martedì 2 luglio 2013

Due militari italiani in ostaggio dell’India


DAL BLOG DI FERNANDO TERMENTINI


 Venerdì prossimo il Ministro della Difesa ha annunciato una riunione fra i Ministri Interessati e si auspica il Presidente del Consiglio per affrontare la vicenda dei due marò. Un impegno annunciato come prioritario all’atto dell’insediamento dell’Esecutivo ma che di fatto sembra partire solo dopo circa 60 gg di maturazione !  Speriamo che sia la volta buona e sia ridata la libertà a due innocenti e dignità all’Italia.

Per ricordare i fatti ripropongo qualcosa pubblicato a gennaio del 2013, a circa un anno dagli eventi per sottolineare che nulla è cambiato da allora anzi è peggiorato

 
31 gennaio 2012 :
Fra due  settimane sarà trascorso un anno dal momento in cui i nostri Marò sono stati catturati con l’inganno dall’India e costretti a subire uno stato di detenzione seppure in libertà vigilata. 365 lunghi giorni ed ancora non si intravede la soluzione del problema. Di nuovo una cortina impenetrabile è calata sulla vicenda garantita dal silenzio tombale dei mezzi di informazione e delle Istituzioni.

Una precedente ricostruzione del Ministro Terzi titolata “Marò in India, ricostruzione del Ministro Terzi”, ripresa e pubblicata domenica 27 gennaio su “Altrainformazione” http://alfredodecclesia.blogspot.it/2013/01/maro-in-indiaricostruzione-del-ministro.html?spref=fb) dopo 12 mesi ripropone   una serie di quesiti su aspetti ancora non del tutto chiari, che invece meriterebbero un maggiore approfondimento  per capire esattamente cosa sia successo il 15 febbraio 2012.  

Ci dice il Ministro che “…., le autorità indiane hanno chiesto via radio al comandante della Enrica Lexie di dirigersi verso il porto di Kochi (India, Stato del Kerala), precisando che avevano arrestato alcuni sospetti pirati e necessitavano di una collaborazione per identificare gli autori dell'attacco.” Comunicazione del Centro di coordinamento per la sicurezza in mare di Bombay che è risultata immediatamente falsa ed ingannevole e come tale considerata reato penale dal Diritto Internazionale marittimo. Un’occasione forse da non perdere per sottoporre i fatti alla valutazione  delle strutture giuridiche internazionali, ma l’Italia ha preferito scegliere l’approccio del low profile.  

Possiamo ancora leggere, “…..decideva di dirigere in porto, informando di questa sua decisione il Centro operativo interforze della Difesa,….”. Anche il Ministro De Paola ha ammesso, con la risposta scritta 4-070507 ad un’interrogazione presentata alla Camera che “……l’autorizzazione  a procedere verso le acque territoriali indiane è stata data dalla compagnia armatrice, una volta contattata dal comandante della nave. Ciò, tuttavia, per la presenza di NPM a bordo, è avvenuto a seguito di preventiva informazione della catena di comando militare nazionale…..”. E’ quindi lecito riproporre l’interrogativo per chiarire  se il Centro Operativo Interforze della Difesa abbia informato immediatamente l’Unità di crisi del Ministero degli Esteri su quanto stesse accadendo nell’Oceano indiano con il coinvolgimento di una nave battente Bandiera italiana, di cittadini italiani imbarcati come equipaggio e come Nuclei Militari di Protezione antipirateria.  Una domanda rimasta tale da 365 giorni e rimane ancora oscuro un aspetto importante della vicenda, quello di un possibile carente  coordinamento fra i due Dicasteri.

Una sola certezza: all’arrivo della nave a Koci erano ad attenderla in banchina il Console italiano a Mumbai  e l’Addetto Militare accreditato in India.

Un altro aspetto rilevante lo troviamo nell’affermazione del Ministro  Aggiungo che la missione militare dell'Unione europea «Atalanta», di cui facciamo parte, contempla la possibilità di inviare nuclei militari armati posti sotto il comando e il controllo della missione europea e con chiare regole di ingaggio. La presenza di questi nuclei a bordo è conforme anche alla risoluzione dell'ONU….”. Probabilmente l’ONU e l’Unione Europea dovevano, quindi,  farsi carico “motu proprio” della vicenda e promuovere ogni iniziativa per una rapida ed efficacie soluzione del problema nel pieno rispetto del Diritto Internazionale e della “immunità sovrana” dei due militari di uno Stato Membro dell’Unione.  

Nella relazione non emerge, invece,  lo scarso interesse internazionale ed in particolare della UE, piuttosto viene sottolineata l’attenzione alla vicenda della baronessa Catherine Asthon responsabile della politica estera dell’Unione. La stessa che il 2 ottobre 2012 attraverso il suo portavoce ha dichiarato in una lettera “Non sarebbe corretto per l’UE intervenire in una questione che è posta dinanzi alle competenti istanze giudiziarie di uno Stato Straniero”.

L'Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza tanto attento alla vicenda dei due Marò da confondere i due militari italiani con  “contractors” di ditte private di sicurezza.

