Domanda:
ma quando si tengono le tanto annunciate elezioni politiche 2014 in
India? Domanda ovvia, alla quale è però praticamente impossibile
rispondere. Perlomeno non con una singola data. Non perchè l’India non
tenti di essere un Paese democratico e non cerchi di fare le cose per
benino ed in modo corretto e trasparente, ricorrendo ad ogni
accorgimento per limitare per quanto possibile frodi ed imbrogli
elettorali. Ma mettiamoci nei loro panni : hanno il compito tremendo di
portare al voto una moltitudine di elettori che supera quella di tutta
l’Europa e gli Stati Uniti messi insieme. Tutto è da record in queste
elezioni di primavera per i 543 deputati della Lok Sabha, la Camera del
Popolo o Camera Bassa (si osservi che per governare 1300 milioni di
persone si accontentano di 87 deputati in meno che in Italia, dove la
popolazione è un ventiduesimo di quella dell’India!). Sono infatti 814
milioni gli aventi diritto al voto, 100 milioni in più di quelli fatti
registrati nell’ultima tornata elettorale del 2009, distribuiti in circa
un milione di sezioni elettorali. Per consentire un flusso ai seggi
ordinato e regolare è stato stilato un calendario secondo il quale in
varie date si recheranno al voto i cittadini di 28 stati e 7 territori,
tra i quali quello dell’immensa aerea metropolitana di New Delhi.
L’avvio delle votazioni si avrà il 7 di aprile, per poi proseguire con
tornate a tappe previste per i giorni 9, 10, 12, 17, 24 e 30 di aprile,
per poi chiudere il 7 ed il 12 di maggio. Lo spoglio dei voti, se tutto
andrà secondo i piani, partirà il 15 maggio e l’esito elettorale
dovrebbe essere ufficializzato il giorno dopo. Tra i criteri presi in
considerazione per fissare tale calendario stato per stato, oltre a
festività locali ed il profilo climatico delle varie regioni indiane, si
sono considerate le tipicità delle attività lavorative, specie nel
settore agricolo dove in alcuni stati i raccolti sono molto anticipati
rispetto ad altri e già avviati.
Per la prima volta, sarà introdotto nel sistema elettorale
indiano l’opzione “none of the above” (nessuno di quelli indicati
sopra), l’equivalente di una scheda bianca con la quale si possono
bocciare tutti i candidati elencati nelle liste dei partiti in
competizione. Una misura che mira ad incentivare i partiti al ricorso a
candidature pulite, cioè di personaggi non compromessi con la giustizia.
La situazione attuale in India fa impallidire persino il PD nostrano.
Stando ai dati pubblicati dall’Association for Democratic Reforms, oggi
in India il 30% dei deputati della Lok Sabha, molti dei quali riproposti
in lista, ha in corso procedimenti giudiziari per reati che spesso
sfociano nel penale, e che vanno da corruzione e frode fino all’omicidio
ed alla violenza sessuale.
Secondo gli ultimi opinion polls, largamente in testa alle
intenzioni di voto degli indiani c’è Narendra Modi, beneamato primo
ministro dello stato del Gujarat e candidato del partito nazionalista
indù Bjp (Bharatiya Janata Party). Come mostra la tabella aggiornata a
ieri limitatamente ai più importanti Stati dell’India, la coalizione Nda
(National Democratic Allinace) centrata sul Bjp si accaparrerebbe oltre
il 52 % , 166 su 319, dei seggi dei grandi stati. Nonostante la cautela
sia d’obbligo perchè nulla è più volatile dei sondaggi pre-elettorali
in India, questa sembra la volta buona per l’opposizione di destra per
smantellare il pluridecennale potere dell’Upa, il centrosinistra in cui
domina l’Inc (Indian National Congress), il partito della dinastia
Gandhi-Nehru della quale è storico oppositore. Modi per molti anni è
stato un personaggio moltro controverso, uno di quelli che o si ama o si
odia. Sessantatre anni, cresciuto all’ombra della formazione
paramilitare ultra-induista “Rashtriya Swayamsevak Sangh”, nemico
giurato degli islamici, Modi si è sempre rifatto ai principi
dell’Hindutva, il nazionalismo indiano a matrice religiosa hindu, in
contrapposizione al secolarismo dello stato laico peculiare dei governi
di centrosinistra dei Gandhi-Nehru. Nel 2002, durante il suo primo
mandato di governo in Gujarat, nello stato esplose la violenza
inter-religiosa tra hindu e musulmani, figlia del mai sopito rancore
islamico per la distruzione 10 anni prima della moschea Babri ad Ayodhya
(Uttar Pradesh) da parte di gruppi estremisti hindu, si dice, ispirati
da Modi. Quella locale guerra di religione produsse oltre mille vittime,
quasi tutte di fede musulmana.
