sabato 25 gennaio 2014

I due marò e la strategia processuale dell'Italia giustizia internazionale.

Caro direttore, ho letto in questi giorni sul
suo giornale interessanti articoli di
approfondimento, sotto il profilo del
diritto internazionale, sulla vicenda dei
nostri due marò. Al riguardo, mi permetto di
fare alcune riflessioni. Nel gennaio dell'anno
scorso, la Corte suprema indiana si era
espressa sulla vicenda dei due marò italiani,
rimettendo il caso alla decisione di un
Tribunale speciale. A un anno da quella
pronuncia e alla luce delle persistenti lentezze
della giustizia indiana, la questione dei marò
continua a sollevare un fitto dibattito politico e
giuridico. In particolare, ha fatto discutere la
scelta recentemente operata dall'Italia di
presentare un'altra istanza davanti alla Corte
suprema indiana, volta ad ottenere un
processo rapido ed equo innanzi al Tribunale
speciale.
Nei commenti sugli sviluppi dell'intera
procedura, non sono mancati i rilievi critici
sull'iniziativa e, più in generale, sulla strategia
processuale dell'Italia. Da un lato, si è detto
che l'ultimo ricorso alla Corte suprema
varrebbe come tacito riconoscimento della
competenza dei giudici indiani. Dall'altro si
sostiene che la soluzione dovrebbe passare
attraverso la via dell'arbitrato internazionale
ai sensi della Convenzione Onu sul diritto del
mare de11982, ritenuta unico rimedio in grado
di portare ad un esito positivo della vicenda.
Tali critiche appaiono eccessive, oltre che non
rispondenti alla complessità giuridica del
caso.
Va detto anzitutto che la scelta fatta a suo
tempo dal governo italiano di seguire quanto
disposto dalla Corte suprema indiana nel 2013,
non ha significato per l'Italia l'abbandono
delle proprie ragioni fondate sul diritto
internazionale. Spetta esclusivamente ai
tribunali italiani giudicare i due marò sia sulla
base della Convenzione de11982 che in
attuazione del principio dell'immunità dalla
giurisdizione straniera degli individui organi
dello Stato. L'Italia non ha mai mancato di
ribadire questa posizione davanti ai tribunali
indiani come pure nei fori politici
internazionali.
Anche l'istanza presentata nei giorni scorsi
alla Corte suprema indiana non introduce
alcun elemento di acquiescenza rispetto alla
facoltà italiana di avvalersi in futuro della
Giustizia internazionale.
Al contrario, l'istanza
mira proprio ad ottenere un'accelerazione
delle procedure giudiziarie indiane al cui
esito, se contrario alle nostre aspettative,
l'Italia potrà sempre far ricorso ai rimedi
internazionali.
Quanto poi, in particolare, alla critica
relativa al mancato ricorso all'arbitrato
internazionale previsto dalla Convenzione sul
diritto del mare, esso resta una delle possibili
opzioni nel caso di esito negativo del
procedimento indiano. Il ricorso a tale
arbitrato poteva forse avere un senso qualora i
due marò non fossero in territorio indiano.
Viceversa, farlo adesso, durante il
procedimento penale indiano che si svolge
alla presenza dei due fucilieri di marina,
potrebbe recare notevole pregiudizio alla
situazione processuale dei militari. Occorre
quindi attendere l'esito finale delle procedure
indiane per far poi eventualmente valere
davanti agli arbitri le ragioni dell'Italia,
rafforzate dalla consolidata violazione del
diritto internazionale ad opera della giustizia
indiana.
Va pure ricordato che la durata del
procedimento in India, seppure fin qui
estremamente lunga, resta ancora inferiore ai
prevedibili tempi della giustizia
internazionale, che si contano per esperienza
in qualche anno e non in pochi mesi, senza
considerare che l'arbitrato comporta
procedure complesse ed esige in ogni caso un
forte livello di cooperazione tra gli Stati
coinvolti. Va poi tenuto conto che l'arbitrato ai
sensi della Convenzione de11982 può essere
certamente attivato dall'Italia per le questioni
relative al diritto del mare.
Infine, non bisogna dimenticare che oltre
all'arbitrato secondo la Convenzione sul
diritto del mare, esistono altre istanze
internazionali cui si potrebbe fare ricorso
dopo l'esito del procedimento indiano o
qualora il procedimento non si iniziasse a
causa di incapacità di formulare un capo
d'accusa. Tra queste, in particolare, la Corte
internazionale di giustizia, qualora l'India
accettasse di sottoporre ad essa la
controversia. Davanti alla Corte non soltanto
la questione delle norme sul diritto del mare
ma anche quella dell'immunità funzionale dei
marò potrebbe risultare oggetto del
procedimento.

Umberto Leanza*

* Professore ordinario
di diritto internazionale
già Capo del Contenzioso diplomatico
fonte il Messaggero

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