mercoledì 2 aprile 2014

India, al via le “più grandi elezioni” del mondo; ed i Marò sono motivo di scontro tra candidati


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Domanda: ma quando si tengono le tanto annunciate elezioni politiche 2014 in India? Domanda ovvia, alla quale è però praticamente impossibile rispondere. Perlomeno non con una singola data. Non perchè l’India non tenti di essere un Paese democratico e non cerchi di fare le cose per benino ed in modo corretto e trasparente, ricorrendo ad ogni accorgimento per limitare per quanto possibile frodi ed imbrogli elettorali. Ma mettiamoci nei loro panni : hanno il compito tremendo di portare al voto una moltitudine di elettori che supera quella di tutta l’Europa e gli Stati Uniti messi insieme. Tutto è da record in queste elezioni di primavera per i 543 deputati della Lok Sabha, la Camera del Popolo o Camera Bassa (si osservi che per governare 1300 milioni di persone si accontentano di 87 deputati in meno che in Italia, dove la popolazione è un ventiduesimo di quella dell’India!). Sono infatti 814 milioni gli aventi diritto al voto, 100 milioni in più di quelli fatti registrati nell’ultima tornata elettorale del 2009, distribuiti in circa un milione di sezioni elettorali. Per consentire un flusso ai seggi ordinato e regolare è stato stilato un calendario secondo il quale in varie date si recheranno al voto i cittadini di 28 stati e 7 territori, tra i quali quello dell’immensa aerea metropolitana di New Delhi. L’avvio delle votazioni si avrà il 7 di aprile, per poi proseguire con tornate a tappe previste per i giorni 9, 10, 12, 17, 24 e 30 di aprile, per poi chiudere il 7 ed il 12 di maggio. Lo spoglio dei voti, se tutto andrà secondo i piani, partirà il 15 maggio e l’esito elettorale dovrebbe essere ufficializzato il giorno dopo. Tra i criteri presi in considerazione per fissare tale calendario stato per stato, oltre a festività locali ed il profilo climatico delle varie regioni indiane, si sono considerate le tipicità delle attività lavorative, specie nel settore agricolo dove in alcuni stati i raccolti sono molto anticipati rispetto ad altri e già avviati.
Per la prima volta, sarà introdotto nel sistema elettorale indiano l’opzione “none of the above” (nessuno di quelli indicati sopra), l’equivalente di una scheda bianca con la quale si possono bocciare tutti i candidati elencati nelle liste dei partiti in competizione. Una misura che mira ad incentivare i partiti al ricorso a candidature pulite, cioè di personaggi non compromessi con la giustizia. La situazione attuale in India fa impallidire persino il PD nostrano. Stando ai dati pubblicati dall’Association for Democratic Reforms, oggi in India il 30% dei deputati della Lok Sabha, molti dei quali riproposti in lista, ha in corso procedimenti giudiziari per reati che spesso sfociano nel penale, e che vanno da corruzione e frode fino all’omicidio ed alla violenza sessuale. 


