giovedì 19 settembre 2013

Prosopopea e Storielle

NON UNA PAROLA SU MAX E SALVO

Intervento del:   18 settembre 2013

AUDIZIONE DEL CAPO DI STATO MAGGIORE DELLA DIFESA PRESSO LE COMMISSIONI 3ª (AFFARI ESTERI, EMIGRAZIONE), 4ª (DIFESA) E 14ª (POLITICHE DELL'UNIONE EUROPEA) DEL SENATO

Indagine conoscitiva sulle linee programmatiche e di indirizzo italiane in relazione al prossimo Consiglio Europeo sulla Difesa che avrà luogo nel mese di dicembre 2013


Signori Presidenti, Senatore Casini, Senatore Latorre e Senatore Chiti, Onorevoli Senatori della terza, quarta e quattordicesima Commissione del Senato,
ringrazio per questa convocazione su un tema di grande attualità, che ritengo rivesta particolare importanza, non solo e non tanto per le Forze Armate, ma per il futuro della nostra Nazione e della stessa Europa.
Pur prendendo le mosse da diverse prospettive le numerose audizioni intervenute sullo specifico tema, da parte di eminenti personalità delle Istituzioni – nazionali e comunitarie – del mondo accademico e dell’Industria, hanno posto in evidenza un comune obiettivo: un’Europa più forte, più solidale e più coesa, anche nel settore della Difesa.
Questo obiettivo non è stato indicato come una delle possibili opzioni, bensì come un’esigenza prioritaria alla luce dell’attuale congiuntura economica e dell’evoluzione dello scenario geo-strategico.
Proprio da questo ultimo aspetto vorrei partire per illustrare le linee programmatiche nazionali in relazione al Consiglio di dicembre.
Cercherò inoltre di essere sintetico, sia per non ripetere quanto è stato già illustrato, sia per riservare più spazio ad eventuali quesiti ed approfondimenti da parte Loro.
L’Alleanza Atlantica ha garantito all’Europa oltre mezzo secolo di sicurezza e stabilità soprattutto, occorre riconoscerlo, grazie alla deterrenza esercitata dal potere militare USA, ma anche grazie alla compattezza dell’Alleanza ed ai suoi efficaci meccanismi decisionali.
Il legame transatlantico è dunque fondamentale, ma la NATO poggia su due pilastri, quello nordamericano (Stati Uniti e Canada) e quello Europeo che, dopo la caduta del “muro”, ha registrato un rapido allargamento verso est (fino a 28 Nazioni), politicamente vincente, ma in un certo senso penalizzante per il processo decisionale, senza contare la Turchia che, nel cosiddetto “pilastro europeo”, rappresenta una discontinuità non irrilevante.
Un legame dunque che poggia su due pilastri di diversa consistenza politico-militare: uno solido, compatto, relativamente snello e dotato di piena autonomia operativa – quello Americano – ed uno più pesante, ma più fragile e frammentato – quello costituito dai Paesi Europei – che in più dispone di capacità militari pregiate molto limitate a fronte di un ridondante complesso logistico e di forze tradizionali, quindi con un’autonomia operativa molto più limitata dalla carenza dei cosiddetti “assetti abilitanti”: quelle capacità pregiate che rendono possibile l’impiego efficace dello strumento militare in ogni condizione.
Gli stessi Americani vengono oggi a chiedere all’Europa, o meglio agli alleati europei, un contributo maggiore e più qualificato al comune sforzo di stabilizzazione internazionale della NATO. Dunque “More Europe for a better NATO”, perché un’Europa più forte è un “valore
aggiunto” anche per l’Alleanza Atlantica.
Lo scenario geo-strategico sul quale ci affacciamo, per quello che possiamo prevedere, è inoltre sensibilmente diverso da quello che si era delineato dopo la caduta del muro e dopo l’11 settembre 2001, ovvero quello caratterizzato dalla cosiddetta “guerra asimmetrica”.
