martedì 25 aprile 2017

MACRON ; LE GRAND MERDE (in TV stronzate a go go )

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Per fare questo lavoro, soprattutto quando si ha a che fare con eventi importanti come il voto francese, occorre non limitarsi a leggere le analisi dotte, la stampa autorevole, i commentatori più illuminati. Bisogna scavare e guardare come reagisce la pancia del Paese a certe situazioni ma, soprattutto, è necessario capire come l’informazione dell’uomo qualunque – leggi i talk-show – raccontano l’esistente e tratteggiano il futuro. L’ho fatto e, tra molte atrocità che ho dovuto ascoltare pressoché a reti unificate, voglio estrapolare alcune perle assolute emersa da quelle trasmissioni di nicchia che non sono il talk classico, quelli li guardano in dodici e sanno a cosa vanno incontro ma nemmeno il cazzeggio puro. Insomma, si passa dalla Siria alla dieta detox senza soluzione di continuità: le più pericolose in assoluto, perché viste da gente che, tendenzialmente, non ha gli strumenti per capire la quantità di stronzate che gli vengono propinate.

Primo, Emmanuel Macron piace. Piace pressoché a tutti, essendo la trasposizione politica di Medioman della Gialappa’s Band: laureato nella fucina della classe dirigente francese, poi carriera alla Banca Rothshield, il nostro pupillo di Francia lo scorso agosto decide di mollare lo scranno da ministro dell’Economia e di fondare il suo movimento, En Marche!, proprio per puntare al bersaglio grosso delle presidenziali. Insomma, uno che non si era mai candidato a nulla, nemmeno a rappresentante di classe al liceo, sta qualche mese al ministero e poi subito Eliseo, il tutto a 39 anni. Non vi ricorda qualcuno, catapultato in politica con un partito inesistente e subito al potere, grazie anche a buoni uffici craxiani? Di fatto, Macron è un one-man-party come Silvio Berlusconi e En Marche! è un “partito di plastica” esattamente come Forza Italia ma guai a farlo notare: comunque sia, ha fermato l’ondata nera della Le Pen, quindi è strafigo. E, soprattutto, tutti ne parlano come se lo conoscessero da sempre, un po’ come fanno i fan quando parlano del loro cantante preferito, chiamandolo con il nome di battesimo.


Insomma, l’uomo perfetto: europeista convinto, contrario ai nazionalismi, aperto su tematiche sociali, liberale in economia, filo-atlantista (tanto che ha millantato hackeraggi russi in campagna elettorale, come se Putin sapesse chi cazzo è Emmanuel Macron e, soprattutto, lo cagasse di striscio). Di più, autore di un miracolo: la riabilitazione postuma – e temo, in molti casi, la scoperta assoluta dell’esistenza – di Charles De Gaulle da parte della sinistra italiana. La quale, dopo averlo trattato da reazionario conservatore da cui tenersi a distanza, ora l’ha praticamente elevato a nuovo Lenin liberatore dei popoli, visto che pur di andare addosso alla destra che si riconosce nella Le Pen, ha issato a bandiera di riferimento il fatto che il generale fosse il capo della Resistenza francese, scomodando l’OAS, Le Pen padre e temo anche “Casablanca”, di cui ho la certezza che nella ultime 36 ore siano schizzati alle stelle sia i download che la vendita di dvd, tanto per farsi trovare con la citazione cinematografica pronta, che fa sempre figo in casa PD, da Veltroni in poi.

Ma, soprattutto, il buon Macron è oggetto della pruderie peggiore. Perché diciamocela tutta, la cosa che interessa di più di Macron è la leggenda sulla sua presunta omosessualità e, soprattutto, il possibile sbarco all’Eliseo come premier dame di Brigitte, la moglie di 24 anni più grande che è stata sua insegnante: roba che Barbara D’Urso ci campa una sessantina di puntate. Insomma, al netto delle pippe su come Macron salverà la Francia e l’UE dal populismo, ciò che interessa è l’arrivo della milfona alla presidenza della Repubblica, tanto che il Daily Mail ha ironizzato, sottolineando come, se in America una prof va a letto con un 15enne, finisce in galera, mentre in Francia diventa first lady. E il tema, per quanto inutile, è saltato fuori ovunque, dalle trasmissioni più compassate della Rai fino a quelle più “popolari” di La7.