Secondo gli ultimi opinion polls, largamente in testa alle intenzioni di voto degli indiani c’è Narendra Modi, beneamato primo ministro dello stato del Gujarat e candidato del partito nazionalista indù Bjp (Bharatiya Janata Party). Come mostra la tabella aggiornata a ieri limitatamente ai più importanti Stati dell’India, la coalizione Nda (National Democratic Allinace) centrata sul Bjp si accaparrerebbe oltre il 52 % , 166 su 319, dei seggi dei grandi stati. Nonostante la cautela sia d’obbligo perchè nulla è più volatile dei sondaggi pre-elettorali in India, questa sembra la volta buona per l’opposizione di destra per smantellare il pluridecennale potere dell’Upa, il centrosinistra in cui domina l’Inc (Indian National Congress), il partito della dinastia Gandhi-Nehru della quale è storico oppositore. Modi per molti anni è stato un personaggio moltro controverso, uno di quelli che o si ama o si odia. Sessantatre anni, cresciuto all’ombra della formazione paramilitare ultra-induista “Rashtriya Swayamsevak Sangh”, nemico giurato degli islamici, Modi si è sempre rifatto ai principi dell’Hindutva, il nazionalismo indiano a matrice religiosa hindu, in contrapposizione al secolarismo dello stato laico peculiare dei governi di centrosinistra dei Gandhi-Nehru. Nel 2002, durante il suo primo mandato di governo in Gujarat, nello stato esplose la violenza inter-religiosa tra hindu e musulmani, figlia del mai sopito rancore islamico per la distruzione 10 anni prima della moschea Babri ad Ayodhya (Uttar Pradesh) da parte di gruppi estremisti hindu, si dice, ispirati da Modi. Quella locale guerra di religione produsse oltre mille vittime, quasi tutte di fede musulmana.
A 12 anni di distanza, Modi s’è ricostruito un’immagine di credibilità e su di lui puntano forte i mercati che chiedono l’attuazione di politiche d’impronta liberista e fortemente orientate allo sviluppo, come quelle che gli hanno permesso di ottenere nel Gujarat risultati che tutti gli indiani e gli investitori nazionali ed esteri sottoscriverebbero subito. Un dato per tutti : il Gujarat anche in tempi di crisi è continuato a crescere più del Paese e nei sei anni fino al 2012, il suo Pil è salito a tassi medi superiori al 10% e nel 2013 l’espansione è stata dell’8%, contro il 4,9% fatto registrare complessivamente dall’India. Valendosi della sua immagine di politico tutto orientato verso impresa, lavoro e mercato Modi ha condotto una campagna elettorale all’insegna di un programma a dir poco ambizioso: creazione di 250 milioni di posti di lavoro in dieci anni, nascita di 100 nuove smart city, investimenti infrastrutturali a pioggia, semplificazioni normative, taglio della burocrazia e sviluppo delle esportazioni e del commercio usando il motore di una accorta politica estera del Paese (quante volte, inascoltati, abbiamo battuto sull’importanza di questo tasto per risolvere il caso Marò?). Tutto sommato, però, i più si accontenterebbero che il leader del Bjp replicasse in tutta l’India quanto realizzato in Gujarat : strade asfaltate, collegamenti, ammodernamento dello Stato, erogazione di energia elettrica su base regolare evitando alle fabbriche ed alle imprese la necessità di costosissimi gruppi di continuità per sopperire ai frequenti black out. Rimedi efficaci per sostenere l’economia e lo sviluppo, consci che per reperire quei 12-20 milioni di nuovi posti di lavoro necessari ogni anno occorre uno sviluppo medio del Pil non inferiore al 6,5 %. Poi si chiede acqua per tutti e drastiche semplificazioni delle regole per gli investitori per attrarre capitali anche dall’estero. La sensazione è che Modi ce la farà a vincere, anche se non riuscirà a raggiungere i 247 seggi che gli consentirebbero di governare con un monocolore. Gli osservatori locali della politica ritengono che gli basteranno 200 seggi per governare, perchè a quel livello potrà facilmente tirare dentro alla maggioranza alcuni dei molti partiti di importanza regionale, che vedono nella sua leadership un modello da seguire.