La crisi libica, il risveglio arabo, soprattutto la crisi siriana e quella egiziana mostrano questa evoluzione verso forme di confronto tra grandi potenze e tra potenze emergenti (mi riferisco in particolare all'area dell’Oceano Indiano e del Pacifico - strategica anche per l’Italia e l’Europa - vista la comune dipendenza dall'importazione di materie prime e dall'esportazione di prodotti di trasformazione).
Un confronto non più basato su dinamiche asimmetriche che richiama piuttosto all'attualità, in forme certamente diverse dal passato, il cosiddetto “Grande Gioco” politico-militare-diplomatico dell’era precedente al confronto bipolare e riporta alla ribalta un ruolo dello strumento militare spesso trascurato in questi ultimi anni, ovvero la deterrenza.
In sintesi è giunto il momento di cominciare a pensare a come “prevenire” piuttosto che “gestire” le ricadute delle crisi internazionali.
La deterrenza politico-militare non funziona nella guerra al terrorismo o asimmetrica perché le tattiche e le strategie in uso non sono tra loro comparabili, ma mi domando se la luce che oggi intravediamo alla fine del tunnel siriano si sarebbe potuta ottenere soltanto con lo strumento della diplomazia, ovvero se la deterrenza esercitata da alcune potenze non abbia invece portato a più miti consigli tutte le forze in gioco.
E la deterrenza per essere credibile deve poggiare su tre fattori, due di ordine militare ed uno politico: CAPABILITY (ovvero le capacità militari utili a conseguire l’obiettivo) e CAPACITY(ovvero la quantità disponibile ed usabile di tali capacità) – le ho dette in inglese perché in italiano queste due caratteristiche sono genericamente comprese nel termine CAPACITÀ.
Il terzo fattore, quello politico, è però quello fondamentale e condizionante i primi due, perché indicativo della determinazione e della volontà di usare lo strumento militare per il raggiungimento di determinati obiettivi.
L’indirizzo politico nell'impiego dello strumento militare è dunque un prerequisito che caratterizza oggi la difficoltà di realizzare una comune difesa europea.
Mi auguro di sbagliare, ma oggi si guarda con eccessiva fiducia alla prospettiva che il Paese, grazie appunto alla “difesa europea”, possa destinare minori risorse finanziarie per l’operatività delle Forze Armate (risorse di esercizio e funzionamento) e per il loro ammodernamento inteso ad assicurarne l’interoperabilità con gli alleati (risorse di investimento).
Una comune difesa europea potrà infatti ottimizzare la spesa, ma il nostro contributo dovrà necessariamente essere all'altezza del ruolo che l’Italia intende giocare nel contesto europeo anche in relazione alle nostre capacità tecnologiche e operative.
Una seconda riflessione, eminentemente politica, riguarda il respiro strategico dell’Europa.
Se si immagina un respiro politico-strategico di livello globale si deve presupporre uno strumento militare in grado di operare in tutti quegli scenari dove l’Europa politica ed economica già opera, superando quindi la dimensione regionale del “vecchio continente”.
Un onere questo che può essere ripartito tra le Nazioni, ma che implica due tipologie di “costi”: un costo “finanziario” (indubbiamente rilevante, soprattutto per i 5-6 paesi maggiormente industrializzati) ed un costo “politico” legato alla perdita di parte della sovranità nazionale, nel momento in cui le capacità operative vengono condivise a livello comunitario.
Certamente, nel medio-lungo periodo, sussistono margini di miglioramento nell'impiego delle risorse finanziarie (ed aggiungerei anche umane), legati però non tanto alle capacità ed alla qualità dell’ipotetico strumento militare europeo, quanto alla riduzione delle ridondanze di alcuni assetti e soprattutto all'integrazione delle attuali sovrastrutture tecnico-logistiche e burocratico-amministrative comunitarie.
Ma è soprattutto sulle capacità militari europee “esprimibili” che bisogna incentrare la discussione.
Proprio in questa ottica il nostro Ministro della Difesa, nel corso della audizione dello scorso 31 luglio, ha evidenziato la necessità di un “Libro Bianco” della Difesa europea, un “riferimento” comune che indirizzi anche le scelte nazionali.
