L'Italia punta ad andare subito in Aula. Così, l'India avrebbe i colpevoli che cerca. E i fucilieri potrebbero tornare a casa.
di Giovanna Faggionato
Il clima è cambiato. E da eroi della patria da celebrare al Colosseo o per cui combattere nell'agone del parlamento, i due marò Massimiliano Latorre e Salvatore Girone sono diventati i protagonisti di un caso da trattare con sano e astuto pragmatismo.
Strano destino quello dei due fucilieri accusati di aver ucciso due pescatori al largo delle coste del Kerala e da mesi installati nel compound dell'ambasciata italiana di New Delhi: dopo essere stati al centro delle cronache ed essere stati usati come altare su cui immolarsi dall'ex ministro degli Esteri, Giulio Terzi, arrivato a dare le dimissioni dopo aver deciso di trattenerli in Italia infrangendo i patti sottoscritti con la Corte suprema indiana, sul loro caso è caduto il silenzio.
«GLI INDIANI HANNO CAPITO». Lo ha rotto il 29 giugno Emma Bonino, al timone della Farnesina nel governo Letta: le indagini supplementari, ha detto ai microfoni di Radio 24, «finiranno tra poco e a luglio dovrebbe iniziare il processo». Bonino si è detta «convinta che sia stata trovata la strada per una soluzione giusta e rapida». Un cauto ottimismo dovuto alla potenza delle larghe intese, che non valgono solo in Italia, ma sembra che siano state raggiunte anche con New Delhi.
«Gli indiani», ha fatto sapere a Lettera43.it una fonte vicinissima al ministero degli Esteri, «hanno capito». E ha proseguito: «Ormai non è più questione di appurare i dettagli dell'incidente, altrimenti li tengono lì altri cinque anni».
Strano destino quello dei due fucilieri accusati di aver ucciso due pescatori al largo delle coste del Kerala e da mesi installati nel compound dell'ambasciata italiana di New Delhi: dopo essere stati al centro delle cronache ed essere stati usati come altare su cui immolarsi dall'ex ministro degli Esteri, Giulio Terzi, arrivato a dare le dimissioni dopo aver deciso di trattenerli in Italia infrangendo i patti sottoscritti con la Corte suprema indiana, sul loro caso è caduto il silenzio.
«GLI INDIANI HANNO CAPITO». Lo ha rotto il 29 giugno Emma Bonino, al timone della Farnesina nel governo Letta: le indagini supplementari, ha detto ai microfoni di Radio 24, «finiranno tra poco e a luglio dovrebbe iniziare il processo». Bonino si è detta «convinta che sia stata trovata la strada per una soluzione giusta e rapida». Un cauto ottimismo dovuto alla potenza delle larghe intese, che non valgono solo in Italia, ma sembra che siano state raggiunte anche con New Delhi.
«Gli indiani», ha fatto sapere a Lettera43.it una fonte vicinissima al ministero degli Esteri, «hanno capito». E ha proseguito: «Ormai non è più questione di appurare i dettagli dell'incidente, altrimenti li tengono lì altri cinque anni».
Cinque incontri tra de Mistura e il ministro indiano
Negli ultimi due mesi, la diplomazia italiana ha lavorato nel riserbo. Dopo il pasticcio di Terzi, l'intero dossier è passato nelle mani di Staffan de Mistura. L'uomo scelto per sciogliere le tensioni, evitare le schermaglie, aggirare le dispute.
Dagli inizi della sua lunga carriera, negli ambienti diplomatici si dice con qualche malignità: «de Mistura? Sa bene le lingue».
Una malizia pungente per dire che se l'uomo conosce a mena dito il diritto internazionale e sa usare bene il linguaggio, le sue idee politiche sono carenti. «Una debolezza», ha riassunto bene un diplomatico, «che ora si trasforma in forza». Con questo profilo, de Mistura pare adatto a prendersi sulle spalle un caso compromesso proprio dalle troppe prove di orgoglio muscolare. Già sottosegretario con Monti, l'alto funzionario italo-svedese è stato nominato a maggio inviato speciale della presidenza del Consiglio. Un ruolo che gli consente di avere le mani libere e allo stesso tempo di non dover rispondere alle domande.
PRESSIONI SUI TEMPI. Il vice ministro Bruno Archi, attualmente alle prese con ben altri guai (il suo nome è nella lista di coloro che rischiano il processo per falsa testimonianza nel dibattimento Ruby), nonostante la delega ai rapporti con l'Asia, non mette bocca nella faccenda. Il portavoce di de Mistura rimpalla sulla Farnesina. E quello del ministro Bonino spiega: «Se l'inviato speciale della presidenza del Consiglio vuole approfondire è giusto che lo faccia lui».
