Per
ricordare i fatti ripropongo qualcosa pubblicato a gennaio del 2013, a circa un
anno dagli eventi per sottolineare che nulla è cambiato da allora anzi è
peggiorato
31 gennaio 2012 :
Fra due settimane sarà trascorso un anno
dal momento in cui i nostri Marò sono stati catturati con l’inganno dall’India
e costretti a subire uno stato di detenzione seppure in libertà vigilata. 365
lunghi giorni ed ancora non si intravede la soluzione del problema. Di nuovo
una cortina impenetrabile è calata sulla vicenda garantita dal silenzio tombale
dei mezzi di informazione e delle Istituzioni.Una precedente ricostruzione del Ministro Terzi titolata “Marò in India, ricostruzione del Ministro Terzi”, ripresa e pubblicata domenica 27 gennaio su “Altrainformazione” http://alfredodecclesia.blogspot.it/2013/01/maro-in-indiaricostruzione-del-ministro.html?spref=fb) dopo 12 mesi ripropone una serie di quesiti su aspetti ancora non del tutto chiari, che invece meriterebbero un maggiore approfondimento per capire esattamente cosa sia successo il 15 febbraio 2012.
Ci dice il Ministro che “…., le autorità indiane hanno chiesto via radio al comandante della Enrica Lexie di dirigersi verso il porto di Kochi (India, Stato del Kerala), precisando che avevano arrestato alcuni sospetti pirati e necessitavano di una collaborazione per identificare gli autori dell'attacco.” Comunicazione del Centro di coordinamento per la sicurezza in mare di Bombay che è risultata immediatamente falsa ed ingannevole e come tale considerata reato penale dal Diritto Internazionale marittimo. Un’occasione forse da non perdere per sottoporre i fatti alla valutazione delle strutture giuridiche internazionali, ma l’Italia ha preferito scegliere l’approccio del low profile.
Possiamo ancora leggere, “…..decideva di dirigere in porto, informando di questa sua decisione il Centro operativo interforze della Difesa,….”. Anche il Ministro De Paola ha ammesso, con la risposta scritta 4-070507 ad un’interrogazione presentata alla Camera che “……l’autorizzazione a procedere verso le acque territoriali indiane è stata data dalla compagnia armatrice, una volta contattata dal comandante della nave. Ciò, tuttavia, per la presenza di NPM a bordo, è avvenuto a seguito di preventiva informazione della catena di comando militare nazionale…..”. E’ quindi lecito riproporre l’interrogativo per chiarire se il Centro Operativo Interforze della Difesa abbia informato immediatamente l’Unità di crisi del Ministero degli Esteri su quanto stesse accadendo nell’Oceano indiano con il coinvolgimento di una nave battente Bandiera italiana, di cittadini italiani imbarcati come equipaggio e come Nuclei Militari di Protezione antipirateria. Una domanda rimasta tale da 365 giorni e rimane ancora oscuro un aspetto importante della vicenda, quello di un possibile carente coordinamento fra i due Dicasteri.
Una sola certezza: all’arrivo della nave a Koci erano ad attenderla in banchina il Console italiano a Mumbai e l’Addetto Militare accreditato in India.
Un altro aspetto rilevante lo troviamo nell’affermazione
del Ministro “Aggiungo che la missione militare dell'Unione europea
«Atalanta», di cui facciamo parte, contempla la possibilità di inviare nuclei militari
armati posti sotto il comando e il controllo della missione europea e con
chiare regole di ingaggio. La presenza di questi nuclei a bordo è conforme
anche alla risoluzione dell'ONU….”. Probabilmente l’ONU e l’Unione Europea
dovevano, quindi, farsi
carico “motu proprio” della vicenda e promuovere ogni iniziativa per una rapida
ed efficacie soluzione del problema nel pieno rispetto del Diritto
Internazionale e della “immunità sovrana” dei due militari di uno Stato Membro
dell’Unione.
Nella relazione non emerge, invece, lo scarso interesse
internazionale ed in particolare della UE, piuttosto viene sottolineata
l’attenzione alla vicenda della baronessa Catherine Asthon responsabile della
politica estera dell’Unione. La stessa che il 2 ottobre 2012 attraverso il suo
portavoce ha dichiarato in una lettera “Non
sarebbe corretto per l’UE intervenire in una questione che è posta dinanzi alle
competenti istanze giudiziarie di uno Stato Straniero”.
L'Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e
la politica di sicurezza tanto
attento alla vicenda dei due Marò da confondere i due militari italiani con “contractors” di ditte private
di sicurezza.