Un quadro di riferimento che possa orientare non solo le scelte in ambito comunitario ma anche quelle nazionali, al fine di non erodere alcune rilevanti capacità del nostro strumento militare che sono disponibili in Europa in misura assai limitata.
L’Europa infatti non dispone delle capacità che le assicurano una più ampia autonomia di azione ed una pari dignità strategica rispetto all'alleato trans-atlantico.
Ma per invertire questa tendenza è necessario superare le logiche esclusivamente nazionali per indirizzare in modo più coordinato ed in termini di complementarietà le risorse e le conseguenti capacità.
Questo è lo scenario di riferimento del prossimo Consiglio Europeo sulla Difesa.
Il Consiglio di Dicembre è dunque un’opportunità unica per un concreto rafforzamento della Politica di Sicurezza e Difesa Comunitaria (PSDC), un argomento sul quale molto si è dibattuto ma poco si è realizzato, soprattutto in relazione al rapido ed imprevedibile evolvere dello scenario strategico di quest’ultimo lustro.
Per la verità qualche piccolo passo in avanti è stato compiuto, tanto sul piano normativo, attraverso la costituzione del EEAS (Servizio Europeo di Azione Esterna), che su quello operativo, con l’avvio di numerose operazioni civili o militari e con risultati nel complesso soddisfacenti, ma con ampi margini di miglioramento, sia in termini di flessibilità e reattività del meccanismo decisionale, sia di maggiore sinergia nell’impiego coordinato - se non integrato - delle capacità militari e di quelle civili.
Un approccio interdisciplinare (“comprensive” secondo la dottrina NATO) che proprio l’Unione Europea, per sensibilità politica e retaggio storico-culturale può - meglio di ogni altro - mettere al servizio della Comunità Internazionale.
È sintomatico infatti che mentre le operazioni a guida NATO o di coalizioni ad hoc (le cosiddette “Coalition of the Willing”), vengono avviate sin dalle fasi iniziali della crisi, le operazioni a guida UE si sono limitate a svolgere un ruolo di gestione “post crisi”, con un atteggiamento defilato sullo scenario internazionale.
Occorre cioè “più Europa”, intendendo che dobbiamo chiedere che le istituzioni europee si muovano “verso politiche realmente comuni o quantomeno coordinate”, (come affermato dal Ministro MAURO) quindi cooperare con maggior determinazione per un disegno comune.
Ben consapevole dell’impervietà di questo percorso, con grande concretezza e senso di responsabilità, l’Italia ha proposto numerose iniziative, mirate a ciò che si ritiene tecnicamente fattibile e concretizzabile nel breve/medio periodo e per una crescita delle capacità di difesa europee in assonanza con i requisiti dell’Alleanza Atlantica.
La collaborazione fra Ministero Affari Esteri e Ministero della Difesa ha dato quindi il via a un proficuo processo di condivisione di idee e di iniziative, intese a fornire ai Partners europei proposte concrete per lo svolgimento del Consiglio di dicembre.
La prima tappa di questa collaborazione ha visto l’elaborazione del documento programmatico “More Europe. Spending and arranging better to shoulder increased responsabilities for International peace and security”, che ha riscosso una generalizzata condivisione anche da Paesi, come il Regno Unito, notoriamente poco inclini a cambiamenti dello status quo.
Il documento evidenzia alcuni requisiti fondamentali, sintetizzabili nelle «cinque C»: impegno politico (commitment) per un ruolo internazionale coerente con la dimensione socio-economica, inclusione di strumenti civili e militari nelle strategie di intervento (comprehensiveness) quale vantaggio comparativo del “sistema Europa”, capacità militari coerenti agli scenari di prevedibile impiego, connettività, per non duplicare quanto già esiste in ambito NATO e cooperazione, per acquisire nuovi partners, concordi nel perseguire un modello “condiviso” di sicurezza internazionale.