Circondato da questo silenzio, de Mistura è riuscito a incontrare il ministro degli Esteri indiano, Salman Khurdish, cinque volte dalla sua nomina di fine ottobre 2012. L'ultimo faccia a faccia risale all'11 giugno. E l'argomento è sempre lo stesso: arrivare velocemente al processo. E alla sentenza.
Dagli inizi della sua lunga carriera, negli ambienti diplomatici si dice con qualche malignità: «de Mistura? Sa bene le lingue».
Una malizia pungente per dire che se l'uomo conosce a mena dito il diritto internazionale e sa usare bene il linguaggio, le sue idee politiche sono carenti. «Una debolezza», ha riassunto bene un diplomatico, «che ora si trasforma in forza». Con questo profilo, de Mistura pare adatto a prendersi sulle spalle un caso compromesso proprio dalle troppe prove di orgoglio muscolare. Già sottosegretario con Monti, l'alto funzionario italo-svedese è stato nominato a maggio inviato speciale della presidenza del Consiglio. Un ruolo che gli consente di avere le mani libere e allo stesso tempo di non dover rispondere alle domande.
PRESSIONI SUI TEMPI. Il vice ministro Bruno Archi, attualmente alle prese con ben altri guai (il suo nome è nella lista di coloro che rischiano il processo per falsa testimonianza nel dibattimento Ruby), nonostante la delega ai rapporti con l'Asia, non mette bocca nella faccenda. Il portavoce di de Mistura rimpalla sulla Farnesina. E quello del ministro Bonino spiega: «Se l'inviato speciale della presidenza del Consiglio vuole approfondire è giusto che lo faccia lui».
Circondato da questo silenzio, de Mistura è riuscito a incontrare il ministro degli Esteri indiano, Salman Khurdish, cinque volte dalla sua nomina di fine ottobre 2012. L'ultimo faccia a faccia risale all'11 giugno. E l'argomento è sempre lo stesso: arrivare velocemente al processo. E alla sentenza.
«Una soluzione accettabile per entrambi»
Secondo quanto risulta a Lettera43.it, la diplomazia italiana è concentrata sul far filare tutto liscio, senza più discussioni. E dà ormai poca importanza alle indagini affidate all'agenzia anti terrorismo di New Delhi: «La vera questione sono i tempi», ha spiegato la fonte ben informata e vicina al Mae. Non si dicute più nemmeno dei risultati controversi delle perizie della polizia indiana, secondo le quali a sparare non sarebbero stati Latorre e Girone, ma altri marò a bordo della petroliera Enrica Lexie. Il caso, a quanto pare, è stato chiuso: «Ci hanno chiesto di sentire quattro persone, abbiamo rifiutato e hanno accettato una dichiarazione scritta», è il riassunto. Insomma, l'importante è che il processo inizi.
Anche nel caso di condanna, infatti, il trattato sullo scambio di prigionieri tra Italia e India, congegno elaborato proprio dal sottosegretario de Mistura, permetterebbe ai due marò di tornare a casa.
SENZA TROPPO RUMORE. «Sarebbe una soluzione vincente per entrambi», ha ragionato conLettera43.it, l'ex ambasciatore e inviato speciale per l'Africa, Armando Sanguini. «Gli indiani avrebbero dei colpevoli e i marò tornerebbero a casa. Per questo in questo momento conviene a tutti non fare troppo rumore».
E infatti la diplomazia indiana è felpata. «I tempi dei processi sono quelli che sono», ha dichiarato dopo il faccia a faccia con de Mistura, Syed Akbaruddin, portavoce del ministro indiano, sottolineando l'autonomia delle istituzioni giudiziarie.
Anche nel caso di condanna, infatti, il trattato sullo scambio di prigionieri tra Italia e India, congegno elaborato proprio dal sottosegretario de Mistura, permetterebbe ai due marò di tornare a casa.
SENZA TROPPO RUMORE. «Sarebbe una soluzione vincente per entrambi», ha ragionato conLettera43.it, l'ex ambasciatore e inviato speciale per l'Africa, Armando Sanguini. «Gli indiani avrebbero dei colpevoli e i marò tornerebbero a casa. Per questo in questo momento conviene a tutti non fare troppo rumore».
E infatti la diplomazia indiana è felpata. «I tempi dei processi sono quelli che sono», ha dichiarato dopo il faccia a faccia con de Mistura, Syed Akbaruddin, portavoce del ministro indiano, sottolineando l'autonomia delle istituzioni giudiziarie.
Ma poi ha anche aggiunto di sapere che il caso è di quelli senza precedenti: «Come due Paesi amici», ha chiosato con i cronisti locali, «possiamo solo lavorare insieme per trovare, in maniera sui generis per un caso sui generis, soluzioni che siano accettabili per entrambi». È il tempo delle larghe intese.
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