Nell’autunno dell’anno 1480, in un punto non lontano da Mosca, due eserciti si affrontarono sulle rive opposte del fiume Ugra.
Da una parte c’erano le forze del Granducato di Mosca, il cui regnante, il Gran Principe Ivan III (conosciuto come “il Grande” e come “l’unificatore delle terre russe”), si era di recente rifiutato di pagare ulteriori tributi alla Grande Orda [in inglese].
Dall’altra parte c’erano le forze del Gran Khan Ahmed bin Küchük, che era arrivato per distruggere Mosca e ordinare all’impudente Principe Ivan di ravvedersi.
Per settimane le due armate riunite si erano guardate minacciosamente, ciascuna diffidando di attraversare il fiume e diventare vulnerabile all’attacco dell’altra. Alla fine, come se fossero attenti a un segnale inudibile, entrambe si ritirarono e fecero ritorno a casa alla svelta.
Così finirono i più di duecento anni di giogo tartaro-mongolo sulla terra della Rus.
Può essere questo evento, che divenne noto come “il grande confronto sul fiume Ugra[in inglese], un modello di ciò che è successo la scorsa settimana in Siria?
Quasi immediatamente dopo le notizie dell’attacco chimico inscenato a Douma il 7 aprile, sono cominciate le speculazioni sulla probabile risposta da parte dell’Occidente, che di fatto significava da parte degli Stati Uniti e, a sua volta, da parte del presidente Donald J. Trump. Potrebbe Trump, che aveva più volte parlato aspramente delle inutili e rovinose disavventure dei suoi predecessori in Medio Oriente, e che pochi giorni prima aveva comunicato la sua intenzione di ritirare le molte migliaia di Americani che stazionavano (illegalmente) in Siria, riuscire a capire oltre l’evidente inganno?
Oppure, che abbia creduto o meno alle palesemente false accuse sulla colpevolezza siriana (e russa), potrebbe Trump intraprendere un’azione punitiva contro la Siria? E se sì, sarebbe solo dimostrativa tipo quella fatta esattamente un anno prima per punire l’evidente attacco false flag di Idlib? Oppure, vedremo qualcosa di più “robusto” (una parola molto amata dai bombardieri da tastiera a Washington) con lo scopo di dare una lezione sia al presidente siriano Bashar al-Assad che al suo alleato, l’indisciplinato erede del principe Ivan III, Vladimir Putin?
La risposta è arrivata subito su Twitter [in inglese]. Assad era un “animale”. Putin, la Russia e l’Iran erano i “responsabili” dei “tanti morti, tra cui donne e bambini, in un irragionevole attacco CHIMICO” e devono “pagare un alto prezzo”.
In tutto il mondo le persone si sono psicologicamente preparate al peggio. Scoppierà un conflitto globale in Siria con un attacco americano sulle forze russe? Una cupa trepidazione, che ricordava la crisi dei missili cubani dell’ottobre 1962, stringeva i cuori di chi è abbastanza vecchio da ricordare quei tredici giorni in cui il destino di tutta la vita mondiale era in dubbio.
Di certo c’erano abbastanza voci nell’establishment americano che spingevano Trump. Inoltre, in patria lui aveva ancora l’implacabile pressione delle indagini di Mueller, acuita dal blitz dell’FBI del 9 aprile al suo avvocato Michael Cohen. L’unica tregua di Trump dall’incessante martellamento è stato il suo attacco sulla Siria dello scorso anno.
Nel corso della prima Guerra Fredda sia le forze americane che quelle sovietiche avevano molta cura nell’evitare il conflitto diretto, spaventati giustamente dal fatto che potesse portare ad una escalation incontrollata. Ma ora, in questa seconda Guerra Fredda, i commentatori occidentali erano positivamente eccitati al pensiero di uccidere dei russi in Siria…
…o piuttosto uccidere più russi, menzionando il massacro di un numero controverso di forze militari private (o “mercenari” come i media occidentali e ufficiali le hanno sistematicamente definite, implicando così che meritavano di essere sterminate). Questo gli insegnerà a non scontrarsi con noi! Non è stato chiaro se sia stato preso seriamente l’avvertimento del Capo dello Stato Maggiore russo Valery Gerasimov che la Russia avrebbe risposto all’attacco bombardando sia i missili in arrivo che le basi da cui venivano lanciati.
Dopo un leggero addolcimento dei toni da parte di Trump e del Segretario della Difesa James “cane pazzo” Mattis [in inglese] il 12 aprile, giorno in cui un team dell’OPCW, l’Organizzazione per la Proibizione delle Armi Chimiche, stava arrivando a Douma per condurre delle indagini sul posto, è emerso un fievole raggio di speranza che Trump facesse un passo indietro rispetto all’agire sulla base di una chiaramente falsa provocazione. (L’inconsistenza di tale speranza è dimostrata dal fatto che il più apparentemente moderato consigliere di Trump sia qualcuno soprannominato “cane pazzo”). Il veloce tempismo era chiaramente finalizzato a prevenire l’arrivo degli ispettori dell’OPCW.
Quando la sera di venerdì 13 (ora di Washington) è stata diffusa la notizia che gli Stati Uniti avevano iniziato un’azione militare, insieme con la Francia (il paese che la Russia ha accusato di aver inscenato il falso di Douma[in inglese] e la Gran Bretagna, molti hanno temuto il peggio.
Di maggiore preoccupazione era l’entità dell’assalto? Se fossero stati uccisi dei russi, Gerasimov era stato serio.