In relazione poi al successo riscosso del seminario internazionale “More Europe on Defense”, organizzato a Roma il 14 e 15 marzo 2013, è stato elaborato, sempre in forma congiunta Esteri-Difesa, il documento “Possible deliverables for the European Council on Defence”, che ripercorre le tematiche di “More Europe” affrontandole in maniera più concreta ed “operativa”.
Le azioni proposte afferiscono alle tre aree delineate nelle conclusioni del Consiglio Europeo del 2012 e propedeutiche al Summit di dicembre (“Aumento dell'efficacia, visibilità e impatto della PSDC”; “Potenziamento e sviluppo delle capacità civili e militari” e ”Rafforzamento dell'industria europea della Difesa”).
Il documento prevede, in particolare, una revisione collettiva delle Priorità di Sicurezza Europea, ricercando il giusto equilibrio tra i legittimi interessi strategici nazionali, alla luce dei rischi, delle minacce e delle vulnerabilità di ciascuna nazione.
Tale processo dovrebbe portare alla realizzazione del già citato “Libro bianco per la Difesa Europea”, quale riferimento di base e indirizzo strategico-operativo per lo sviluppo delle capacità comuni e per una “convergenza” verso criteri di complementarietà.
Sul piano operativo oltre a proposte per rafforzare il livello di integrazione tra componenti militari e civili delle strutture deputate alla gestione delle crisi è anche ipotizzata la revisione del concetto dell’European Battle Group, finalizzato ad un suo più efficace e flessibile dispiegamento.
Vi è poi un approccio integrato per la formazione e l’addestramento nell'ambito della Sicurezza e Difesa Europea, ipotizzando una maggiore cooperazione tra le diverse istituzioni degli Stati membri che si occupano di formazione militare, attraverso una rete di collegamenti (European Security and Defence College – una sorta di “Erasmus” militare).
Un’enfasi particolare viene data all’evoluzione delle capacità militari europee attraverso il Capability Development Plan (CDP), uno strumento che va armonizzato con il NATO Defence Planning Process, ma che ha il pregio di individuare i settori capacitivi da sviluppare per colmare i gap comuni, ottimizzando le risorse disponibili e massimizzando la cooperazione fra gli Stati membri.
Ciò in diretta connessione con le iniziative Pooling & Sharing (UE) e Smart Defence (NATO), per stimolare ulteriormente la cooperazione tra i Paesi EU e la NATO (in un contesto caratterizzato dalla ridotta disponibilità di risorse finanziarie) ed in ossequio al sano principio di un unico pacchetto di forze disponibile per impegni internazionali (single set of Forces).
Infine, uno sguardo al comparto industriale della difesa.
Una base industriale europea più coesa e meno virulenta nella competizione interna è un obiettivo importante anche per il rilancio della nostra economia.
È evidente che la competizione focalizzata sul “prodotto”, ovvero sui mezzi militari che vengono immessi sul mercato internazionale, senza coordinamento (nonostante gli sforzi dell’Agenzia Europea della Difesa - l’EDA), non aiuta questo processo.
In questo quadro un concreto passo in avanti è sotteso del progetto italiano denominato “matrice delle tecnologie abilitanti”, una sorta di coordinamento a livello nazionale ed europeo (EDA) per lo sviluppo coordinato di tecnologie specifiche piuttosto che di prodotti finiti.
Ciò apre il campo a maggiori prospettive ed opportunità di finanziamento a livello europeo soprattutto per quei progetti polivalenti che trovano applicazione sia in ambito civile che militare.
Infatti la “dualità” di impiego civile-militare interessa non solo i sistemi complessi (ad esempio le capacità satellitari), ma anche singole componenti tecnologiche di sistemi e mezzi terrestri, navali, aeronautici, spaziali o delle comunicazioni che, prese singolarmente, non possono certamente classificarsi come “militari”.
Su tutte queste basi è anche stato concordato un documento presentato congiuntamente dai Ministri della Difesa di Italia, Spagna e Portogallo nello scorso mese di agosto, in preparazione all'incontro ministeriale informale svoltosi a Vilnius (in Lituania), il 5 e 6 settembre.
