sabato 7 settembre 2013

PER MEGLIO CAPIRE

I RETROSCENA POLITICI DELL'INDIA



Come efficacemente spiegato dall’ex diplomatico indiano M.K. Bhadrakumar (Church and the State in Kerala) la Chiesa cattolica stava svolgendo un ruolo fondamentale nel tentare di risolvere l’intricata questione, dal momento che esistono importanti risvolti politici e sociali. L’Italia stava affrontando la problematica con il supporto diplomatico della Santa Sede, mediante il cardinale di Kochi Mar George Alencherry, capo della Chiesa siro-malabarese, nominato porporato a Roma proprio il 18 febbraio scorso da Papa Benedetto XVI. 
E’ curioso il fatto che il cardinale, malgrado sostenesse la versione indiana dell’avvenuta uccisione dei due pescatori, definita come un tragico errore, ha ammonito il capo di governo del Kerala a non agire precipitosamente. A poche ore dall’accaduto, infatti, Chandy sosteneva la necessità di giudicare i due soldati italiani nel Kerala mediante la legge indiana anche nel caso in cui lo scontro fosse avvenuto in acque internazionali. 
Atteggiamento aggressivo pochi giorni dopo mutato in una politica più accorta.

Malgrado le strumentalizzazioni politiche interne all'India e il fermo della polizia locale dei due marò, non sono certo da biasimare gli indiani irritati per l’uccisione di due loro connazionali, per ora l’unica certezza dell’intera vicenda. Da una parte e dall'altra c’è una forte emotività per l’accaduto e i sentimenti anti-indiani in Italia, così come anti-italiani in India sono ingiustificabili. Inoltre, la comunità cristiana cattolica del Kerala potrebbe vedere acuirsi le divisioni socio-politiche al suo interno. Ad ogni modo, prima di stabilire delle sentenze, date per certe da una parte e dall'altra, sarebbe necessario favorire in primo luogo una chiara indagine dell’accaduto per fugare qualsiasi dubbio. Gli eccessi di nazionalismo rappresentano in questo frangente il pericolo maggiore, mentre i canali diplomatici attivati sembrano andare nella giusta direzione, con tempi comunque certamente lunghi. Pare, inoltre, che la consegna dei due marò sia avvenuta mediante l’accondiscendenza del console italiano a Mumbai, Giampaolo Cutillo, in modo tale da evitare ulteriori screzi e problematiche maggiori di fronte all'opinione pubblica indiana e alle comunità dei villaggi lungo la costa.

LA GIURISPRUDENZA INTERNAZIONALE 


Perché l’India contesta la giurisdizione italiana sull'accaduto e per quale motivo Nuova Delhi non riconosce l’immunità di Latorre e Girone?

Come detto, la posizione indiana è contraria al diritto internazionale. Dal punto di vista giuridico, l’India esercita giurisdizione in ragione del presunto verificarsi dei fatti all'interno delle proprie acque territoriali. Premesso che la circostanza è probabilmente non veritiera, in ogni caso nulla sarebbe cambiato per il diritto internazionale: il regime di immunità dello Stato straniero (e dei suoi organi) dalla giurisdizione dello Stato del foro, infatti, si applica anche per i fatti commessi nel territorio dello Stato del foro. Credo che Nuova Delhi conosca il diritto internazionale e sia cosciente di essere dalla parte del torto ai sensi del diritto internazionale; temo anche, però, che la situazione politica interna e la forte risonanza mediatica della vicenda in India impediscano, perlomeno al momento, al governo centrale di Nuova Delhi di esercitare le dovute e forti pressioni sulle Autorità dello Stato del Kerala affinchè liberino e riconsegnino i due marò all’Italia.

Alcuni media, a proposito dell’immunità dei due soldati italiani, hanno riferito del mancato riconoscimento dell’India del Vessel Protection Detachement. Ci potrebbe spiegare in che cosa consiste l’accordo sul VDP?

