«Il governo italiano ha una responsabilità enorme sulla vicenda dei marò
italiani, la crisi è stata gestita malissimo, e ha rischiato di
produrre un effetto a catena a livelli internazionale; il premier
Cameron sbatteva la testa contro il muro non riuscendo a capacitarsi di
quello che stavano combinando a Palazzo Chigi». Mark Lowe,
vent’anni di esperienza nel campo della sicurezza e della difesa,
consulente di governi e servizi, direttore e responsabile delle
riviste Maritime Security Review e di KR Magazine(periodico che si
occupa esclusivamente di studiare e analizzare a livello
internazionale ogni forma di kidnapping, di rapimento), non ha dubbi sul
come e perché i fucilieri di Marina Massimiliano Latorre e
Salvatore Girone sono finiti nel pasticcio in cui sono finiti, e come
forse avrebbero potuto evitare di finirci. Ieri Mark Lowe ha
incontrato il pubblico del festival èStoria di Gorizia, assieme a uno
scatenatissimo Edward Luttwak, nell’ambito dell’incontro “Pirati
oggi. Geopolitica del fenomeno dall’Indonesia alla Somalia”,
coordinato da Gianandrea Gaiani. È stato inevitabile tirare in ballo i
marò, anche perché la loro vicenda è paradigmatica del fenomeno
globale della moderna pirateria, e di come Stati, governi,
organizzazioni internazionali e armatori stiano provando ad
affrontarla.
Nell’ambito di un’edizione della rassegna goriziana
dedicata ai banditi, ovviamente il tema dei pirati è stato toccato
più volte: dai mitici pirati dell’Adriatico, gli Uscocchi, ai
pirati dell’antica Roma (ne hanno parllato Giovanni Brizzi, Nic Fields e
Gianpaolo Urso) fino alla pirateria del lontano Oriente all’epoca
dei samurai (con Angus Konstam e Stephen Turnbull). Ma sono i pirati dei
giorni nostri a prendersi la scena in un momento in cui il
fenomeno a livello mondiale è in crescita, dando origine a un sistema
criminale molto complesso e, dice Mark Lowe, «pieno di aree
grigie». Secondo gli ultimi dati resi noti tre giorni fa, nelle acque
prospicenti il Corno d’Africa, e in particolare in Somalia, nel 2012
si sono verificati 29 “incidenti” dovuti alla pirateria con un caso
di fallito abbordaggio. Complessivamente, in quella parte di mondo, la
pirateria è diminuita del 69 per cento rispetto al 2011. «Ma questo
- spiega Lowe -, è dovuto alla politica del nuovo presidente Hassan
Sheikh Mohamud, un islamico moderato che piace a tutti, che vuole
piacere a tutti, e che ha sostanzialmente detto ai pirati di casa
sua di starsene buoni se non vogliono passare seri guai». In altre parti
del globo le cose non vanno così. Per esempio nel Golfo di Guinea,
in particolare alle roventi foci del Niger, dove nel 2012 ci sono stati
59 casi di pirateria, con 7 abbordaggi e sedici rapimenti. «I
pirati nigeriani sono i più feroci e disperati - spiega Lowe, operano
anche cento miglia al largo della costa, non vanno confusi con il
Mend, il Movimento di emancipazione del delta del Niger, e puntanto
al furto dei carburanti; basterebbe impiantare una raffineria in
Nigeria e ad uso della Nigeria per spuntare le armi ai pirati». E
poi c’è il Sud Est asiatico, con 58 casi di pirateria, anche se lì, dice
ancora Lowe, «si tratta di pirateria di basso livello, più che
altro rapine ai danni di barche alla fonda».
Nel complesso il fenomeno
della pirateria mondiale è in crescita, continua Lowe, «mentre
manca una regia unica di contrasto, che dovrebbe essere affidata
alle Nazioni Unite, per intervenire in modo efficace». «I pattugliamenti
servono a poco - spiega l’esperto - solo nell’Oceano Indiano sono
schierate almeno venti unità navali, ma l’area è vastissima, è come
pattugliare l’intera Europa occidentale con quattro automobili». In più
l’impiego di queste unità costa ai governi 320mila euro al giorno
per ogni nave, vale a dire sei milioni e mezzo di euro, tutti soldi dei
contribuenti: «fondi che potrebbero essere utilizzati diversamente,
per aiutare quei Paesi a casa loro, visto che ciò che accade in
mare non è altro che il riflesso di ciò che avviene a terra». Come
sempre, questione di scelte politiche. E di capacità organizzativa.
Tornando ai marò italiani sotto processo in India, conclude Lowe,
l’incidente non sarebbe accaduto se il governo italiano avesse
emanato in tempo il decreto attuativo che fissa termini e regole
d’ingaggio: «I due marò sono soldati ben addestrati, ma le regole
non erano chiare, e forse qualcuno avrebbe dovuto spiegare loro il
contesto in cui operavano, per esempio che in quelle acque ci sono molti
pescherecci che gettano reti di posta spesso distrutte senza
volere dai mercantili in transito, perciò quando un peschereccio vede
una nave avvicinarsi alle reti corre per fargli cambiare rotta,
magari senza pensare che tutta quella fretta può essere male
interpretata da chi, a bordo del mercantile, ha l’ordine di
garantire la sicurezza; l’incidente può succedere, ma se il governo
italiano fosse intervenuto subito assumendosi le sue responsabilità
adesso i marò non sarebbero nella situazione in cui sono». «È stata
una commedia degli errori - ha evidenziato anche Luttwak -: anzitutto
se non sparano gli altri, non si spara. Poi ci sono stati gli
errori diplomatici: il sottosegretario De Mistura ha alzato un inutile e
rumoroso polverone sulla vicenda, dopo che l’India aveva
volutamente tenuto sotto silenzio l’episodio; poi il ministro degli
Esteri Terzi di Santagata, ha consigliato di violare il patto con la
Corte Suprema indiana». Insomma, il solito pasticcio all’italiana.
(Fonte)
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