“Il progresso della medicina rigenerativa e il suo impatto culturale": è questo il tema della terza Conferenza internazionale in programma in Vaticano dal 28 al 30 aprile prossimi. L’approccio sarà interdisciplinare: l’obiettivo è far dialogare senza pregiudizi sulla ricerca cellullare, medicina, tecnologia, fede e cultura per rispondere al meglio alle esigenze di cura e di speranza dei malati. Il focus principale sarà la cura delle malattie rare. L’organizzazione è affidata al Pontificio Consiglio della Cultura e a diversi partner, tra cui la Fondazione "Stem for life". Venerdì prossimo, il programma prevede l’incontro del Papa con i partecipanti. Il servizio di Gabriella Ceraso:
La soglia, l'ambito, entro il quale si muove il convegno in Vaticano è il dialogo portato avanti tra scienza e fede e ormai giunto a due consapevolezze, ha sottolineato il cardinale Gianfranco Ravasi presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, e cioè che la conoscenza umana non si esaurisce nella mera conoscenza scientifica e che per spiegare la creatura umana occorre anche il contributo di psicologia, filosofia e spiritualità:
“Questo incontro diventa veramente un invito a ricordare che la medicina non è solo - nonostante il titolo - una questione cellulare, biologica: è una questione culturale, antropologica”.
L’assetto sarà dunque dialogico, la tematica scientifica: al centro le malattie rare, ben 6.000 nel mondo, e le condizioni debilitanti dei pazienti che ne soffrono, circa 300 milioni, con le loro famiglie. "Un’emergenza globale" che non ha la giusta attenzione, dice don Tomasz Trafny, direttore del Dipartimento scienza e fede del Pontificio Consiglio per la Cultura. Noi, ha sottolineato, "vogliamo mostrare i progressi della ricerca e dare un messaggio di speranza proprio in quell’ambito di ricerca eticamente accettabile e consono ai nostri valori":
"Noi ci impegniamo per presentare ciò che è accessibile: un orizzonte di ricerca che riguardi le malattie oncologiche, diabete, alcune terapie cellulari, per far vedere che la scienza veramente progredisce in maniera significativa. Moltissimi relatori vogliono dialogare tra di loro, per trovare le migliori soluzioni possibili, ma tutto ciò nella cornice della ricerca adeguata agli standard della nostra etica, della nostra sensibilità e alti valori. C’è un numero enorme di ricerche, di protocolli di ricerca - decine di migliaia - che non suscitano alcun problema etico o morale e che possono essere applicate nelle strutture ospedaliere o nei percorsi di cura, senza alcun problema".
Ma "nel convegno", ha aggiunto don Tomasz Trafny, "vogliamo anche sfidare visioni scientifiche che non corrispondono al perimetro del nostro codice etico, senza polemiche o posizioni apodittiche":
"Ci si aspetta molto di più dalla ricerca fatta sulle cellule staminali adulte, perché ci sono moltissimi trial clinici e moltissime applicazioni che sono state sviluppate rispetto a quelle embrionali. Quindi, il nostro obiettivo non è polemizzare, ma è il dialogo e un messaggio di speranza per individuare i punti forti”.
Dunque, "empatia" prima parola chiave del Convegno, secondo gli organizzatori, insieme con il potenziamento della ricerca e con la garanzia dell'accessibilità alle cure, per non lasciare nessuno senza speranza. A questo proposito, sono enormi negli ultimi anni i progressi registrati nella cura cellulare dei tumori e delle malattie rare, ha spiegato la dottoressa Robin Smith, presidente della Fondazione "The Stem for Life":
"It’s to foster dialogue between science and faith…
Siamo qui per promuovere il dialogo tra scienza e fede e aiutare la gente a comprendere i progressi della medicina che fa uso di cellule del proprio corpo… Immaginatevi se, invece di trattare i sintomi, fossimo capaci di aiutare il corpo a combattere queste malattie e curarle…Ci sono oltre 30 mila test clinici in corso, trattati con la terapia delle cellule. Stiamo imparando a raccogliere tutte le informazioni sui genomi, tutti i dati personali, i monitoraggi della salute delle persone fatto lungo gli anni… Ecco, quando avremo raccolto tutte le informazioni, potremo determinare quali sotto-ceppi di malattie ci sono e quale sia il modo migliore di trattarli. Adesso c’è grande interesse per l’immuno-oncologia: cioè, rigenerare il sistema immunitario, mettendolo in condizione di aggredire le cellule che potrebbero essere cancerogene, un settore questo di grande interesse".
