Dopo
oltre 640 giorni, durante i quali l’Italia ha subito un ricatto continuo da
parte indiana e rinunciato ad affermare anche la sua sovranità nazionale
proponendo un arbitrato internazionale a
cui Delhi non poteva sottrarsi, in fondo al tunnel non si accende una luce,
piuttosto si allontana la possibilità
che la vicenda si risolva in maniera dignitosa per i nostri ragazzi.
Un’altra
resa italiana che sicuramente non contribuisce a riscattare la meschina figura
fatta dall’Italia nel contesto internazionale nel momento che si è rinunciato a
pretendere l’applicazione di Diritti universalmente riconosciuti.
Emerge,
infatti, in maniera sempre più evidente
che ormai l’Italia è supinamente pronta ad accettare anche una pena lieve
sancita dall’India nei confronti di Massimiliano e Salvatore perché
giudicati responsabili di eventi colposi, mentre, invece, si delinea un rischio
tante volte paventato in passato, quello che il Giudice monocratico indiano, Presidente
di un Tribunale Speciale, potrebbe essere chiamato a pronunciarsi su prove ben
più gravi da quelle afferenti a fatti colposi.
Infatti,
de Mistura ci dice che "la prassi
della NIA (National Investigation Authority),
è di mirare in alto. Ovvero usare le cosiddette manieri forti nel suo
rapporto", per cui la relazione conclusiva sulle indagini svolte
dall’Agenzia potrebbe concludersi configurando un reato ben più grave
ritornando alle vecchie ipotesi di un omicidio volontario per il quale l’ordinamento
giudiziario indiano prevede la pena di morte.
In
tutto questo contesto coloro che istituzionalmente dovrebbe esprimersi tacciono.
Accettano, invece, che siano pubblicati
su youtube video che ci raccontano la possibilità che i fatti in essere potrebbero
essere colposi, aggrappandosi all’unica zattera di salvataggio rimasta, ma non
escono allo scoperto per ottenere giustizia vera, ossia il rispetto di diritti
internazionali che spettano ai due nostri militari.
Nemmeno
in questa occasione si sente la voce del Capo dello Stato, Capo delle Forze
Armate e Garante della Costituzione. Nessun commento sulla sorte dei due
ragazzi e nessuna parola sul fatto che due militari italiani suoi dipendenti
nella scala gerarchica, siano costretti a subire un giudizio da un organo
giudicante che non né ha diritto, rischiando anche condanne gravi come la pena
di morte.
Un obbligo forse solo morale
quello del Comandante Supremo delle F.A. che diventa però una responsabilità
oggettiva se costui rappresenta anche il Garante della Costituzione e deve
vigilare sulla sua corretta applicazione anche per quanto attiene agli obblighi
da onorare in caso di estradizione.
Vincoli che nella fattispecie non sembrano essere stati rispettati completamente
nel momento che il 21 marzo u.s. una serie di discutibili decisioni hanno portato
a riconsegnare a Delhi i due militari italiani per essere giudicati su un reato
per il quale l’ordinamento giudiziario indiano prevede la pena capitale. Atto
che in prima approssimazione non ha
tenuto conto di quanto previsto dal Codice Penale italiano, dalla
Costituzione e da precise sentenze della Suprema Corte nello specifico.
Forse un segnale forte sarebbe
auspicabile ma si ritiene che mai come in questo caso si sia destinati a subire
il vecchio detto “chi di speranza vive, di speranza muore”.
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