Terzi ci dice “ La consegna e la discesa a terra dei Marò sono avvenute nonostante un'opposizione fermamente opposta dalle nostre autorità diplomatiche e militari presenti sulla Lexie, mi riferisco al console generale Cutillo e all'intero team formato dall'ambasciatore a New Delhi, dall'addetto per la difesa e dagli esperti legali….” . Se opposizione c’è stata non credo, però, che possa essere definita ferma, se non altro perché non risulta che i funzionari, nel rispetto della Costituzione italiana, si siano opposti energicamente all’arresto di due cittadini italiani da parte di uno Stato che per il reato loro addebitato prevede la pena di morte, nonostante che fossero anche nella condizione di avvalersi dell’immunità diplomatica. Un’opposizione che difficilmente la Polizia del Kerala avrebbe prevaricato senza il “placet” del Governo Centrale di Nuova Delhi, garante delle prerogative delle delegazioni diplomatiche, giusto quanto previsto dalle Convenzioni dell’Aia.
Quegli stessi rappresentanti diplomatici che, sembra
di ricordare, all’atto del primo interrogatorio di Massimiliano Latorre e
Salvatore Girone hanno
assicurato loro la traduzione simultanea di un Vescovo cristiano locale,
emotivamente coinvolto nei fatti, senza
invece assegnare un interprete giurato ed accreditato presso l’Ambasciata
italiana.
Se fermezza, quindi, vi è stata non ha avuto poi
grande successo ed è stata anche accompagnata da leggerezze procedurali che
hanno consentito ad uno Stato non appartenente all’Alleanza Atlantica di sequestrare, peraltro senza
contraddittorio, l’armamento, il munizionamento e l’equipaggiamento di due militari di
una Nazione della NATO.
Anche
quanto relazionato sugli atti peritali compiuti lascia perplessi. Si parla di “È così che abbiamo ottenuto - e non senza molte
discussioni e difficoltà - la partecipazione di due eccezionali esperti in
questa materia, appartenenti all'Arma dei Carabinieri, quali osservatori
qualificati delle operazioni concernenti questa perizia.”. Osservatori non
significa periti di parte che abbiano partecipato alle indagini tecnico –
scientifiche, ma persone che hanno solo potuto “guardare” le sommarie fasi iniziali senza poi
essere coinvolti in quelli che potremmo definire “atti irripetibili”, come le
analisi di reperti ed altro di
importante che la storia processuale moderna ci indica come fondamentali.
Non si
mette in dubbio
che l’Italia abbia tentato di coinvolgere Paesi alleati ed Organizzazioni
internazionale come ci dice il Ministro. “Abbiamo avviato un'azione di
sensibilizzazione a tutto campo e a tutti i livelli attraverso importanti Paesi
amici e organizzazioni internazionali per trovare una soluzione concreta che
consenta di riportare a casa i nostri uomini. Abbiamo interessato l'Unione
europea e i Paesi membri più influenti del Consiglio di sicurezza dell'ONU,
anche il Segretario generale delle Nazioni Unite, i Paesi a noi più vicini e
più amici in Asia e nel Mediterraneo.” . Si constata però che i risultati
ottenuti sono stati irrilevanti.
Leggendo, poi, che “…..abbiamo ottenuto anche
un sostegno pubblico alla posizione italiana, espresso dalla stampa,….”, sembrerebbe
che tutti i media nazionali ed internazionali abbiano parlato a fondo e con
cadenza ciclica della
vicenda dei due marò, esprimendo posizioni ben precise contro la disattenzione
indiana nell’applicazione del Diritto internazionale. Non risulta, però, che ciò sia avvenuto. Piuttosto
molte le critiche della stampa internazionale per l’iniziativa della Ferrari
in occasione del
Gran Premio di Nuova Delhi e molta attenzione nel riportare e commentare la una
“frettolosa” dichiarazione alla stampa indiana del Sottosegretario agli Esteri
De Mistura del 18 maggio 2012, “La morte dei due pescatori è stato un incidente fortuito, un omicidio
colposo. I nostri marò non hanno mai voluto che ciò accadesse, ma purtroppo è
successo».
Una ricostruzione quella del Sig. Ministro accurata, ma che invece di chiarire induce interrogativi di non poco conto in particolare su come sia stata fino ad ora regolato e gestito il concorso militare per azioni contro pirateria. Perplessità peraltro espresse in questi giorni anche dai vertici della Marina Militare ( Adnkronos 25 gennaio 2013, Caso maro': Marina, vicenda pone ipoteca su tutela nostri militari in missione) e condivise da moltissimi italiani che da un anno si stanno impegnando come società civile a favore dei nostri due Marò.
Forse dopo un anno sarebbe auspicabile poter
leggere qualcosa che evidenzi la volontà di considerare quanto accaduto una
“Lesson Learned” da cui trarre spunti per il futuro e non proporre invece gli
eventi in una cornice di
perfezionismo esasperato che per taluni aspetti potrebbe anche offendere
l’intelligenza degli italiani.
31 gennaio 2012 – ore 10.00
Nessun commento:
Posta un commento