giovedì 16 gennaio 2014

Marò, i misteri della trappola indiana

Numerose contraddizioni: orario e luogo dell’incidente manipolazione del rapporto dell’autopsia delle vittime




Un caso montato ad arte. E neppure tanto bene. Il caso di Salvatore Girone e Massimiliano Latorre ha assunto tutti i toni di un girone infernale degno della penna di Kafka. Le divisioni e le contrapposizioni tra le divese autorità indiane che si stanno occupando della vicenda sono così evidenti da far dire al ministro degli esteri indiano Salmar Khurshid «mi sento imbarazzato a sapere che dopo due anni non c’è un capo di accusa contro i due soldati italiani», e ha incolpato l’ex sottosegretario all’interno R.K.Shinde di quello che ha definito «il disastro provocato», sulla vicenda.

Due anni di tira e molla tra cambi di competenze tra i diversi tribunali regionali e federali, vacanze di giudici, feste nazionali e inchieste affidate ora alla polizia locale alla Nia, l’agenzia investigativa che si occupa di antiterrorismo. Ma sin dalle prima battute è stata un’inchiesta piena di contraddizioni con perizie che hanno compromesso eventuali verifiche e prove andate distrutte.

Autopsia e perizia balistica . Il 15 febbraio 2012 la Marina Miliatre informa che il nucleo di protezione a bordo dell’Enrica Lexie ha sventato un attacco di pirati nell’Oceano Indiano. La nave ha continuato la navigazione senza conseguene. Il giorno dopo la Guardia costiera indiana fa ritornare nel porto di Kochi la nave italiana. Sono quindi gli investigatori della guardia costiera i primi a raccogliere prove e testimonianze. Il giorno dopo i due pescatori che secondo le autorità indiane sono stati uccisi dai soldati italiani a bordo della Lexie sono sepolti. E questa è la prima incongruenza che impedisce di eseguire un’autospia alla presenza di periti di parte. L’anatopatologo indiano infatti ha redatto un rapporto pieno di contradizioni. Il professor Sisikala, che ha recuperato il proiettile dal corpo di uno dei due pescatori uccisi, nel suo rapporto lo definisce calibro 0,54 pollici, pari a 13 millimetri cioè un calibro inesistente.

«Il proiettile è stato repertato con misure indicate in modo criptico e furbesco» sostiene l’ingener Luigi Di Stefano, perito tecnico che ha lavorato per alcuni tribunali italiani e consulente di società per cause legate a incidenti aerei. «Se Sisikala avesse espresso le misure del proiettile in forma canonica, cioè con calibro e lunghezza in millimetri, avrebbe scritto calibro 7,62 e lunghezza 31 millimetri. Il caso sarebbe già chiuso dal 16 febbraio, giorno successivo al fatto e giorno dell'autopsia. Invece del diametro ha reso nota la «circonferenza» (credo sia la prima volta al mondo) e invece dei millimetri ha usato i centimetri». I dati indicati confermano che si tratta della cartuccia 7,62x54R ex sovietica, sparata dalla mitragliatrice russa PK che nulla ha a che vedere con la cartuccia 5,56x45 di unica dotazione ai nostri marò e utilizzabile sia con i fucili Beretta AR 70/90 sia con le mitragliatrici Minimi in dotazione. Risulta evidente che il calibro non è quello delle armi dei marò ma allo stesso tempo i carabinieri del Ris inviato da Roma per supportare l’inchiesta non vengono neppure ammessi agli uffici dove sono conservate le prove.

