Appena è ritornata la shalabayeva ,la Bonino ha fatto
suonare la grancassa ,dopo Gad Lerner e Porro e Stefano Folli ora tocca a
Repubblica e tocca ad Adriano Sofri.Il peggior Ministro degli esteri italiano
si trova ad essere indicata come l’autrice di un metodo,un metodo di lavoro
prezioso che porta a risultati sicuri,silenzio e riservatezza,servono a
nascondere inadempienza e incapacità e le solite parole vuote,anche Sofri le fa
da cassa di risonanza,sembrano tutti al servizio di radio radicale o della Pannella
e Bonino spa.
Non le chiede Sofri perché non ha chiesto l’arbitrato
internazionale,non le chiede Sofri ma che schifo è successo nella sua pagina
dove mezza Italia è stata Bannata e prima di esserlo è stata insultata dai suoi
hooligans.
Si alternano i giornali un giorno parla uno e un giorno
parla l’altro,bravi venduti degni del miglior linguetta.
Ma veniamo all’ennesimo spot a pagamento fatto alla signora
ministro Emma Bonino
Il Metodo Bonino
Roma 27 Dicembre 2013
La Repubblica
Adriano Sofri
La conversazione da fine anno con Emma Bonino avviene alla
vigilia del ritorno di Alma Shalabayeva e della piccola Alua. Si chiude una
traversia che non avrebbe mai dovuto aprirsi.
Una traversia lunga sette mesi di polemiche chiassose e
silenziose trattative certosine. La Farnesina era stata scavalcata al momento
della deportazione da parte di un Ministero degli Interni compiacente.
L'ambasciatore in Kazakhstan, Alberto Pieri, e i suoi collaboratori, hanno
fatto la spola fra la capitale e Almaty, sollecitando una pratica giudiziaria
complicata di intenzioni improprie. Conclusa provvisoriamente la quale, il
governo kazako ha autorizzato l'espatrio. Si dice che le autorità avessero
richiesto una cauzione di un milione di dollari, che sarebbe parsa un'estorsione,
poi ridotta alla metà, e che alla fine abbiano preso in garanzia la casa di
famiglia ad Almaty. L'intera questione si è appesantita strada facendo di
implicazioni improprie e indelicate: lo scambio supposto fra la signora
trattenuta in Kazakhstan e la richiesta di estradare il marito, Mukhtar
Ablyazov, tuttora detenuto in Francia; le illazioni sui rapporti coniugali o
sulle linee seguite dalla difesa di Ablyazov, forse persuasa che lo scandalo
per il trattamento da ostaggi di madre e figlia giovasse al rifiuto
dell'estradizione. Groviglio inutile da sbrogliare, dal momento che il
proposito strenuo dell'Italia, dopo la vergognosa deportazione, era di
riportare le cose al punto da cui erano deragliate: la libertà di madre e
figlia di muoversi in Europa, e scegliere dove abitare. È quello che è
finalmente successo quando l'ambasciata italiana ad Astana ha consegnato i
nuovi passaporti con il visto Schengen. A questo punto, dove e quando andare è
solo affar loro. All'Italia la consolazione di aver rattoppato uno strappo
umano e civile di cui portava intera e dichiarata la colpa. Intanto, un accordo
col Kazakhstan sullo scambio penale fa sperare per un altro caso drammatico, la
detenzione del funzionario dell'Agip Flavio Sidagni, 58 anni, condannato dal
2010 a sei anni di carcere duro per il possesso di 120 grammi di hashish.
Drammi umani che si tramutano in controversie politiche, e
vengono spesso cavalcate a uso interno. Il più grave è quello dei marò Latorre
e Girone in India, ereditato da una gestione disastrosa, e sottoposto a
un'altalena di notizie strumentali, fatte per mettere a repentaglio la
resistenza loro e dei loro cari. Un diplomatico sperimentato come Staffan de
Mistura vi si dedica pressoché esclusivamente, coi suoi collaboratori. E le
adozioni congolesi, che sembrano avviate a soluzione. Il giovane D'Alessandro
di Greenpeace, liberato a Mosca. E i tifosi laziali a Varsavia. Ogni volta,
qualcuno chiede che il ministro parta e vada a farsi consegnare personalmente i
nostri connazionali: «Se servisse davvero, non ci sarebbe problema: non c'è
niente che mi piaccia più che partire per qualunque posto della terra e andare
a soccorrere chi è nei guai. Il fatto è che se facessi così i guai
rischierebbero di aggravarsi. Stamattina mi chiamano e mi dicono: Sono morti
due italiani in Nepal, e lei che cosa fa? Che cosa faccio: sono qui, coi miei
collaboratori, come ogni giorno che Dio manda, feste comprese». E qui, a Santo
Stefano, come farebbe il punto di fine anno sulla politica estera italiana?