A Vilnius, l’Italia ha in particolare ribadito l’importanza di una chiara e condivisa Strategia Marittima di Sicurezza Europea. Una priorità per l’Italia e per l’Europa, alla luce dei recenti eventi che hanno interessato la sponda sud del Mar Mediterraneo (in Tunisia, Egitto, Libia e Siria), che hanno provocato e continuano a provocare/favorire movimenti migratori ed altri traffici illeciti (droga/armi), con il rischio di pregiudicare la stabilità economico-sociale dell’intera area e con potenziali minacce alla sicurezza delle rotte commerciali.
Al riguardo la Difesa ha già elaborato un contributo di pensiero che, a seguito della necessaria condivisione in ambito interministeriale vista la multidisciplinarità della materia, verrà presto presentato a livello europeo.
Ulteriori iniziative più dettagliate si stanno sviluppando su questi temi.
Molte delle proposte sopra elencate hanno già sortito un primo effetto positivo e destato interesse nei nostri interlocutori europei tant'è che nei numerosi documenti informali circolati nell'ultimo periodo emergono (anche in maniera esplicita), le stesse tematiche, sostenute dalle nostre considerazioni.
Anche l’importante rapporto in vista del Consiglio Europeo sulla Difesa, pubblicato a fine luglio dall'Alto Rappresentante dell’Unione per gli Affari Esteri e la Politica di Sicurezza, Lady Ashton, rispecchia in buona sostanza il pensiero e gli intendimenti italiani.
Naturalmente tanto attivismo intellettuale non è fine a se stesso e non costituisce un punto di arrivo.
Di certo non possiamo ritenerci appagati per aver fornito idee e proposte che, seppur valide, a nulla servono se non vengono effettivamente supportate dagli altri Stati membri e sostenute da azioni concrete.
Per questo è stato definito un percorso che ci accompagnerà fino all'importante appuntamento di dicembre per proseguire con le iniziative del semestre di presidenza italiana dell’UE.
Avviandomi alla conclusione consentitemi una notazione personale.
Poche settimane fa ricorrevano i 50 anni dal discorso di Martin Luther KING dinanzi al Lincoln Memorial di Washinghton: la celebre frase “I have a dream”.
Mi auguro che anche il “sogno europeo”, quel grande progetto politico avviato negli anni 50 da statisti illuminati quali Adenauer, De Gasperi e Schuman, quali Giorgio La Pira e Altiero Spinelli, possa un giorno realizzarsi pienamente, con la nascita degli “Stati Uniti
d’Europa”.
Un giorno che auspico non lontano perché la storia ci incalza sempre più pressantemente.
Non un percorso facile (e al momento forse utopistico), perché la rinuncia ad una parte della sovranità nazionale in un settore fondante della stessa identità nazionale e statuale, quale la Difesa, richiede coraggio, fiducia e lungimiranza.
Ma furono proprio queste le qualità umane che guidarono le scelte dei “padri” ispiratori e fondatori di quella che oggi è l’Unione Europea. Quelle stesse doti dovranno guidare anche le scelte dei futuri Parlamenti europei. Perché, come ha sottolineato il Ministro Mauro: “…un’Europa che non sia un attore della difesa, che non sia un attore della pace e della guerra è marginale e destinata all'insuccesso”. Il Premio Nobel per la pace assegnato all'Unione lo scorso anno non è solo un riconoscimento “formale”, ma rappresenta anche una precisa responsabilità ed uno stimolo ad andare oltre, a superare il concetto di sicurezza legato alla “assenza di conflitti”, verso nuove forme di condivisione delle responsabilità. Una difesa “europea” veramente integrata passa è vero attraverso la complementarietà e l’integrazione degli strumenti militari disponibili, ma non può prescindere dalla condivisione delle politiche di difesa nazionali. Condividere la sovranità tra le Nazioni significa, in prospettiva, più sovranità in un mondo globalizzato, perché una difesa europea davvero integrata vale molto di più della sommatoria delle difese di 28 paesi!
Con ciò concludo il mio intervento, ringrazio per l’attenzione e rimango a disposizione per ulteriori approfondimenti.

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