CAOS GIURIDICO ISTITUZIONALE
Supreme Court of India, sentenza del 18 gennaio 2013 (la “sentenza della Corte Suprema”), nei casi
riuniti Writ Petition (C) n. 135/2012 (Repubblica italiana e altri v Unione Indiana e altri) e Special Leave
Petition (C) n. 20370/2012 (Massimilano Latorre e altri v Unione Indiana e altri), paragrafo 29.
Antefatto.
I fatti ebbero luogo il 15 febbraio 2012, nelle acque del
mare arabico, a largo della costa dello stato indiano di Kerala. A bordo della petroliera
italiana Enrica Lexie si trovavano Marco Massimiliano Latorre e Salvatore Girone,
fucilieri di marina del 2º Reggimento San Marco. Il loro compito, e degli altri quattro
membri del nucleo imbarcato, era quello di proteggere la dall’attacco di pirati,
un’eventualità non improbabile, vista la recrudescenza della pirateria che si è registrata
negli ultimi 15 anni, in particolare nel tratto di mare compreso tra il Corno d’Africa e la
Malesia1.
La missione dei fucilieri era disciplinata dall’art. 5 della legge 2 agosto 2011 n.
1302. L’intervento del legislatore italiano, iscritto nell’àmbito di un tentativo globale di
contrastare la pirateria intrapreso anche a livello internazionale3 e dall’Unione
Europea, permette la stipula di convenzioni tra operatori privati e la Marina italiana,
al fine di garantire la presenza di personale militare armato (i cc.dd. nuclei militari di
protezione, “NMP”) a bordo delle imbarcazioni.
Questa soluzione, caldeggiata da Confitarma, la confederazione italiana degli
armatori, consente di garantire una protezione sufficiente senza dover ricorrere alla
pratica di affiancare navi della Marina a scorta delle imbarcazioni private. Le regole di
ingaggio sono contenute in una convenzione stipulata tra il Ministero della Difesa e il
singolo armatore, basata su un documento-modello allegato al protocollo concluso tra
lo stesso Ministero e Confitarma. In estrema sintesi, si prevede una divisione netta dei
poteri tra il comandate della nave e il capo del nucleo militare: al primo spettano tutte
le decisioni relative al governo dell’imbarcazione, al secondo tutte le azioni volte a
fronteggiare possibili attacchi portati alla nave. L’imbarco dei NMP è permesso solo in
determinati spazi marittimi in cui il rischio è più elevato, identificati con decreto
ministeriale.
È controversa la ricostruzione dei fatti incriminati, culminati nella sparatoria
che ha causato la morte dei pescatori indiani. In particolare esistono due versioni
discordanti circa le fasi immediatamente precedenti la sparatoria – di cruciale
importanza per l’applicazione delle scriminanti eventualmente applicabili, anche in via
putativa – e le fasi a essa immediatamente successive, relative al rientro della
petroliera. Secondo la ricostruzione dei fucilieri, il 15 febbraio, la nave (presunta pirata)
si avvicinò all’Enrica Lexie oltre i limiti di sicurezza, suscitando nel NMP la convinzione
che si apprestasse a attaccare la petroliera. Dopo l’esperimento di azioni dissuasive
(sparo di colpi di avvertimento in acqua, utilizzo di segnali luminosi) la barca dei
sospetti pirati si allontanò, quando ormai solo 50 metri separavano le due
imbarcazioni. Secondo la versione fornita dai marinai indiani, invece, dalla Petroliera, senza
preavviso, è partita una raffica continua di spari. È appurato che, quando le navi si
trovavano a una distanza di circa 500 metri i fucilieri italiani aprirono il fuoco contro un'imbarcazione
che non sembrava un peschereccio e che non batteva bandiera indiana. La sparatoria avvenne a
circa 22,5 miglia marittime di distanza dalla costa indiana. Dopo qualche ora di
navigazione in direzione di Gibuti, quando la petroliera si trovava già a 39 miglia dal
luogo dell’incidente, il comandante della Enrica Lexie ricevette dalla Guardia costiera
indiana la richiesta di invertire la rotta e tornare al porto di Kochi. La richiesta aveva
fatto seguito alla denuncia sporta presso le autorità locali dall’armatore della Saint
Anthony, tramite cellulare, che dichiarava di aver subito colpi d'arma da fuoco che avevano
causato la morte di due componenti l'equipaggio, era nel frattempo tornata a terra con i
pescatori superstiti.
Divergono le versioni italiana e indiana circa il contenuto della comunicazione e
la dinamica del ritorno. Secondo la ricostruzione italiana, la richiesta indiana era
deliberatamente atta a trarre in inganno il comandante della petroliera. Le autorità
indiane, infatti, avrebbero nascosto le loro reali intenzioni per non allarmarlo e
convincerlo a invertire la rotta, adducendo la necessità di consultare l’equipaggio della
Enrica Lexie per consentire l’identificazione di alcuni pirati che erano stati arrestati su
due battelli. Secondo la versione indiana, invece, la nave fu intercettata da
imbarcazioni dell’autorità indiana e quindi riaccompagnata a terra. È comunque certo
che il comandante della Enrica Lexie acconsentì all’ordine (immediatamente o meno,
tratto in inganno o spinto dalla pressione delle autorità indiane): la petroliera tornò a
Kochi e i due fucilieri furono arrestati dalle autorità dello Stato di Kerala.