«Da dove cominciamo? In Turchia ogni ora porta cambiamenti,
e può darsi che il calendario che va dalle elezioni amministrative alle
politiche si inverta. Tutto è in un movimento convulso. Da mesi ormai allo
scontro fra sciiti e sunniti si è sovrapposto quello interno ai sanniti: Qatar
e Turchia versus Arabia Saudita, Kuwait e Emirati. C'è una lotta di successione
nella dinastia saudita. La religione è causa e pretesto di uno scontro
violento. E poi ci sono gli interessi geopolitici delle grandi potenze. L'Ue,
si sa, non ha una politica estera, salve rarissime evenienze. Francia e Regno
Unito si accontentano del Consiglio di Sicurezza, e lasciano a Bruxelles la
mera ratifica. Gli interventi francesi in Africa, benemeriti per definizione,
sono propaggini della storia. Ho sentito dire a Bruxelles: "Ci crederò la
prima volta che interverranno in un paese anglofono". E' comprensibile:
noi conosciamo meglio di altri la Libia, anche per i nostri errori. Se dovessi
riassumere, direi che l'Italia, nei suoi limiti, si muove lungo tre linee,
ovvie a dirsi: rianimare il multilateralismo dell'Onu e del Consiglio -sono
quel che sono, ma non c'è altro; rafforzare l'integrazione europea; e poiché la
crescita passa attraverso i rapporti internazionali, assecondarla con l'azione
di governo. Ci sono regioni cui storia e geografia ci danno una responsabilità
peculiare, come i Balcani: vanno avanti Serbia e Albania, stanno in limbo
Bosnia e Macedonia... Mi rallegro di una sintonia con il presidente del
consiglio, tutt'altro che scontata. Mi chiedi se l'europeismo di Letta non sia
una fuga in avanti, pronunciare parole giuste sapendo che vanno al di là di un
futuro praticabile. Non direi. Le resistenze nazionali si sono indurite, e il
rischio delle elezioni europee è che ne esca una paradossale maggioranza
euroscettica. Eppure... Chi credeva alla moneta unica nel '92? Cinquecento
milioni di persone come potrebbero vivere assieme se non in una mentalità e una
struttura federale? Indicare tenacemente una direzione non è questione da poco,
tanto più quando grandi partner non andrebbero oltre la relazione fra governi.
Obietti: gli F35 oggi, la Difesa comune domani. Ma proprio la Difesa comune è
un tema popolare e non populista: alla gente è chiara l'insensatezza di 28
eserciti e 190 miliardi di spesa, benché le riduzioni imposte dalla crisi siano
universali: e nemmeno le riduzioni mettiamo in comune, tutti tagliano le stesse
cose! Certo, la politica europea non è più una competenza primaria degli
esteri, quando crisi e moneta comune la fanno confiscare dall'Ecofin. Per
questo cerco di mettere a dieta le rappresentanze diplomatiche europee a
vantaggio della presenza altrove, da Ashgabat alla Cina. Il nostro bilancio
degli esteri è dello 0,2 % contro l'1,5 / 2 dei nostri partner maggiori».
