Se siamo giunti alla situazione in cui i nostri marò rischiano di essere processati come terroristi «la colpa è di Monti e di Passera che, per convenienze economiche, li hanno rispediti in India senza garanzie»: affermazioni chiare e dure quelle di Giulio Terzi di Sant’ Agata, ex ministro degli Esteri che, proprio in seguito a quegli eventi rassegnò le sue dimissioni. «E il governo Letta ha proseguito - aggiunge - in questa politica del tutto sbagliata. La strada da seguire era un’altra». I marò potevano essere trattenuti in Italia, sin dal loro primo viaggio, nel 2012, senza violare i trattati internazionali, in quanto non è permesso dalla nostra Costituzione inviare qualcuno ad un procedimento giudiziario che potrebbe prevedere la pena di morte. Tutto questo è anche in una lettera che Terzi, da ministro, inviò al presidente del Consiglio Monti. Il quale però fece altre scelte.
Giulio Terzi di Sant’ Agata, quale altra strada si sarebbe potuta seguire per portare a casa i nostri marò?
«Quella dell’arbitrato internazionale. Non so perché fu abbandonata la strada dell’arbitrato. Posso dire, però, che le motivazioni che mi vennero vibratamente rappresentate da Monti e Passera per ribaltare la decisione di trattenere i marò in Italia, erano fondate su motivazioni di natura economica, sui danni che avrebbero subito le nostre imprese e sulle reazioni indiane. Non mi sembra comunque che ora la situazione delle nostre imprese sia migliorata. La procedura di arbitrato internazionale era stata annunciata l’11 marzo e avviata e io mi ero ormai dimesso. Poi è stata inspiegabilmente lasciata cadere. Ci si è affidati interamente agli indiani e questa decisione è stata confermata dal governo Letta. Non vedo nessuna discontinuità nella linea adottata dall’attuale esecutivo».
Precedentemente aveva parlato di pressioni economiche, ora fa nomi e cognomi...
«Sì, i nomi lo ho fatti perché continuiamo in una politica che non va e ora è stato annunciato che i nostri marò saranno accusati in base ad una legge antiterrorismo, non è accettabile. Ma tutto questo che è accaduto ha un "come" e un "perché" e ci sono delle responsabilità, politiche e non solo politiche, che dovranno essere definite da una commissione d’inchiesta parlamentare. Una commissione che chiedo dal giorno delle mie dimissioni e che dovrà essere costituita al termine di tutta questa vicenda».
Perché non prima?
«Perché il suo lavoro potrebbe essere strumentalizzato dagli indiani, che sono attenti a quello che accade e si sono dimostrati bravissimi a far filtrare notizie. E ora sono chiare anche le loro intenzioni: la Procura ha chiesto di usare il Sua Act e poi deciderà sui capi d’imputazione. È la prova che la strategia del basso profilo, del "non disturbate il macchinista" ci ha portato a sbattere contro un muro».
Quando i marò erano in Italia, e lei volevano che ci rimanessero, cosa le fu detto?
«Si parlava di motivazioni di carattere economico, mi fu detto che se i marò non fossero rientrati ne avrebbero risentito i rapporti economici, che le aziende italiane ne avrebbero sofferto».
Di questo argomento si parlava in sede di Consiglio dei Ministri?
«Mai. Parlo di telefonate, di discorsi riferiti e di diverse pressioni».
Parlò anche personalmente con l’allora ministro Passera?
«Sì, parlai personalmente con lui».
Ma Lei, cosa chiedeva?
«Che prima che Girone e Latorre rimettessero piede sul suolo indiano avremmo dovuto avere tre garanzie: prima di tutto la garanzia che non sarebbe stata usata la legge antiterrorismo che prevede la pena di morte; in secondo luogo che gli indiani avrebbero accettato l’arbitrato internazionale e poi che avremmo avuto soddisfazione per l’immunità violata al nostro ambasciatore, al quale fu impedito di partire da Delhi. Una cosa gravissima, che non ha avuto alcun seguito. Credevo che con l’arrivo di Emma Bonino, persona di grande esperienza internazionale, la vicenda sarebbe cambiata. E invece no. È stato confermato de Mistura, nulla è cambiato».
Cosa sarebbe potuto accadere con l’arbitrato internazionale?
«Quello che sta accadendo tra l’Olanda e la Russia dopo il caso di Greenpeace, nel mar Baltico. E non mi sembra che tra questi due paesi sia scoppiata la guerra. L’Olanda ha chiesto l’arbitrato internazionale, la Russia ha rifiutato e l’Olanda ha fatto un ricorso e comunque sono stati nominati gli esperti anche per la parte russa. Da un punto di vista giuridico il caso dell’Enrica Lexie è ancora più semplice. Il fatto dei marò è accaduto in acque internazionali, su una nave italiana e i soldati sono italiani. I due marò vanno giudicati in Italia e la contesa internazionale va discussa in base ai trattati sulla navigazione, che l’India ha sottoscritto».
Come vede la situazione attuale? «Ora sono un semplice cittadino e come tale parlo. Credo che quelle pressioni economiche continuino a sussistere. Anche oggi».
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