Il programma dei tre giorni di lavoro prevede come tematiche generali: la speranza dei nostri figli, le scoperte cellulari e tecnologiche nella cura del cancro, le frontiere cellulari tra ricerca, regolamenti e finanziamenti.
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Padre Lombardi: il mio ricordo di Papa Wemba, voce dell’Africa
Un grande musicista che ha messo i suoi talenti al servizio della sua Africa. Il mondo della musica e non solo piange la scomparsa prematura di Papa Wemba, icona musicale africana, definito il “re della rumba congolese”. L’artista è morto domenica scorsa all’età di 66 anni, proprio mentre si esibiva in un evento culturale in Costa d’Avorio. Cristiano impegnato, Papa Wemba trasformò in musica il messaggio che Benedetto XVI voleva offrire all’Africa con il Sinodo continentale. Ecco il ricordo che ne dà il direttore della Sala Stampa Vaticana, padre Federico Lombardi, al microfono di padre Jean Pierre Bodjoko:
R. – Ho un ricordo molto bello, molto piacevole, amichevole e direi anche di gratitudine vera per lui perché ha collaborato con noi durante belle iniziative che abbiamo fatto insieme ai programmi per l’Africa della Radio Vaticana nel contesto dell’ultimo Sinodo continentale dei vescovi per l’Africa. Era un Sinodo, come forse si ricorderà, dedicato al tema “Giustizia, pace e riconciliazione”. Noi siamo convinti che per far passare un messaggio per il popolo africano non basta un lungo documento, molto bello, articolato e dei grandi discorsi; ci vuole una canzone, ci vogliono delle canzoni che facciano passare un messaggio che poi rimane spontaneamente nella memoria e nel cuore, che si ricanta dentro di sé per la strada. Abbiamo cercato degli artisti africani che avessero la sensibilità di tradurre in canzoni questo messaggio della pace, della riconciliazione e della giustizia anche in modo semplicissimo. Papa Wemba ha risposto con molta disponibilità, quindi è venuto per un concerto che abbiamo preparato qui all’Auditorium della Conciliazione – era pieno di gente, c’erano quasi tutti i vescovi partecipanti al Sinodo africano, una serata bellissima – e molto probabilmente era l’artista africano principale che ha preso parte a questo concerto cantando, mettendo a disposizione generosamente la sua presenza e la sua arte molto spontanea.
D.- Dopo il concerto, anche un cd…
R.- Continuando sulla stessa linea, abbiamo preparato un cd che si chiama “Africa Tenda Amani” che in swahili vuol dire “Pace e riconciliazione”. Questo cd contiene canzoni fatte da Papa Wemba e da altri artisti africani sempre sui temi del sinodo e l’abbiamo mandato a tutte le diocesi africane proprio come strumento per far passare nella vita, attraverso il canto, il messaggio della pace e della riconciliazione. Infine, ha preso parte ad un concerto che abbiamo organizzato a Cotonou la sera in cui arrivava Benedetto XVI in Benin per promulgare, per pubblicare e diffondere il documento “Africae Munus”, quello che portava il messaggio del sinodo in Africa. Quindi tre grandi e belle iniziative, tutte con un certo filone: portare attraverso la canzone il messaggio della pace, della riconciliazione per il popolo africano. Un artista molto noto, molto amato dalla gente; era certamente un testimonial particolarmente efficace per questa iniziativa. Poi abbiamo avuto anche naturalmente la possibilità di fargli incontrare, insieme a sua moglie, il Santo Padre in occasione di un udienza. Mi ricordo la sua gioia per questo incontro che fu sostanzialmente il grande “compenso” che noi demmo per la sua partecipazione, generosa e disponibile, alla nostra iniziativa. Lo ricordo come una persona molto amabile, affabile, semplice, cordiale che sembrava veramente contenta di mettere a disposizione la sua arte di un grande ideale al servizio della Chiesa.
D. - Di Papa Wemba ricorderemo sempre che ha fatto questo servizio come cristiano. La sua voce, soprattutto per gli africani, era importante per dare modo di ascoltare in mondo più semplice i temi della giustizia, della riconciliazione a coloro che non sanno leggere …
R. - Certamente. Credo che questa valga un po’ in tutte le culture. Le forme per far passare efficacemente un messaggio sono molte e la musica, come vediamo ad esempio per i giovani, è particolarmente importante. Ma nella cultura africana una musica che diventa ritmo, che si fonde veramente con la vita, è estremamente importante; credo sia più efficace per far passare in profondità un messaggio di una parola scritta e concettualmente articolata, anche se l’una e l’altra sono necessarie.