La quale, stamattina, sul tema ha sfoderato un asso tra i commentatori in studio a “L’aria che tira”: Simona Izzo, sedicente attrice e regista, meglio nota alle cronache come moglie di Richy Tognazzi ed ex di Antonello Venditti (praticamente alle soglie dell’anonimato sociale tra i vip, l’impersonificazione dell’aforisma di Andy Warhol rispetto ai 15 minuti di celebrità che spettano a tutti), invitata per presentare il suo ultimo film, immagino destinato a incassi al botteghino pari a quelli del settore ospiti di Milan-Empoli. Dotata di labbra a canotto, di cui è stata un’antesignana insieme a un’altra pasionaria della sinistra chic, Alba Parietti, la nostra ha esordito così: “Uno così lo voterei solo perché ha sposato una donna più grande e gli è restato fedele tutti questi anni”.



Ora, al netto che le natiche di Macron sono parecchio chiacchierate Oltralpe, questione che riguarda comunque soltanto lui, la domanda sorge spontanea: perché Myrta Merlino ha sentito il bisogno di interpellare Simona Izzo sulle presidenziali francesi? Se l’ospitata era la classica marchetta per il film in uscita, normalità assoluta per l’Italia, perché non riservarle uno spazio protetto a parte, evitando al pubblico uno scempio superiore a quello cui aveva già dovuto assistere dalla sera prima, tra inviati RAI nativi di Castellamare di Stabia che si lanciavano in accenti da Quinto Arrondissement e arrampicate sugli specchi per dimostrare che la Le Pen usciva sconfitta dal voto? Perché non invitare Checco Zalone a parlare di manovra correttiva, allora? Oppure Morgan a discettare di legge elettorale?

Perché deve passare questa moda, lanciata da Bruno Vespa che ne renderà conto a Dio, della starlette che oltre delle sue cazzate, parla anche per forza di politica? Meraviglioso, sul finale di trasmissione, il teatrino sul 25 aprile. Aizzati dalla Santanché, gli ospiti hanno cominciato a sciorinare il repertorio classico ma lei, Simona Izzo, novella Francoise Sagan, ha voluto leggere una poesia di Ungaretti dedicata ai caduti della Resistenza. Ora, al di là che l’eloquio aveva lo stesso trasporto regalatoci da Andrea Pirlo nello spot dello shampoo Fructis, perché una che nella vita ha gravitato attorno al mondo delle commediole scollacciate, girovagando tra un talk-show e l’altro per parlare unicamente di adulteri e famiglie allargate e vivendo con dodici domestiche e svariati lacché, deve diventare testimonial del 25 aprile in televisione? O parlare al pubblico di presidenziali francesi? Mistero. O forse no. Un dubbio enorme mi assilla: se ci trovassimo di fronte alla situazione contraria, ovvero la professore che concupisce la studentessa 15enne, salvo poi sposarla, tutte le Merlino e le Boldrini di questo mondo avrebbero detto che era una favola meravigliosa o avrebbero scomodato la parolina che inizia con la “p” e finisce con “filia”? Chissà.


Ma non basta, perché nella medesima trasmissione che mi ha accompagnato fino alle 13.30, è stato trattato un altro fatto di cronaca avvenuto nel fine settimana appena conclusosi: il raduno dei centri sociali meridionali sul pratone di Pontida, in nome dell’orgoglio terrone e in risposta alla visita di Matteo Salvini a Napoli lo scorso marzo. Per carità, in sé nulla di strano: erano in 1500 che hanno ascoltato musica dal vivo, ballato e bivaccato ma il fatto “sconsacrante” è stato farlo su quello che i leghisti ancora definiscono il “sacro suolo”, oltretutto con le scritte “Padroni a casa nostra” cancellate prima dell’arrivo degli ospiti, per non dare adito a provocazioni.

Ognuno fa ciò che vuole, se ti diverti a spararti 1600 chilometri avanti e indietro per ballare sul prato di Pontida, pensando di aver compiuto chissà quale atto rivoluzionario, il problema è solo tuo (e serio) ma non crea disagio alla comunità (se non a quella scientifica, nel vano tentativo di dare una spiegazione a certi fenomeni umani). Il problema è che a finire sotto accusa, divenendo notizia nella notizia, è stato il sindaco di Pontida, il quale ha emanato un’ordinanza di chiusura pressoché totale della città in concomitanza con il ritrovo terrone (si autodefiniscono loro così). Con una foga degna della madre nella Corazzata Potemkin, ecco che sempre Myrta Merlino parte all’attacco: “Cosa vuol dire, che tutti i napoletani sono pericolosi? Io sono napoletana e non mi pare di essere una black bloc”. Applausi della studio e degli ospiti in studio, delizia per l’orecchio buonista di bocca buona, quello che si masturba quando vede il poster di Che Guevara nelle stanzette da letto dai protagonisti delle fiction. Il problema è che questi