In risposta al dilagante fenomeno della pirateria (in particolare, proprio nell’Oceano Indiano), gli Stati, sia unilateralmente che multilateralmente, forniscono scorte armate (composte di militari, come nel caso dei marò, o di private contractors) a protezione delle navi mercantili. Si tratta evidentemente di attività dello Stato esercitate iure imperii (e non iure privatorum) in risposta ad un fenomeno (quello della pirateria) considerato anche dal Consiglio di Sicurezza come minaccioso per la pace e la sicurezza internazionale. Dinanzi ad un simile contesto politico-giuridico internazionale, il riconoscimento o meno da parte dell’India degli accordi multilaterali VDP (che servono, tra le altre cose, ad organizzare, a livello multilaterale, le scorte armate sulle navi mercantili) non ha alcuna rilevanza giuridica. Conta e prevale il regime giuridico internazionale di immunità che si applica senza alcun dubbio all’attività di contrasto della pirateria.Come giudica l’operato delle autorità italiane? Vi sono stati errori da parte dell’equipaggio della “Enrica Lexie”?

La ricostruzione della vicenda è ancora non del tutto certa. Secondo le dichiarazioni rese in Senato dal nostro Ministro degli Affari Esteri il 13 marzo, la nave italiane sarebbe stata indotta dalle Autorità indiane ad entrare nelle acque territoriali con un “sotterfugio” (così il Ministro nella sua informativa). In pratica, le Autorità indiane (la polizia locale ed il centro di coordinamento della sicurezza in mare di Bombay) avrebbero comunicato alla nave di avere catturato dei sospetti pirati e avrebbero quindi chiesto alla nave di attraccare nel porto di Kochi per poter poi procedere al riconoscimento, da parte dei marò, dei sospetti. A quel punto, sia l’armatore che le Autorità italiane, per corrispondere giustamente all'esigenza di cooperazione internazionale anti pirateria, avrebbero autorizzato la deviazione dalla rotta prestabilita e, così, l’ingresso nelle acque territoriali indiane. Una volta a terra, però, le Autorità indiane procedevano a fermare i due marò italiani. Trattandosi di un inganno, credo che le responsabilità delle Autorità italiane (nel caso il Comando operativo interforze del Ministero della Difesa in Italia) e dell’armatore della nave siano minime, se non addirittura inesistenti.

A livello giuridico quale ruolo può assumere l’Unione Europea, visto che l’Italia ha recentemente chiesto il suo intervento?

L’Unione Europea può e deve esercitare le dovute pressioni politiche e diplomatiche per indurre l’India al pieno rispetto del diritto internazionale. In prospettiva, si potrebbe anche ragionare, nel caso la situazione non si sbloccasse e, addirittura, si arrivasse ad un processo nei confronti dei due marò, sull'adozione di contromisure (le c.d. “sanzioni”) di natura politica, diplomatica e commerciale.

Perché allora la U:E: non è intervenuta a favore dell'Italia.

Probabilmente l'Italia non è stata molto incisiva E’ necessario che India e Italia risolvano la questione a livello diplomatico per evitare delle possibili ripercussioni nei rapporti bilaterali, tradizionalmente molto buoni. In una fase storica in cui vi è l’emergere dell’India come potenza economica e soprattutto il consolidarsi dell’organismo rappresentato dal BRICS, sarebbe controproducente per gli interessi italiani già attivi nel Subcontinente rendere negativo il rapporto con Nuova Delhi. L’India non è più il paese di un secolo fa, è necessario prestare attenzione alle dinamiche interne per evitare conclusioni affrettate, così come non è opportuno utilizzare una politica troppo aggressiva verso la terza economia asiatica. Da un punto di vista economico l’Italia si trova in una situazione in cui non può fare a meno di aprire nuove opportunità con la controparte rappresentata dall’India.

E’ plausibile il ricorso a una sorta di arbitrato internazionale? In che modo si potrebbe risolvere la vicenda e in quanto tempo?

Certamente è plausibile e, anzi, consigliabile. L’Italia dovrà, il prima possibile, sollevare la questione dinanzi ad un tribunale internazionale perché vengano accertati i fatti e, di conseguenza, le rispettive posizioni e responsabilità giuridiche di diritto internazionale. Nel frattempo, però, la questione deve essere risolta sul piano politico-diplomatico ottenendo (mediante le opportune pressioni e contromisure ed il prima possibile) il rilascio dei due marò. Poi sarà il momento dei tribunali.

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