbe poi diventata la “teoria del caos”.

Il numero 84-85 (aprile 2013) della rivista “Lettera Matematica” del Centro Pristem dell’Università Bocconi riporta le parole con cui il grande matematico francese alza per la prima volta il velo sul caos deterministico: “Quando si cerca di rappresentare la figura formata da queste due curve e le loro infinite intersezioni, ognuna delle quali corrisponde a una soluzione doppiamente asintotica, queste intersezioni formano una specie di rete, ragnatela o reticolato infinitamente intricato. Si viene colpiti dalla complessità di questa figura che io non tento neppure di disegnare”. Più tardi aggiungerà: “Può capitare che minime differenze nelle condizioni iniziali producano enormi differenze negli esiti finali”. E’ né più né meno l’”effetto farfalla” che, con l’aiuto del computer applicato alle previsioni meteorologiche, Edward Lorenz scoprirà nel 1963.

Poincaré si riprese bene dall’incidente di percorso, tanto che nel 1896 accettò la cattedra di astronomia teorica e meccanica celeste all’Università di Parigi e nel 1905 diede una sua versione della relatività speciale che, pur partendo da presupposti diversi, coincide in modo sorprendente con quella più famosa e completa di Albert Einstein. Il quale ebbe poi modo di ampliare e concludere la teoria con la relatività generale, che invece Poincaré non poté vedere perché il 17 luglio 1912 morì a causa di un embolo conseguente a un intervento chirurgico.

La stabilità del sistema solare è un tema drammatico, cruciale per l’umanità. Sappiamo dall’astrofisica che i pianeti si sono formati poco meno di 5 miliardi di anni fa e che l’evoluzione della vita ha richiesto 3,5 miliardi di anni. Se le orbite non fossero stabili su tempi più brevi non saremmo qui perché la Terra avrebbe avuto grandi sbalzi climatici e forse sarebbe persino stata espulsa dal sistema planetario, mentre il caos ha influito su di essa “soltanto” scagliandole contro asteroidi normalmente in orbita tra Marte e Giove. Si pone quindi il problema di capire la scala dei tempi del caos intravisto da Poincaré.

Tornò ad affrontare la questione George David Birkhoff (1884-1944) ma riuscì soltanto a dimostrare la proibitiva difficoltà di venirne a capo. Nel 1954 segnò un progresso Andrei N. Kolmogorov (1903-1987) con il suo teorema della “persistenza delle orbite” quasi-periodiche nei sistemi hamiltoniani quasi-integrabili. Sembrò una quasi-rivincita della meccanica classica e della predicibilità deterministica in stile Laplace, ma si tratta soltanto di una approssimazione.

Nel 1990 Jacques Laskar (Osservatorio di Parigi) ha ripreso i lavori di Lagrange e ha trovato un modo per integrare i moti planetari su lunghi periodi non con un passo non di poche ore, il che è arduo, ma con un passo di 500 anni. Dopo 2500 simulazioni al computer nel 2009 Laskar è riuscito a delineare un modello di sistema solare abbastanza attendibile su un tempo di 10 miliardi di anni, che è poco meno dell’età dell’universo.

“I risultati – scrive sul citato numero di “Lettera Matematica” Stefano Marmi, docente di Analisi alla Scuola Normale Superiore di Pisa – furono sorprendenti: le orbite dei pianeti del sistema solare interno (Mercurio, Venere, Terra e Marte) sono caotiche con una scala temporale per l’instabilità dell’ordine di 5 milioni di anni.

Una conseguenza pratica di un valore così basso è l’impossibilità del calcolo di un’effemeride planetaria per i pianeti interni: in circa 100 milioni di anni un errore nella posizione iniziale di 15 metri può crescere fino a dare una indeterminazione della posizione di 150 milioni di chilometri, cioè della stessa grandezza della distanza attuale della Terra dal Sole. La situazione è ben diversa nel caso del sistema solare esterno. Le orbite dei pianeti maggiori (Giove, Saturno, Urano e Nettuno) sembrano ben descritte dai movimenti quasi-periodici. L’attività di ricerca per dimostrare rigorosamente questo risultato è molto intensa e tra i protagonisti ci sono gli italiani Antonio Giorgilli e Ugo Locatelli.”


In sintesi, Mercurio, Terra, Venere e Marte sono a rischio caos nell’uno per cento dei 2500 scenari elaborati al computer da Laskar (assumendo una differenza delle condizioni iniziali di un metro) con conseguente possibilità di collisioni per incroci tra le orbite. A voi decidere se preoccuparvi o infischiarvene.




Fonte : La Stampa Tuttoscienze

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