sono napoletani e sono, casualmente, gli stessi che hanno organizzato sia le contestazioni a Salvini a Napoli che la pagliacciata di Pontida: fanno capo al centro sociale Insurgencia e non sono esattamente delle dame di carità. Quindi, al netto delle buone intenzioni manifestate a parole, il sindaco è stato poi così fuori dal mondo a volersi cautelare? Per la Merlino e soci, sì, è stato un orrendo gesto razzista. Forse perché, tanto per non sembrare davvero in dodici di passaggio, i simpatici insorgenti terroni hanno imbarcato anche parecchie risorse, così da mandare un duplice, profondissimo messaggio politico e sociale a Matteo Salvini. Quasi a voler confermare che, dove non c’è da fare un cazzo e farsi strumentalizzare, loro sono sempre ben felici in prima fila. Ma cosa volete farci, l’aria che tira è proprio questo, miglior titolo La7 non poteva trovarlo per quella trasmissione.


Ma attenzione, perché a mettere del pepe ulteriore sull’inizio di settimana ci ha pensato il rientro in Italia di Gabriele Del Grande, il blogger-regista detenuto quasi due settimane in Turchia perché pizzicato senza permessi in una zona dove i giornalisti non possono operare (Erdogan sarà anche stronzo ma se siete tutti Travaglio con il culo degli altri, quando si parla di regole e legalità, devono valere anche per la meglio gioventù e la generazione Erasmus). Appena atterrato all’aeroporto di Bologna, ha dichiarato di non aver subito alcuna violenza fisica “ma istituzionale” e ha subito inviato un pensiero a tutti i giornalisti detenuti in Turchia. Salvo, poi, sottolineare il fatto di essere digiuno da sette giorni, visto che aveva ingaggiato uno sciopero della fame per protesta e che, quindi, il suo pensiero più urgente adesso era per il cibo: “Ne ho bisogno”. Ora, guardate la foto scattata all’aeroporto:

vi sembra patito? Vi pare uno che è stato costretto in un centro di detenzione turco e ha digiunato per una settimana? Ora, capisco che questo è il Paese che ha paragonato per anni i digiuni a colpi di cappuccini iper-zuccherati di Marco Pannella a quello un pelino più serio di Bobby Sands, credendoci oltretutto ma dovete proprio prenderci per il culo? Almeno chiamate gli “Elmetti bianchi” per un po’ di make-up serio, roba che lo tramuti davvero in uno che si è cagato addosso (o è stato gasato a Idlib, va bene uguale), altrimenti anche il minimo sindacale di credibilità che può avere un’operazione gestita da Angelino Alfano crolla miseramente. Eh già, il nostro ministro degli Esteri dall’inglese che fulmina e ricorda Shakespeare prima maniera avrebbe sbloccato l’impasse nella notte, tutto da solo, tramutando una detenzione che solo due giorni fa l’avvocato di Del Grande aveva definito “a rischio di prolungarsi parecchio” in un ritorno a casa lampo, un blitz da vero principe della diplomazia.

Casualmente, poi, liberato il giorno prima della festa della Liberazione: scommettete anche voi la cistifellea che, nelle duemila ospitate in cui dovremo sorbirci le pippe di Del Grande (Merlino in testa, state sereni), ci sarà un riferimento a questa coincidenza temporale? Per il resto, banco allo pari accuse contro il regime di Assad, propaganda pro-migranti e difesa a spada tratta del terzo settore, tanto per raschiare via un po’ di merda in via di essiccamento sulla reputazione di certe ONG, essendo Del Grande uno del grande giro di Soros e compagnia destabilizzante e invadente. Ultima certezza, questa legata all’esito favorevole dell’operazione diplomatica: abbiamo pagato. E tanto. Come sempre, come per Greta e Vanessa, come per tutti.

Quanto lo scopriremo in seguito ma state certi che Erdogan col cazzo che lo avrebbe liberato così rapidamente e senza una contropartita, soprattutto dopo la valanga di sterco che l’Italia, come tutta l’UE, gli ha riversato addosso dopo il referendum costituzionale. Ma ora occorre festeggiare: la liberazione di Del Grande, quella dell’Italia, i terroni in gita a Pontida e anche Simona Izzo che declama Ungaretti, anelando per un Macron e un Eliseo per ogni milf del mondo. L’eutanasia, a volte, non è l’epilogo crudele che sembra, guardando la realtà in faccia per quella che è.



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