A 12 anni di distanza, Modi s’è ricostruito un’immagine di
credibilità e su di lui puntano forte i mercati che chiedono
l’attuazione di politiche d’impronta liberista e fortemente orientate
allo sviluppo, come quelle che gli hanno permesso di ottenere nel
Gujarat risultati che tutti gli indiani e gli investitori nazionali ed
esteri sottoscriverebbero subito. Un dato per tutti : il Gujarat anche
in tempi di crisi è continuato a crescere più del Paese e nei sei anni
fino al 2012, il suo Pil è salito a tassi medi superiori al 10% e nel
2013 l’espansione è stata dell’8%, contro il 4,9% fatto registrare
complessivamente dall’India. Valendosi della sua immagine di politico
tutto orientato verso impresa, lavoro e mercato Modi ha condotto una
campagna elettorale all’insegna di un programma a dir poco ambizioso:
creazione di 250 milioni di posti di lavoro in dieci anni, nascita di
100 nuove smart city, investimenti infrastrutturali a pioggia,
semplificazioni normative, taglio della burocrazia e sviluppo delle
esportazioni e del commercio usando il motore di una accorta politica
estera del Paese (quante volte, inascoltati, abbiamo battuto
sull’importanza di questo tasto per risolvere il caso Marò?). Tutto
sommato, però, i più si accontenterebbero che il leader del Bjp
replicasse in tutta l’India quanto realizzato in Gujarat : strade
asfaltate, collegamenti, ammodernamento dello Stato, erogazione di
energia elettrica su base regolare evitando alle fabbriche ed alle
imprese la necessità di costosissimi gruppi di continuità per sopperire
ai frequenti black out. Rimedi efficaci per sostenere l’economia e lo
sviluppo, consci che per reperire quei 12-20 milioni di nuovi posti di
lavoro necessari ogni anno occorre uno sviluppo medio del Pil non
inferiore al 6,5 %. Poi si chiede acqua per tutti e drastiche
semplificazioni delle regole per gli investitori per attrarre capitali
anche dall’estero. La sensazione è che Modi ce la farà a vincere, anche
se non riuscirà a raggiungere i 247 seggi che gli consentirebbero di
governare con un monocolore. Gli osservatori locali della politica
ritengono che gli basteranno 200 seggi per governare, perchè a quel
livello potrà facilmente tirare dentro alla maggioranza alcuni dei molti
partiti di importanza regionale, che vedono nella sua leadership un
modello da seguire.
L’avversario da batter per Modi è l’Inc (Indian National
Congress), il partito fulcro della coalizione di centrosinistra Upa
(United Progressive Alliance) che governa da tempo immemore, il partito
feudo privato dei Gandhi, che punta tutto sul figlio Rahul dell’italiana
Sonia Gandhi, che da 16 anni occupa la poltrona di presidente del
partito. Gli ingredienti del programma dell’Inc sono il mantenimento
della laicità dello Stato, aiuti alle fasce più indigenti della
popolazione, unità nazionale contro le spinte centripete del
separatismo, rilancio dello sviluppo. Insomma le solite cose che
promettevano quando il Pil cresceva a doppia cifra, mentre ora arranca
sotto il 5 %, che per un Paese emergente è un dato nefasto. Promesse
completamente disattese negli ultimi otto anni, per colpa anche della
recessione, ma soprattutto a causa degli scandali sempre più numerosi,
del clientelismo eretto a sistema, della corruzione dilagante, degli
sprechi (ma quante affinità con l’Italia) che i Gandhi pagheranno a
carissimo prezzo in termini di consenso elettorale, perchè sul piano
delle promesse, Modi è più credibile. Lui può esibire risulati concreti e
l’affezione dei suoi amministrati, l’Inc solo fallimenti clamorosi.
