CASO MARO': "IL DIRITTO INTERNAZIONALE DA RAGIONE
ALL'ITALIA":Intervista al giurista Paolo Bargiacchi
Il caso dei due marò italiani imprigionati
in India con l’accusa d’aver ucciso due pescatori indigeni, sparando da bordo
della petroliera “Enrica Lexie” ch’erano incaricati di proteggere dai pirati,
tiene ormai banco da settimane. Francesco Brunello Zanitti, ricercatore
associato dell’IsAG, dopo aver esaminato i retroscena politici interni all’India,
ritorna sull’argomento per affrontarlo dalla prospettiva del diritto
internazionale. Lo fa intervistando Paolo Bargiacchi, docente di Diritto
internazionale all’Università Kore di Enna (presso cui tiene un ciclo seminariale in
collaborazione con l’IsAG) e membro del Comitato Scientifico di “Geopolitica”.
La vicenda dei due marò italiani accusati
dall’India dell’uccisione di due pescatori indiani ha generato un acceso
scontro diplomatico tra Roma e Nuova Delhi. La decisione del tribunale di
Kollam di trasferire i due soldati italiani al carcere di Thiruvananthapuram ha
reso la soluzione del problema ancora più lontana. Prendendo come punto di
riferimento il diritto internazionale, ci potrebbe spiegare se l’intera
questione è stata trattata in modo corretto? In caso contrario, quale sarebbe
stata la procedura da seguire e quali conseguenze potrebbero esserci ora?
Il comportamento delle Autorità indiane è del tutto contrario al
diritto internazionale, dato che gli organi dello Stato sono immuni dalla
giurisdizione penale dello Stato straniero quando svolgono attività iure
imperii. La giurisdizione sui fatti commessi dai propri organi in territorio
straniero spetta allo Stato di nazionalità come, ad esempio, avvenne nel caso
del Cermis dove correttamente la nostra Corte di Cassazione dichiarò il difetto
di giurisdizione del giudice italiano ed il pilota del velivolo militare fu poi
processato da un tribunale militare statunitense. A ciò si aggiunga che, come
emerge dalla ricostruzione della vicenda, il fatto è anche avvenuto (il 15
febbraio) al di fuori delle acque territoriali indiane. Il difetto di
giurisdizione indiano è quindi ancor più evidente. L’India avrebbe dovuto
affrontare la questione della presunta responsabilità dei marò italiani dal
punto di vista diplomatico (ad esempio, elevando una protesta ufficiale e/o
chiedendo garanzia circa l’apertura da parte italiana di un’inchiesta sui
fatti) e non giudiziario. La principale conseguenza, sul piano del diritto
internazionale, è che l’Italia può far valere la responsabilità dell’India per
fatto internazionalmente illecito di fronte ad un tribunale internazionale.
Perché l’India contesta la giurisdizione italiana
sull’accaduto e per quale motivo Nuova Delhi non riconosce l’immunità di
Latorre e Girone?
Come detto, la posizione indiana è contraria al diritto internazionale.
Dal punto di vista giuridico, l’India esercita giurisdizione in ragione del
presunto verificarsi dei fatti all’interno delle proprie acque territoriali.
Premesso che la circostanza è probabilmente non veritiera, in ogni caso nulla
sarebbe cambiato per il diritto internazionale: il regime di immunità dello
Stato straniero (e dei suoi organi) dalla giurisdizione dello Stato del foro,
infatti, si applica anche per i fatti commessi nel territorio dello Stato del
foro. Credo che Nuova Delhi conosca il diritto internazionale e sia cosciente
di essere dalla parte del torto ai sensi del diritto internazionale; temo
anche, però, che la situazione politica interna e la forte risonanza mediatica
della vicenda in India impediscano, perlomeno al momento, al governo centrale
di Nuova Delhi di esercitare le dovute e forti pressioni sulle Autorità dello
Stato del Kerala affinchè liberino e riconsegnino i due marò all’Italia.
