giovedì 20 febbraio 2014

Marò, l’India nega i documenti ai pm italiani


La Procura di Roma ha raccolto testimonianze sull’innocenza dei fucilieri. Ha chiesto da tempo gli incartamenti, ma Delhi si oppone


Due rogatorie internazionali snobbate dalle autorità indiane e un’inchiesta, quella della Procura di Roma, ferma da mesi. Perché senza gli atti d’indagine indiani sul presunto omicidio dei due pescatori di metà febbraio 2012, non è possibile verificare le dichiarazioni dei due marò italiani Massimiliano Latorre e Salvatore Girone rilasciate al procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo. Interrogatori di marzo scorso, in cui sono stati forniti elementi di innocenza che il magistrato vuole verificare. Ma, stranamente, da New Delhi, nessuna risposta.
Un ennesimo colpo all’Italia da parte dell’India, che ancora sta valutando la decisione sull’imputazione di cui dovranno rispondere i due fucilieri italiani, all’epoca dei fatti di scorta alla nave Enrica Lexie. Attualmente i due militari sono sotto indagine alla Procura di Roma, la quale ha raccolto a marzo scorso un lungo interrogatorio dei due, dai quali emergerebbero numerosi spunti che dimostrerebbero la loro innocenza. Per questo il procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo ha inviato le rogatorie, per conoscere gli atti dell’indagine indiana e valutare le effettive responsabilità di Latorre e Girone. Dall’India, però, le carte di quell’inchiesta non escono. Un ennesimo giallo attorno a questa vicenda, che si assomma ad altri casi svelati in queste settimane.
Come quello venuto alla luce nel corso del processo Finmeccanica di Busto Arsizio lo scorso 9 gennaio. I magistrati hanno sfoderato un documento «bollente», in cui sono elencati i nomi delle personalità indiane cui «mirare» per far aggiudicare ad Agusta Westland una commessa da 30 milioni di euro. Mentre il 10 gennaio, il Governo di New Delhi si è detto pronto a decidere se applicare o meno la pena di morte ai due fucilieri italiani, salvo poi fare marcia indietro. Il documento, datato 15 marzo 2008, recita: «All’attenzione di mister Peter Hulett (responsabile delle vendite in India di Agusta, ndr). Caro Peter, poiché la signora Gandhi è la forza trainante dietro i V.i.p. (gli elicotteri di Agusta, ndr), lei non volerà più con il Mi-8 (vecchio modello, ndr). La signora Gandhi e i suoi più stretti collaboratori sono le persone alle quali l’Alto commissario (ambasciatore della Gran Bretagna, Stato che risulta essere in Agusta, ndr) dovrebbe mirare»: Sonia Gandhi e il suo segretario politico Ahmed Patel, il premier indiano Manmonah Singh, i ministri Veerapa Moily all’Economia e Oscar Ferandes ai Trasporti, il governatore del Bengala M.K. Narayana e il capo delle ferrovie indiane Vinay Singh.
Alla stessa udienza, poi, la lettera è stata messa in relazione ad un altro documento, scritto a penna da Hashke sotto dettatura di un altro indagato, Christian Mitchell, in cui sono riportati importi in milioni di euro da pagare a vari soggetti, come Af (Air force), Bur (burocrati) e Ap. Di quest’ultima sigla ne ha chiesto conto la Procura ad Haschke: «Secondo lei questo Ap per tre milioni a cui fa riferimento Mitchell nell’appunto manoscritto è Ahmed Pater (segretario politico della Gandhi, ndr) della lettera?». «Anche io – ha risposto l’uomo nell’udienza del 9 gennaio – sarei arrivato alle sue stesse conclusioni ma a me Mitchell non lo ha detto e io non lo conosco (Patel, ndr)».
Legato alla stessa commessa, poi c’è un processo al Tribunale civile di Milano, in cui i giudici devono stabilire se il Ministero della Difesa indiano abbia titolo o meno a ricevere 306 milioni di euro di fidejussioni bancarie legate alla stessa fornitura di elicotteri. Un processo in cui l’India si fronteggia contro gli istituti di credito, che invece chiedono che il denaro non sia dato. Secondo quanto emergerebbe dal procedimento, a fine 2013 New Delhi ha chiesto di ricevere le fidejussioni concesse da Deutsche bank e Intesa a garanzia del contratto per l’acquisto degli elicotteri di Agusta Westand.
Un’altra patata bollente, dunque, che ancora una volta fa sorgere il sospetto che dietro la vita dei nostri marò ci siano interessi extra giudiziari, che affondino le radici in coinvolgimenti politici nel processo Finmeccanica di Busto Arsizio e nei milioni di euro dibattuti in sede civile a Milano. Sullo sfondo di tutto questo, c’è la Procura di Roma, che non può accertare i fatti perché l’India non dà gli atti d’indagine.
Ivan Cimmarusti ( Il Tempo )

Fonte : http://alfredodecclesia.blogspot.com/2014/02/maro-lindia-nega-i-documenti-ai-pm_20.html?spref=fb

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