I fatti successivi sono scanditi dalle vicende processuali. A tre giorni dal loro
arresto, i due fucilieri hanno presentato istanza davanti alla High Court of Kerala
contestando le accuse di omicidio mosse nei loro confronti ai sensi dell’art. 302 del
codice penale indiano. Il 18 maggio, dopo vari mesi passati in un centro di detenzione,
la polizia locale ha formalizzato i capi d’accusa contestati ai fucilieri e, segnatamente:
omicidio di primo grado (art. 302 del codice penale indiano), tentato omicidio (art.
307), danneggiamento (art. 427); reati secondo l’accusa tutti commessi in modalità
concorsuale, a norma dell’art. 34 del codice penale indiano. Oltre a tali disposizioni
interne, la polizia ha richiamato anche l’articolo 3 del Suppression of Unlawful Act of
International Maritime Navigation, (questo spiega il perché il governo affido le indagini
alla NIA successivamente)qualificando le azioni di Latorre e Girone come atti di
terrorismo internazionale. Dopo 105 giorni di custodia in carcere, il Governo italiano
ha ottenuto il rilascio dei due fucilieri su cauzione a condizione che questi restassero
entro 10 Km dal commissariato di polizia di Kohci, dove dovevano presentarsi per
adempiere agli obblighi di firma ogni mattina fra le 10 e le 11. Il 4 Settembre la Corte
Suprema si è riservata la decisione in ordine alla richiesta di annullamento del processo
in corso in Kerala a seguito dell’invocazione del principio dell’immunità funzionale
per Latorre e Girone.
Il 18 gennaio 2013, dopo il rientro dei marò in India alla scadenza di un
permesso speciale concesso per le festività natalizie, la Corte Suprema di Delhi
(Althamas Kabir Presidente) a rigettato le obiezioni italiane circa il difetto della giurisdizione
indiana, riconoscendo peròl’assenza della giurisdizione dello Stato del Kerala. Con la
medesima sentenzainterlocutoria del 18 gennaio i giudici del collegio hanno anche
ordinato la costituzionedi un Tribunale Speciale al quale verrà trasferito il caso e trasferiva
le indagini alla NIA, su richiesta del Ministero dell'Interno.
Le questioni dirimenti nella controversia originariamente sottoposta alla Corte
Suprema indiana restano attuali anche oggi. In primo luogo, si deve accertare
l’esistenza della giurisdizione delle corti penali dell’India sui fatti del febbraio 2012,
nonché la sua prevalenza su un’eventuale giurisdizione concorrente delle corti italiane.
In subordine (solo cioè se la giurisdizione indiana esiste) si deve valutare l’invocazione
dell’immunità funzionale da parte dei fucilieri di marina. In virtù di tale privilegio, i
fucilieri sarebbero esenti dalla responsabilità per le condotte compiute nell’ambito del
servizio. Nei confronti delle autorità indiane, infatti, dovrebbe rispondere
esclusivamente la Repubblica Italiana.
Questo ordine, intuitivo ma non sempre rispettato nelle analisi della vicenda, è
dettato da un’ovvia metodologia giuridica. Nelle parole del giudice della Corte
Internazionale di Giustizia Guillaume: “ court’s jurisdiction is a question which it
must decide before considering the immunity of those before it. In other words, there
can only be immunity from jurisdiction where there is jurisdiction”.
Quattro sono le cause che hanno concorso a rendere questo caso assurdo e intricato.
1) L'ingenuità e la faciloneria con cui la diplomazia Italiana fece rientrare a Kochi la
nave e il far sbarcare i nostri Fucilieri (responsabilità da accertare) 2) Il periodo elettorale che ha spinto le autorità del Kerala a monopolizzare i fatti per mettere in difficoltà il partito di Governo
3) Le indagini approssimative con perizie unilaterali, falsificazioni di risultanze, omissioni di prove testimoniali, cremazione frettolose dei corpi e mancata custodia dei corpi di reato.
4) Nel non ricusare la legittimità del Tribunale Indiano e richiedere immediatamente l'arbitrato internazionale.
Ora le cose si sono notevolmente complicate, per l'India, la Suprema Corte aveva predisposto l'istituzione del Tribunale Speciale ma con la rinuncia alla SUA Act. tale decisione è da rivedere.
La NIA non è abilitata, per legge, a svolgere indagini per i reati da codice penale; incorrerebbe nella violazione della sua stessa legge.
La Procura Generale non ha in mano elementi sufficienti per sostenere un'accusa credibile.
Vi è il rischio di anticostituzionalità di tutto il procedimento d'indagine.
La Suprema Corte dovrà rivedere la sua stessa sentenza del 18 gennaio 2013 n. 135/2012 (Repubblica italiana e altri v Unione Indiana e altri) e Special Leave Petition (C) n. 20370/2012 (Massimilano Latorre e altri v Unione Indiana e altri), paragrafo 29,
oppure giungere ad altre conclusioni con una nuova sentenza di proscioglimento degli imputati per manifesta incapacità dell'accusa di addurre elementi concreti e accogliere di fatto le istanze del collegio difensivo Italiano.
Comunque andrà, questa vicenda, segnerà profondamente la giustizia Indiana agli occhi del Mondo per incapacità e ineficenza.
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