«Che l'Unione avanzi o retroceda è essenziale anche per
quello che succede fuori. In Siria, due anni e mezzo fa, siamo stati presi alla
sprovvista, o abbiamo fatto finta. La comunità internazionale ha reagito con
l'inerzia, e, a cose compromesse, col senno di poi. Lo scontro aveva mutato
natura, e il criminale Assad ne è finito rafforzato perché l'opposizione ha
raccolto banditi di ogni risma e provenienza, aggiungendo una guerra fra
famiglie sunnite: a questo punto perfino chiamarla guerra civile mi sembra
improprio. Che cosa si sarebbe ripromessa una punizione militare di Assad il 21
agosto? Chi avrebbe messo un piede, e non solo bombe dall' alto, in una Siria
arrivata a quel punto? Il Papa ne parla oggi come di uno scampato pericolo, al
quale si adoperò con la potenza della preghiera. Ma la difesa degli inermi non
è venuta. Se il rafforzamento internazionale di Assad dipende dai suoi cinici
protettori, quello interno dipende dalla catastrofe dell'opposizione e dalle
scorrerie terroristiche. Il 22 gennaio, a Ginevra2 saremo una trentina di paesi
(Ginevra 1 avvenne senza noi e i tedeschi). Brahimi dovrà farci arrivare
un'opposizione siriana appena rappresentativa, ma per ora i vari gruppi
attraversano una ostilità e diffidenza parossistiche».
«Mi è sembrato che l'elezione di Rouhani in Iran
permettessero, e anzi costringessero, a provare un'altra strada. Provare, dico,
perché le riserve di chi le avanza, il governo di Israele o il Congresso
americano o altri, non sono affatto un'esclusiva: chi non avrebbe riserve?
Tagliare corto è facile, lo si fece con Khatami, e vennero gli 8 incredibili
anni di Ahmadinejad. C'è un Iran che ha voglia di nuovo e di democrazia, e c'è
un Iran che, con un 35-40 % di inflazione, ha bisogno di tornare anche
economicamente al gioco internazionale. Che cosa resta se non metterlo e
mettersi alla prova? Mi chiedi qual è la sensazione più forte che riporto da
Teheran: quella dell'incombenza di un'ala estremista che ha dovuto rassegnarsi
alla svolta elettorale, ma lascia pochissimo spazio e tempo al tentativo di
apertura. Suoi esponenti di rilievo sono passati trasformisticamente nel nuovo
governo. Non faccio previsioni, tanto meno sulla successione alla Guida
Suprema, Khamenei. Ma non è alle previsioni che dobbiamo affidarci, bensì alle
possibilità, per assecondare le migliori. Mi meraviglio di sentirmi addebitare
un'idilliaca disposizione irenica, così lontana da me. E di ogni mossa che il
governo italiano e io facciamo, sono informati in piena lealtà i nostri
alleati, prima e dopo, come dovrebbe sempre avvenire. Noi teniamo in gran conto
le loro preoccupazioni, loro tengano nel giusto conto i nostri sforzi: la
partita è comune».
«In Egitto, sembra di nuovo che non ci sia alternativa fra
fanatismo teocratico e regime militare. Messi fuorilegge tutti i Fratelli
musulmani, ci si fermerà o si procederà oltre? Il regime dipende per intero
dagli Emirati e dall'Arabia Saudita, che a casa sua i Fratelli musulmani li
sterminò. E' una morsa: se fai le riforme perdi le elezioni, se non le fai so -
pravvivi solo grazie ai foraggiamenti esterni.
Tutto è in movimento. Bisognerebbe guardare all'insieme, al
globo, piuttosto che alle singole mappe. Il gas nel Mediterraneo, per esempio,
fra Cipro, Israele, Turchia, Grecia, può ridimensionare impensabilmente i paesi
produttori.
Mi chiedi della Russia di Lavrov: un provato prefessionista.
Persegue la realpolitik di potenza globale che Putin vuole riavere, prima
ancora che per interesse, per lavare l'onta della disgregazione imperiale.
Medvedev mirava a modernizzare l'economia, senza successo; la Russia produce
poco ed esporta materie prime. Finché il petrolio costa caro, le va bene così.
Preoccupazioni interne, ne ha poche. I diritti umani, in tempo di
globalizzazione, più che nella direzione occidente- oriente, sembrano viaggiare
in direzione opposta, sospinti dal vento dell'est delle autocrazie e della
finanza inesorabile. Qualcuno disse: "Peccato che il petrolio non si trovi
in Svezia". Poi si è trovato in Norvegia. A volte però penso che se in
Svezia e perfino in Svizzera e a Treviso si fosse trovato il petrolio invece
che nelle autocrazie in cui si trova, lo scandalo del mondo diseguale avrebbe
raggiunto e oltrepassato il settimo cielo».
Fonte
http://www.esteri.it/MAE/IT/Sala_Stampa/ArchivioNotizie/Interviste/2013/12/20131227_metbonsofri.htm