L’avversario da batter per Modi è l’Inc (Indian National Congress), il partito fulcro della coalizione di centrosinistra Upa (United Progressive Alliance) che governa da tempo immemore, il partito feudo privato dei Gandhi, che punta tutto sul figlio Rahul dell’italiana Sonia Gandhi, che da 16 anni occupa la poltrona di presidente del partito. Gli ingredienti del programma dell’Inc sono il mantenimento della laicità dello Stato, aiuti alle fasce più indigenti della popolazione, unità nazionale contro le spinte centripete del separatismo, rilancio dello sviluppo. Insomma le solite cose che promettevano quando il Pil cresceva a doppia cifra, mentre ora arranca sotto il 5 %, che per un Paese emergente è un dato nefasto. Promesse completamente disattese negli ultimi otto anni, per colpa anche della recessione, ma soprattutto a causa degli scandali sempre più numerosi, del clientelismo eretto a sistema, della corruzione dilagante, degli sprechi (ma quante affinità con l’Italia) che i Gandhi pagheranno a carissimo prezzo in termini di consenso elettorale, perchè sul piano delle promesse, Modi è più credibile. Lui può esibire risulati concreti e l’affezione dei suoi amministrati, l’Inc solo fallimenti clamorosi.
Desta curiosità l’avventura elettorale del terzo incomodo, il fenomeno Aam Aadmi Party (Aap), il M5S indiano guidato da Arvind Kejriwal. Dopo l’exploit alle elezioni locali di New Delhi, in cui è risultato il secondo partito della capitale, l’Aap per la prima volta quest’anno si candida a livello nazionale, facendosi facile paladino di una lotta senza quartiere alla corruzione. L’obiettivo, per Kejriwal ed i suoi, è quello di confermarsi come terza forza politica nazionale, assumendo il ruolo privilegiato di ago della bilancia quando la ricerca di una maggioranza in parlamento dovrà per forza, secondo Aap, bussare alla porta del movimento anti-corruzione indiano. Da questo punto di vista, appare completamente diverso dal M5S, perchè si propone come partner di alleanze di governo, assumendosi quelle responsabilità che Grillo e Casaleggio invece rifiutano. Anche tra populisti c’è chi è meglio e chi è peggio del peggio.
In questi ultimi giorni di campagna elettorale al calor bianco, ogni argomento è buono per polemizzare o demonizzare gli avversari, tanto che i Marò sono stati involontari protagonisti di una rissa verbale a distanza tra Modi e Sonia Gandhi, immortalata da tutti i media indiani. E’ stata Sonia Gandhi, nata nel vicentino, cresciuta ad Orbassano, hinterland torinese dove il padre avviò un’azienda edile, naturalizzata indiana nel 1983, a lanciare la prima bomba verso Modi, quando nel corso di un comizio dell’Inc ha affermato che “ci sono alcuni che rullano i tamburi di un falso patriottismo, ma vogliono solo ingannare il popolo per arrivare al potere”. La replica di Modi non s’è fatta attendere e dall’Arunachal Pradesh dove era impegnato in una manifestazione elettorale le ha chiesto pubblicamente con pesante sarcasmo: “Signora Sonia, visto che lei mette in dubbio il nostro patriottismo, può per cortesia dirci in quale carcere sono detenuti i due suoi connazionali (i Marò, ndr)? Per favore, lasci perdere, non abbiamo bisogno di certificati di patriottismo rilasciati da lei. A proposito, chi ha aiutato ad uscire (in licenza, ndr) dal Paese i due militari italiani che avevano ucciso due nostri pescatori? Me lo dica, coraggio”.
Una sanguinosa e tormentosa polemica che la Sonia ha scatenato insensatamente, senza pensare che le si sarebbe comunque ritorta contro come poi puntualmente accaduto. Sarebbe bastato poco per rintuzzare il contrattacco di Modi, affermando che i Marò non sono ancora nemmeno stati accusati, per cui non dovrebbero neanche stare in India, se il diritto non è solo una parola priva di qualsiasi significato in quel Paese e nella mente di Modi. Ma si sarebbe data la zappa sui piedi, perché è proprio il governo incentrato sul suo partito, ed in particolare il ministro della Difesa A.K. Antony ad aver fatto della vicenda Marò un caso. Meglio per lei se non ne avesse parlato proprio.
Questo battibecco centrato sulla sorte dei Marò ha suscitato reazioni di sdegno in Italia. Il vice presidente del Senato, Maurizio Gasparri ha tuonato: “I nostri marò non possono essere oggetto dello scontro politico-elettorale in atto in India. Quanto dichiarato dal leader del partito nazionalista Modi è intollerabile ed evidenzia che Latorre e Girone sono ancora a New Delhi per ragioni di carattere politico”. Gasparri ha poi anche proposto che il presidente della Repubblica nomini i due Marò senatori a vita. 

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di Rosengarten 2 apr 2014

fonte: http://www.qelsi.it
 
edoardo-medini.blogspot.com 

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