La differenza non è sfuggita ai detective della Nia, la polizia antiterrorismo di Nuova Delhi. Quelli estratti dalla testa di Jalastine e dal torace di Pink, i due pescatori morti, erano calibro 7 e 62, ossia molto più grandi dei proiettili calibro 5 e 56 in dotazione ai due fucilieri del Reggimento San Marco. Anche la barca, Saint Antony, è stata distrutta cancellando così qualsiasi prova della traiettoria dei proteittili che hanno colpito il peschereccio. Non solo. Anche il rapporto dell’autospia è stato manipolato. Grazie a un fermo immagine ingrandito dei filmati trasmessi dal Tg 1 e dal Tg 2 si è visto che i due passaggi del documento che indicano il mese dell'accertamento e associano i proiettili repertati ai nomi delle due vittime, Ajish Pink, 25 anni, colpito al torace, e Valentine Jalastine, 45 anni, fulminato con un colpo alla testa, sono stati redatti con una seconda macchina per scrivere dopo aver cancellato il testo originale. Nel passaggio che cita Binki si vedono addirittura due residui dello scritto precedente. L'indicazione del mese e il nome sono sulla destra, mentre il resto del documento è ordinatamente allineato a sinistra. La stessa anomalia si ripete quando viene citato il reperto estratto dal cervello di Jalastine. L'ingrandimento documenta le sbavature di una macchina da scrivere diversa e imprecisa. Perfino il modo di indicare il mese si trasforma. Nell'originale è Cr No.02/12 nella manipolazione è Cr. No: 02/12.

Ora e luogo dell’incidente. Il proprietario e comandante del Saint Antony Freddy Bosco ha dichiarato un orario dell'incidente che non c'entra nulla con quello dell'abbordaggio fallito alla Enrica Lexie. La prova è un filmato di «Venad News», una tv del Kerala, un minuto e 31 secondi di dichiarazioni. Dice Freddy Bosco, datore di lavoro dei due pescatori uccisi: «Erano le 9 e 30 della sera. Ho sentito un grande rumore». Peccato che l'assalto abortito alla petroliera italiana sia avvenuto alle 16 e 30 indiane, come risulta da tutti i documenti, ossia 5 ore prima dell'orario rivelato a caldo da Bosco. La spiegazione possibile è solo una. L'armatore del Saint Antony si riferiva al giorno precedente e il peschereccio colpito veniva da lontano. E che possa trattarsi di due episodi diversi in acque lontane e che la morte dei due pescatori non abbia nulla a che vedere con l’attacco di pirati subìto dalla petroliera italiana. A conferma vengono i dati dell’ l'International Maritime Bureau dell'Icc (la Camera di commercio internazionale),che si occuopa di raccogliere tutti gli episodi di pirateria. L’organismo internazionale segnala in quello stesso mercoledì un altro attacco fallito ad una petroliera da parte di 20 pirati a bordo di due imbarcazioni: sarebbe avvenuto a due miglia e mezzo dal porto indiano di Kochi alle 21.50 locali, dunque oltre 5 ore dopo e molto più a nord di dove sarebbe avvenuto l'episodio riferito dai militari italiani. Proprio l'orario e il luogo sono due delle contraddizioni emerse tra le diverse testimonianze, così come sono diversi la forma e il colore del peschereccio visto da bordo della nave italiana e quello dei pescatori uccisi.

A questo si aggiunga che i militari italiani ribadiscono di aver visto delle persone armate a bordo (circostanza che mal si concilia con la pesca) e di non aver sparato in modo diretto contro il motopesca, ma di essersi rigorosamente attenuti alle regole d'ingaggio che prevedono dei segnali d'avvertimento e poi l'esplosione di warning shots, cioè delle raffiche in aria a scopo dissuasivo. A complicare ulteriormente la vicenda c'é la questione della giurisdizione: secondo gli italiani il fatto sarebbe avvenuto in acque internazionali, dove è piena la giurisdizione dello stato di bandiera della nave, cioé l'Italia; inoltre, il nucleo militare di protezione imbarcato è un organo dello Stato, soggetto ad immunità giurisdizionale assoluta rispetto ad autorità straniere. Un principio al quale l’India si è sempre attenuta quando erano coinvolti suoi militari all’estero.

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