Desta curiosità l’avventura elettorale del terzo incomodo, il
fenomeno Aam Aadmi Party (Aap), il M5S indiano guidato da Arvind
Kejriwal. Dopo l’exploit alle elezioni locali di New Delhi, in cui è
risultato il secondo partito della capitale, l’Aap per la prima volta
quest’anno si candida a livello nazionale, facendosi facile paladino di
una lotta senza quartiere alla corruzione. L’obiettivo, per Kejriwal ed i
suoi, è quello di confermarsi come terza forza politica nazionale,
assumendo il ruolo privilegiato di ago della bilancia quando la ricerca
di una maggioranza in parlamento dovrà per forza, secondo Aap, bussare
alla porta del movimento anti-corruzione indiano. Da questo punto di
vista, appare completamente diverso dal M5S, perchè si propone come
partner di alleanze di governo, assumendosi quelle responsabilità che
Grillo e Casaleggio invece rifiutano. Anche tra populisti c’è chi è
meglio e chi è peggio del peggio.
In questi ultimi giorni di campagna elettorale al calor bianco,
ogni argomento è buono per polemizzare o demonizzare gli avversari,
tanto che i Marò sono stati involontari protagonisti di una rissa
verbale a distanza tra Modi e Sonia Gandhi, immortalata da tutti i media
indiani. E’ stata Sonia Gandhi, nata nel vicentino, cresciuta ad
Orbassano, hinterland torinese dove il padre avviò un’azienda edile,
naturalizzata indiana nel 1983, a lanciare la prima bomba verso Modi,
quando nel corso di un comizio dell’Inc ha affermato che “ci sono alcuni
che rullano i tamburi di un falso patriottismo, ma vogliono solo
ingannare il popolo per arrivare al potere”. La replica di Modi non s’è
fatta attendere e dall’Arunachal Pradesh dove era impegnato in una
manifestazione elettorale le ha chiesto pubblicamente con pesante
sarcasmo: “Signora Sonia, visto che lei mette in dubbio il nostro
patriottismo, può per cortesia dirci in quale carcere sono detenuti i
due suoi connazionali (i Marò, ndr)? Per favore, lasci perdere, non
abbiamo bisogno di certificati di patriottismo rilasciati da lei. A
proposito, chi ha aiutato ad uscire (in licenza, ndr) dal Paese i due
militari italiani che avevano ucciso due nostri pescatori? Me lo dica,
coraggio”.
Una sanguinosa e tormentosa polemica che la Sonia ha scatenato
insensatamente, senza pensare che le si sarebbe comunque ritorta contro
come poi puntualmente accaduto. Sarebbe bastato poco per rintuzzare il
contrattacco di Modi, affermando che i Marò non sono ancora nemmeno
stati accusati, per cui non dovrebbero neanche stare in India, se il
diritto non è solo una parola priva di qualsiasi significato in quel
Paese e nella mente di Modi. Ma si sarebbe data la zappa sui piedi,
perché è proprio il governo incentrato sul suo partito, ed in
particolare il ministro della Difesa A.K. Antony ad aver fatto della
vicenda Marò un caso. Meglio per lei se non ne avesse parlato proprio.
Questo battibecco centrato sulla sorte dei Marò ha suscitato
reazioni di sdegno in Italia. Il vice presidente del Senato, Maurizio
Gasparri ha tuonato: “I nostri marò non possono essere oggetto dello
scontro politico-elettorale in atto in India. Quanto dichiarato dal
leader del partito nazionalista Modi è intollerabile ed evidenzia che
Latorre e Girone sono ancora a New Delhi per ragioni di carattere
politico”. Gasparri ha poi anche proposto che il presidente della
Repubblica nomini i due Marò senatori a vita.
di Rosengarten 2 apr 2014
fonte: http://www.qelsi.it
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