 Il Ministro sottolinea, inoltre, la validità dell’operato degli organi diplomatici italiani presenti sul posto. Una difesa d’ufficio più che condivisibile sul piano deontologico, ma non completamente su quello sostanziale.

 Terzi ci dice “ La consegna e la discesa a terra dei Marò sono avvenute nonostante un'opposizione fermamente opposta dalle nostre autorità diplomatiche e militari presenti sulla Lexie, mi riferisco al console generale Cutillo e all'intero team formato dall'ambasciatore a New Delhi, dall'addetto per la difesa e dagli esperti legali….” . Se opposizione c’è stata  non credo, però,  che possa essere definita ferma, se non altro perché non risulta che i funzionari, nel rispetto della Costituzione italiana, si siano opposti energicamente all’arresto di due cittadini italiani da parte di uno Stato che per il reato loro addebitato prevede la pena di morte, nonostante che  fossero anche nella condizione di avvalersi dell’immunità diplomatica. Un’opposizione che difficilmente la Polizia del Kerala avrebbe prevaricato senza il “placet”  del Governo Centrale di Nuova Delhi, garante delle prerogative delle delegazioni diplomatiche, giusto quanto previsto dalle Convenzioni dell’Aia.

Quegli stessi rappresentanti diplomatici che, sembra di ricordare, all’atto del primo interrogatorio di Massimiliano Latorre e Salvatore Girone hanno assicurato loro la traduzione simultanea di un Vescovo cristiano locale, emotivamente coinvolto nei fatti,  senza invece assegnare un interprete giurato ed accreditato presso l’Ambasciata italiana.

Se fermezza, quindi, vi è stata non ha avuto poi grande successo ed è stata anche accompagnata da leggerezze procedurali che hanno consentito ad uno Stato non appartenente all’Alleanza Atlantica  di sequestrare, peraltro senza contraddittorio, l’armamento, il munizionamento  e l’equipaggiamento di due militari di una Nazione della NATO. 


Anche quanto relazionato sugli atti peritali compiuti lascia perplessi. Si parla di “È così che abbiamo ottenuto - e non senza molte discussioni e difficoltà - la partecipazione di due eccezionali esperti in questa materia, appartenenti all'Arma dei Carabinieri, quali osservatori qualificati delle operazioni concernenti questa perizia.”. Osservatori non significa periti di parte che abbiano partecipato alle indagini tecnico – scientifiche, ma persone che hanno solo potuto “guardare”  le sommarie fasi iniziali senza poi essere coinvolti in quelli che potremmo definire “atti irripetibili”, come le analisi di reperti ed altro  di importante che la storia processuale moderna ci indica come fondamentali.


Non si mette in dubbio che l’Italia abbia tentato di coinvolgere Paesi alleati ed Organizzazioni internazionale come ci dice il Ministro. “Abbiamo avviato un'azione di sensibilizzazione a tutto campo e a tutti i livelli attraverso importanti Paesi amici e organizzazioni internazionali per trovare una soluzione concreta che consenta di riportare a casa i nostri uomini. Abbiamo interessato l'Unione europea e i Paesi membri più influenti del Consiglio di sicurezza dell'ONU, anche il Segretario generale delle Nazioni Unite, i Paesi a noi più vicini e più amici in Asia e nel Mediterraneo.” . Si constata però che i risultati ottenuti sono stati irrilevanti.


Leggendo, poi,  che “…..abbiamo ottenuto anche un sostegno pubblico alla posizione italiana, espresso dalla stampa,….”, sembrerebbe che tutti i media nazionali ed internazionali abbiano parlato a fondo e con cadenza ciclica  della vicenda dei due marò, esprimendo posizioni ben precise contro la disattenzione indiana nell’applicazione del Diritto internazionale. Non risulta, però,  che ciò sia avvenuto. Piuttosto molte le critiche della stampa internazionale per l’iniziativa della Ferrari in occasione del Gran Premio di Nuova Delhi e molta attenzione nel riportare e commentare la una “frettolosa” dichiarazione alla stampa indiana del Sottosegretario agli Esteri De Mistura del 18 maggio 2012, “La morte dei due pescatori è stato un incidente fortuito, un omicidio colposo. I nostri marò non hanno mai voluto che ciò accadesse, ma purtroppo è successo».

Una ricostruzione quella del Sig. Ministro accurata, ma che invece di chiarire induce interrogativi di non poco conto in particolare su come sia stata fino ad ora regolato e gestito il concorso militare per azioni contro pirateria. Perplessità peraltro espresse in questi giorni anche dai vertici della Marina Militare ( Adnkronos 25 gennaio 2013, Caso maro': Marina, vicenda pone ipoteca su tutela nostri militari in missione) e condivise da moltissimi italiani che da un anno si stanno impegnando come società civile a favore dei nostri due Marò.

 Forse dopo un anno sarebbe auspicabile poter leggere qualcosa che evidenzi la volontà di considerare quanto accaduto una “Lesson Learned” da cui trarre spunti per il futuro e non proporre invece gli eventi  in una cornice di perfezionismo esasperato che per taluni aspetti potrebbe anche offendere l’intelligenza degli italiani. 


31 gennaio 2012 – ore 10.00

 

 

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