Com’è successo, il peggio non è accaduto. Non è scoppiata la Terza Guerra Mondiale. O non ancora.
Di fatto non è successo gran che. Secondo i rapporti ufficiali americani, poco più di cento missili sono stati lanciati verso tre obiettivi. Tutti i missili hanno raggiunto il loro obiettivi, quindi “missione compiuta!”. La parte avversaria, comunque, ha dichiarato di aver abbattuto il 75% dei Tomahawks in arrivo.
Alla fine il danno è stato persino inferiore rispetto a quello simile dello scorso anno a Idlib. Non sono state riportate vittime né siriane né russe né iraniane. I governi occidentali hanno dichiarato di aver inferto un duro colpo al potenziale delle armi chimiche siriane. I Siriani e i Russi hanno riso perché i missili hanno colpito degli edifici vuoti e la Siria non ha armi chimiche dal 2014, come certificato dall’OPCW.
All’indomani dello show missilistico, i media hanno riportato le notizie non verificate che Trump voleva una campagna più consistente ma si è rimesso alla cautela di Mattis, riflettendo senza dubbio il punto di vista dei militari professionisti che non voleva scoprire se Gerasimov stava bluffando. A quanto si dice, Mattis voleva anche che il Congresso votasse prima che si intraprendesse qualsiasi azione ma Trump si sarebbe opposto.
C’era anche l’ipotesi che l’intera faccenda fosse una farsa elaborata insieme ai Russi [in inglese]. Anche se fosse vero (ed è improbabile), il semplice fatto che Trump si sia impegnato in un tale stratagemma, la dice lunga sulla debolezza della sua posizione. “Qualsiasi cosa dica Trump, l’America non se ne andrà dalla Siria”, scrive Patrick Buchanan [in inglese], che continua “Le cose stanno peggiorando. L’impegno di Trump di liberarci da queste guerre fallimentari e sanguinose in Medio Oriente e di trovare un nuovo riavvicinamento alla Russia, non funziona”.
Questo si evince chiaramente dai commenti dell’ambasciatore USA presso le Nazioni Unite, Nikki Haley. Lei dichiara che l’America non si disimpegnerà fino a quando non si raggiungono tre obiettivi: sconfiggere l’ISIS (un pretesto, visto che l’ISIS è alle corde e rimane in vita solo grazie alle azioni ostili di Stati Uniti e altri contro la Siria), impedire a Damasco di usare le armi chimiche (una falsità, visto che non ne ha), bloccare l’influenza sull’area da parte dell’Iran (il che significa che resteremo a tutti gli effetti in permanente preparazione di una guerra più ampia contro l’Iran, e forse infine anche contro la Russia).
Sfortunatamente l’ultimo punto è vero, poiché sono in corso i piani per rimpolpare un baluardo sunnita anti-Iran nella parte orientale della Siria, allo scopo di tagliare il cosiddetto “braccio di terra” di Teheran nel Mediterraneo [in inglese]. Molti Americani in Siria stanno per essere sostituiti dalla cosiddetta forza araba, cioè la “NATO araba[in inglese] propagandata lo scorso anno in coincidenza con il primo viaggio all’estero di Trump come presidente. (Come se l’unica NATO che già abbiamo non fosse abbastanza negativa).
Il ministro degli esteri saudita Adel al-Jubeir [in inglese] ha proposto la partecipazione di truppe del suo paese. Tralasciando il fatto che Riyadh possa deviarne dall’obiettivo in corso di distruggere lo Yemen, è probabile che il personale saudita diventi un target primario dei Siriani, che non vedono l’ora di rivalersi sui loro principali persecutori degli ultimi sette anni.
Quindi, è stato davvero risolto qualcosa il 13 aprile? In questa occasione l’Occidente ha scelto di non “attraversare il fiume”, come l’esercito del Khan Ahmed decise di non fare nel 1480. Da parte loro, i Russi in Siria, come i loro avi sul fiume Ugra, erano in difesa e non avevano bisogno di rischiare un’azione offensiva.
Sfortunatamente, a differenza dal “grande confronto sul fiume Ugra” che risolse la questione dell’indipendenza e della sovranità russa in quell’epoca, ora non è stato risolto nulla. Rimane la domanda: gli Stati Uniti abbandoneranno pacificamente la loro posizione di unico arbitro dell’autorità, legalità e moralità in un mondo unipolare a favore di un ordine multipolare in cui sono rispettati gli interessi legittimi e le sfere di influenza di Russia e Cina [in inglese ]? O rischieremo sempre di precipitare l’umanità in un conflitto globale?
La Siria rimane un’arena chiave dove sarà scelto un percorso o un altro per alla fine concludere ciò che il Maggiore dell’esercito americano Danny Sjursen definisce “Operazione Impero che annaspa[in inglese]. L’ironia è che “perdere” pacificamente il nostro inutile e pericolo tentativo di governare il mondo sarà solo a beneficio dell’America. Questo è ciò che Trump aveva promesso nel 2016. Non lo ha realizzato ed è sempre più in dubbio che ci riesca [in inglese].
Alla fine, la minaccia della Terza Guerra Mondiale non è svanita. È stata solamente posticipata.
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Articolo di James George Jatras pubblicato su Southfront.org il 22 aprile 2018
Traduzione in italiano a cura di Elvia Politi per SakerItalia.it
http://sakeritalia.it/medio-oriente/siria/loccidente-ha-appena-perso-la-terza-guerra-mondiale-dando-forfait/