La deposizione resa ieri agli inquirenti indiani da Carlo Noviello,
l’ex vicecomandante della Enrica Lexie e testimone oculare
dell’incidente che coinvolse i Marò, è per certi versi clamorosa e
rappresenta l’ennesima bordata al fasullo castello accusatorio messo in
piedi dalla polizia del Kerala e fatto proprio dalla magistratura
indiana. L’ufficiale è arrivato a Kochi, si pensi un po’, direttamente
dal Golfo del Messico, dalla nave sulla quale è attualmente imbarcato.
Assistito da V.J.Mathew, il legale della compagnia armatrice napoletana
F.lli d’Amato, Noviello ha fornito la sua versione dei fatti ad un
funzionario della NIA, il vice ispettore P.V.Vikraman, in pratica
confermando e ribadendo per filo e segno quanto aveva già riferito agli
inquirenti keralesi quasi un anno e mezzo fa.
Noviello ha raccontato cosa successe in quel fatidico pomeriggio del 15
febbraio 2012, dal momento in cui sul radar della Lexie apparve la
traccia di una piccola imbarcazione che destava sospetti perchè in
rapido avvicinamento alla nave protetta dai Marò in acque infestate dai
pirati. A quel punto entrò in azione il team antipirateria costituito
dai sei Marò del nucleo di protezione militare che avviò le procedure di
avviso e dissuasione secondo le regole d’ingaggio previste. Il
comandante della nave Vitelli era sottocoperta nel suo ufficio, la sua
presenza non era necessaria in quanto in quelle circostanze la legge
prevede che sia il comandante dei Marò, cioè Max Latorre, a prendere il
pieno comando della nave.
Noviello invece rimase lì e fu testimone oculare della vicenda. Racconta di aver visto due fucilieri, Latorre e Girone, attivare le segnalazioni d’avviso luminose e visive senza ricevere nessun riscontro dall’imbarcazione in avvicinamento. Mentre questa si avvicinava furono sparate brevi raffiche a 500m, 300m, e 100m di distanza. Quando questa giunse sottobordo a circa 50-60 metri dalle murate della Lexie, i due Marò non spararono altri colpi in acqua, ma si limitarono a mostrare agli aggressori i loro fucili mitragliatori per fargli intendere che sarebbe stato molto meglio per loro che se ne fossero andati rinunciando ad attaccarli. Fu a quel punto che quello che visto da vicino poteva essere un peschereccio ha bruscamente invertito la rotta allontanandosi velocemente.
Dopo avere confermato di non aver notato nessuna persona ferita, o
peggio morta, sulla barca che si allontanava, Noviello ha fatto
esplodere la bomba destinata a fare molto rumore nella vicenda, quando
si è dichiarato sicurissimo che il peschereccio dissuaso dai Marò, e che
lui ha visto indistintamente dal ponte della Lexie, non fosse
assolutamente il St. Antony, cioè il peschereccio a bordo del quale
trovarono la morte 5 ore più tardi ed a 27 miglia di distanza i due
pescatori keralesi. Afferma infatti il vicecomandante: “Dalle foto che
mi hanno mostrato l’anno scorso dopo l’incidente al Dipartimento indiano
della Marina Mercantile i colori non corrispondono con quelli del
peschereccio che ho visto sotto il bordo della Lexie quel giorno”.
Qui vale la pena aprire una breve parentesi. Va sottolineato che al Noviello furono mostrate foto del St. Antony dalle quali lui non riconobbe il peschereccio che si era ingaggiato con la m/n Enrica Lexie. Questa storia, peraltro anche confermata dai Marò accusati, non è nuova, perchè a suo tempo, durante gli interrogatori a caldo subito dopo l’incidente, sia il Noviello che i due Marò sequestrati nel porto di Kochi indicarono alla polizia di stato ed a quella portuale che il peschereccio ormeggiato in quel porto, il St. Antony, non corrispondeva a quello degli assalitori.
Come descritto in dettaglio nel post dello scorso 10 aprile, nel rapporto stilato dai Marò che poi verrà sequestrato ed allegato agli atti dell’inchiesta sull’incidente, si poteva tra l’altro leggere che: “la Lexie viaggiava a circa 22 miglia dalla costa, in acque internazionali al largo dello stato indiano del Kerala, rotta 330°, velocità di 14 nodi. Una piccola imbarcazione veniva avvistata sul radar a 2,8 miglia di distanza, ma in veloce avvicinamento con modalità sospette e ritenute aggressive”. Nel prosieguo del rapporto dell’accaduto, stilato in tempi e situazione ancora non sospetti, il natante veniva descritto di “colore blu e della lunghezza di circa 12 m”. Ora chiunque può rendersi conto che il St Antony è, anzi che era, visto che nel frattempo è stato fatto demolire, bianco con due striature longitudinali nere.