Alcuni media, a proposito dell’immunità dei due soldati
italiani, hanno riferito del mancato riconoscimento dell’India del Vessel
Protection Detachement. Ci potrebbe spiegare in che cosa consiste l’accordo sul
VDP?
In risposta al dilagante fenomeno della pirateria (in particolare,
proprio nell’Oceano Indiano), gli Stati, sia unilateralmente che
multilateralmente, forniscono scorte armate (composte di militari, come nel
caso dei marò, o di private contractors) a protezione delle
navi mercantili. Si tratta evidentemente di attività dello Stato esercitate
iure imperii (e non iure privatorum) in risposta ad un fenomeno (quello della
pirateria) considerato anche dal Consiglio di Sicurezza come minaccioso per la
pace e la sicurezza internazionale. Dinanzi ad un simile contesto
politico-giuridico internazionale, il riconoscimento o meno da parte dell’India
degli accordi multilaterali VDP (che servono, tra le altre cose, ad
organizzare, a livello multilaterale, le scorte armate sulle navi mercantili)
non ha alcuna rilevanza giuridica. Conta e prevale il regime giuridico
internazionale di immunità che si applica senza alcun dubbio all’attività di
contrasto della pirateria.
Come giudica l’operato delle autorità italiane? Vi sono
stati errori da parte dell’equipaggio della “Enrica Lexie”?
La ricostruzione della vicenda è ancora non del tutto certa.
Secondo le dichiarazioni rese in Senato dal nostro Ministro degli Affari Esteri
il 13 marzo, la nave italiane sarebbe stata indotta dalle Autorità indiane ad
entrare nelle acque territoriali con un “sotterfugio” (così il Ministro nella
sua informativa). In pratica, le Autorità indiane (la polizia locale ed il
centro di coordinamento della sicurezza in mare di Bombay) avrebbero comunicato
alla nave di avere catturato dei sospetti pirati e avrebbero quindi chiesto
alla nave di attraccare nel porto di Kochi per poter poi procedere al
riconoscimento, da parte dei marò, dei sospetti. A quel punto, sia l’armatore
che le Autorità italiane, per corrispondere giustamente all’esigenza di
cooperazione internazionale antipirateria, avrebbero autorizzato la deviazione
dalla rotta prestabilita e, così, l’ingresso nelle acque territoriali indiane.
Una volta a terra, però, le Autorità indiane procedevano a fermare i due marò
italiani. Trattandosi di un inganno, credo che le responsabilità delle Autorità
italiane (nel caso il Comando operativo interforze del Ministero della Difesa
in Italia) e dell’armatore della nave siano minime, se non addirittura
inesistenti.
A livello giuridico quale ruolo può assumere l’Unione
Europea, visto che l’Italia ha recentemente chiesto il suo intervento?
L’Unione Europea può e deve esercitare le dovute pressioni
politiche e diplomatiche per indurre l’India al pieno rispetto del diritto
internazionale. In prospettiva, si potrebbe anche ragionare, nel caso la
situazione non si sbloccasse e, addirittura, si arrivasse ad un processo nei
confronti dei due marò, sull’adozione di contromisure (le c.d. “sanzioni”) di
natura politica, diplomatica e commerciale.
E’ plausibile il ricorso a una sorta di arbitrato
internazionale? In che modo si potrebbe risolvere la vicenda e in quanto tempo?
Certamente è plausibile e, anzi, consigliabile. L’Italia dovrà, il
prima possibile, sollevare la questione dinanzi ad un tribunale internazionale
perché vengano accertati i fatti e, di conseguenza, le rispettive posizioni e
responsabilità giuridiche di diritto internazionale. Nel frattempo, però, la
questione deve essere risolta sul piano politico-diplomatico ottenendo
(mediante le opportune pressioni e contromisure ed il prima possibile) il
rilascio dei due marò. Poi sarà il momento dei tribunali.
(Fonte)
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