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Oxfam: sostenere le donne per ridurre la fame nel mondo
Sono quasi 800 milioni le persone affamate nel mondo. Vere e proprie emergenze si registrano oggi in Malawi ed Etiopia. Oxfam-Italia lancia una campagna (24 aprile-9 maggio) sul motto "Sfido la fame" incentrata sul rapporto “Donne, cibo e cambiamento climatico”. Se le donne avessero gli stessi diritti degli uomini - sostiene - si potrebbero ridurre di 150 milioni i denutriti nel mondo. Roberta Gisotti ha intervistato Roberto Barbieri, direttore generale di Oxfam-Italia:
D. – Dott. Barbieri, le donne possono, dunque, giocare un ruolo chiave per contrastare la fame?
R. – Sì, possono giocare un ruolo chiave per contrastare la fame, perché sono prima di tutto le principali attrici dell’agricoltura. Gran parte delle donne, infatti, lavorano nel campo agricolo e sono anche, però, tra gli agricoltori più vulnerabili. Sono quelle, quindi, che più di altri soffrono gli effetti della povertà e del cambiamento climatico. Questo perché avviene? Perché le donne non hanno accesso spesso ai normali fattori della produzione: non hanno accesso al credito; non hanno, in alcuni Paesi, diritto alla titolarità della terra, come invece avviene per gli uomini. Secondo la nostra stima, se le donne avessero questa pari opportunità, sarebbero in realtà il migliore investimento per le comunità. La fame, infatti, si potrebbe ridurre di circa il 19 per cento. 150 milioni di persone, quindi, potrebbero uscire dalla fame, grazie all’incremento di produttività delle donne. E sappiamo anche che un dollaro dato in mano ad una donna ha un effetto molto più rilevante per l’istruzione dei figli, per la salute dei figli rispetto alla stessa quantità di risorse guadagnate da un uomo.
D. – Una campagna volta a raccogliere fondi per quali Paesi? Tra quelli in maggiore emergenza sappiamo è il Malawi, dove è stato dichiarato lo stato di calamità nazionale per la siccità, e poi diversi altri in Africa…
R. – Sì, una campagna di raccolta fondi - con sms, lo ricordo, al 45509 – per sostenere programmi concreti per le donne in Africa, soprattutto in Sudan, in Etiopia, in Tanzania, ma anche in Marocco e in Tunisia, che diano strumenti concreti, come sementi, formazione, accesso al credito e anche – quello che è più importante – un sostegno alle organizzazioni contadine, perché cambino le regole del gioco per le donne, perché le donne possano avere strutturalmente accesso a quei fattori della produzione che spesso a loro sono negati.
D. – In realtà, sono decenni che le Nazioni Unite sollecitano la promozione del ruolo della donna nella società, nei Paesi in via di sviluppo. Ecco, nella vostra esperienza, quali resistenze maggiori ci sono: politiche, culturali?
R. – Entrambe. Sono politiche e culturali. Molto spesso la donna ha nella società un ruolo chiave, ma non riconosciuto da un punto di vista culturale. Si trova, appunto, in situazioni di svantaggio. Su questo bisogna lavorare molto, perché l’accesso sia non solo nel miglioramento delle condizioni di vita, non solo a livello economico, ma anche nelle strutture familiari. Devono, quindi, cambiare spesso i rapporti di potere all’interno delle famiglie, perché il cambiamento sia sostenibile. Questo è il lavoro che serve nel lungo periodo.
D. – Da parte delle Nazioni Unite, forse, ci vorrebbe più polso nel vincolare gli aiuti alla promozione della donna, quando ci si riferisce a strutture governative, statali…
R. – Sì, serve anche soprattutto maggiore investimento proprio nei progetti dell’agricoltura di piccola scala. Questo è un elemento importante. Molto spesso si parla di cooperazione allo sviluppo e di aiuti in senso astratto, ma è importantissimo che questi investimenti di cooperazione internazionale siano nell’agricoltura di piccola scala, perché è proprio lì che la donna beneficerebbe maggiormente dei programmi e degli investimenti. Poi ci sono tutti gli sforzi per far sì che le regole del gioco, le politiche di genere, migliorino nei diversi Paesi. Questo è un dato fondamentale su cui, sono d’accordo, serve maggiore coraggio da parte di tutti.
Fonte Radio Vaticana -
Marilina Lince Grassi