Quindi, non c’è alcuna prova che il natante
intercettato e respinto dalla Lexie fosse il St Antony come asserito sin
dall’inizio dalla polizia indiana, la quale ha invece volutamente
ignorato questa incongruenza che se fosse stata tenuta in debito conto
avrebbe potuto indirizzare in tutt’altra direzione l’intera inchiesta ed
i Marò sarebbero a casa già da un pezzo e completamente scagionati.
Peraltro, il St Antony ormeggiato a Kochi aveva tutti i vetri intatti.
Strano per un peschereccio che secondo il suo comandante Bosco e la
polizia del Kerala era appena reduce da un attacco in cui era stato
investito da una pioggia di migliaia di proiettili.
Va ulteriormente precisato che la testimonianza di Noviello è valsa
anche a dissipare le nebbie sollevate dagli inquirenti indiani attorno
alla figura del comandante Umberto Vitelli.
La polizia indiana ad un
certo punto ha cercato di creare una crepa in cui insinuarsi sul fronte
italiano, cercando di mettere la società armatrice della Enrica Lexie,
gli ufficiali di bordo e gli uomini di equipaggio contro i Marò. In
particolare, si è tentato di strumentalizzare l’assenza del Vitelli sul
ponte al momento dell’incidente per accusare i Marò di aver agito senza
avvertire il comandante della nave e quindi di essere colpevoli di
insubordinazione. Volevano fare come l’FBI con Al Capone, che non
potendolo trarre in arresto né per i suoi delitti, né per i suoi
traffici, alla fine lo incastrò per evasione fiscale. Noviello ha
spiegato che secondo la legge il comandante della nave in quei momenti
era Latorre, il capo del drappello dei Marò, e che avrebbe provveduto
lui ad impartire all’equipaggio quegli ordini per le manovre che si
fosse reso necessario attuare nel caso di conflitto a fuoco che poi non
c’è stato.
Con la deposizione di Noviello si è concluso il giro delle sei deposizioni di testimoni civili che la NIA, l’agenzia investigativa nazionale dell’India, aveva richiesto per completare la fase istruttoria. E’ noto però che si è venuto a creare il problema delle testimonianze degli altri quattro Marò non indagati che erano imbarcati sulla Lexie al momento dell’incidente. In effetti era stato l’armatore della nave a “promettere”, in cambio del dissequestro della nave, che avrebbe collaborato con le autorità indiane rendendo disponibili tutti i testimoni richiesti. E’ evidente che si riferiva ai testi civili suoi dipendenti, cioè agli ufficiali ed agli uomini dell’equipaggio, non potendo accampare alcun diritto per quanto riguardava i componenti del nucleo di protezione militare. Ma gli indiani hanno preso la palla al balzo per pretendere che vadano in India a testimoniare anche i Marò Renato Voglino, Massimo Andronico, Antonio Fontana ed Alessandro Conte, pena la sospensione delle indagini e la non conclusione dell’istruttoria. Visti i precedenti, col rischio che appena sbarcati in India i quattro Marò vengano arrestati anche loro, l’Italia ha a più volte categoricamente escluso questa possibilità.
Questa è la situazione al momento. C’è solo da sperare che prevalga
la ragione e che la NIA si convinca dell’estraneità dei due fucilieri
italiani all’uccisione dei pescatori keralesi alla luce del fatto che
per far quadrare i conti la polizia del Kerala ha spostato di 5 ore
l’ora dell’incidente, che il peschereccio coinvolto non era il St Antony
che, infatti, s’è affrettata a far scomparire, che le perizie
balistiche originali, non quelle taroccate dopo, dimostrano che ad
uccidere i due pescatori non furono le armi di Max e Salvo secondo
l’anatomopatologo indiano autore della perizia necroscopica sui cadaveri
dei pescatori.
Per convincerli sull’inopportunità di insistere nella loro richiesta, possiamo ricordare agli inquirenti della NIA ed al governo indiano che il tribunale di Busto Arsizio ha citato come testimone nel processo sulle presunte tangenti relative alla commessa di 12 elicotteri Agusta AW-101 il ministro della difesa dell’India, A.K. Antony il quale ha già fatto sapere di aver reclinato l’invito, senza neanche mostrarsi disponibile a fornire la sua deposizione a casa sua. Questa è una notizia riportata in una nota uscita dal Ministero della Difesa a New Delhi e finita sul quotidiano the Times of India lo scorso 29 luglio, che non è chiaro se è anche stata recapitata al tribunale di Busto. Incluso nella lista di 80 testimoni insieme all’ex ministro della Difesa britannico Geoff Hoon ed al faccendiere indiano Ratan Tata, secondo la nota menzionata “non vi è alcuna possibilità che Antony si presenti all’udienza del 12 settembre prossimo”. Le solite due pesi e due misure degli indiani, i Marò si, K.A.Antony no?
La prossima settimana Staffan De Mistura sarà a New Delhi per fare il punto della situazione con gli indiani. Siamo sicuri che gli argomenti per farsi sentire e gli strumenti giusti per esercitare la pressione che ci vuole non gli manchino. Speriamo che si dia pure un po’ di coraggio.
(Fonte)
Nessun commento:
Posta un commento