Crolla il teorema indiano sull’uccisione dei due pescatori, i Marò sono innocenti
Per stasera è annunciato sul Tg5 delle ore 20, all’interno di un
servizio a cura dell’inviato Toni Capuozzo, un video in cui Freddy
Bosco, comandante ed armatore del peschereccio indiano St Antony,
fornisce la sua versione dei fatti a caldo, cioè nell’immediatezza del
tragico episodio della morte dei due pescatori attribuita ai due Marò
italiani Massimiliano Latorre e Salvatore Girone. Secondo le vaghe
accuse lanciate ai nostri due fucilieri del S. Marco imbarcati con altri
quattro Marò sulla M/N Enrica Lexie per fornire scorta armata
antipirateria, i due pescatori indiani sarebbero stati scambiati per
pirati e quindi fatti oggetto di raffiche di fucile mitragliatore
sparate volutamente per colpire. Noi non abbiamo ancora potuto visionare
il video, ma stando alle anticipazioni in merito fornite dal
giornalista Capuozzo, emerge un fatto nuovo di rilevante importanza,
mentre trova piena conferma la ricostruzione dei fatti che Qelsi,
basandosi su fonti giornalistiche indiane, ha fornito sin dal primo
momento e che dimostrano senza tema di smentita non soltanto l’innocenza
dei due Marò italiani, ma la loro assoluta estraneità ai fatti loro
contestati.
Rimandiamo ad esempio ai post del 10 aprile di quest’anno
oppure a quello del 12 giugno dello scorso anno e suoi precedenti. Il
fatto nuovo fatto emergere da Capuozzo è che dopo aver alterato, come
abbiamo dimostrato, le risultanze delle perizie balistiche, ed aver
fatto scomparire la scena del presunto delitto, cioè il St Antony che
incredibilmente è stato disarmato e rottamato, cioè letteralmente fatto
sparire senza che il collegio di difesa avesse potuto averne mai potuto
prendere visione prima del processo, la polizia indiana ha letteralmente
ricostruito a tavolino una dinamica dei fatti che fa a pugni con la
logica, ma soprattutto con le dichiarazioni degli interessati rilasciate
spontaneamente alla polizia portuale la sera del 15 febbraio del 2012.
Qualche tempo dopo l’accaduto, il 3 marzo Bosco aveva rilasciato al
quotidiano Deccan Chronicle questa intervista, il cui contenuto è poi
stato ribadito alla giornalista italiana Fiamma Tinelli del settimanale
OGGI il 21 di quello stesso mese, di cui forniamo uno stralcio, un
intervento ripreso e reso di dominio pubblico sulla stampa dello stato
del Kerala e di quella a diffusione nazionale dell’India:
“Il 15 febbraio stavamo fuori a pesca da quasi una settimana, avevamo
preso per lo più maccarelli, tonni e qualche piccolo squalo. La cattura
stava andando bene, avevamo già più di 3mila prede in stiva. Però ci
trovammo improvvisamente fuori dai banchi di pesce a 20 miglia al largo
di Kollam. Decidemmo di puntare ad ovest (allontanandosi dalla costa ad
intercettare altri banchi di pesce, ndr). Avevamo lavorato tutta la
notte e sino a mezzogiorno. Gli uomini erano stanchi e se ne andarono
alle loro cuccette. Il mare era calmo, il sole picchiava forte. Saranno
state le 4.15 del pomeriggio quando avvertii anch’io il bisogno di
schiacciare un pisolino. Chiesi al mio copilota Valentine (una delle due
vittime, ndr) di mettersi al timone e mi sdraiai vicino a lui sul
pavimento della cabina di pilotaggio. Nei pressi una petroliera si
muoveva pigramente. Ma non feci in tempo ad addormentarmi perché
avvertii uno strano rumore, sordo, come di un tonfo. Vidi Valentine in
terra e pensai ad un attacco di cuore. Gridai per chiedere aiuto:
correte in coperta che Valentine sta male. Fu allora che vidi il sangue
che perdeva dal naso e dall’orecchio: vidi che aveva un foro in testa.
Poi qualcuno cominciò a spararci addosso. Allora gridai di riparare
tutti sottocoperta. Io e gli uomini ci precipitammo sotto, al riparo, ma
Ajesh (l’altra vittima, ndr) fu colpito, perché stava andando alla
toilette che era situata sul lato esposto al bordo della nave da cui
sparavano e rimase colpito a morte”.
Ma voi ce lo vedete uno che si
ritrova sotto tiro andarsene alla toilette sul lato esposto all’attacco,
invece che spostarsi al riparo su quello opposto e farla eventualmente
in mare se proprio non riesce a trattenerla? Mah. Poi Bosco continua a
fornire particolari interessanti, come quelli che le rotte del
peschereccio e della petroliera erano parallele, ma in verso opposto,
che non c’era alcun rischio di collisione, che loro davano sempre
precedenza ai grossi cargo per evitare di poter essere scambiati per
pirati. Ma a questo punto fa una affermazione incredibile, quando dice
che non ha potuto leggere il nome della petroliera, ma di aver solo
visto che fosse a fasce una rossa ed una nera. Ora noi forniamo la foto
delle cinque navi, tutti cargo, che erano in navigazione nella zona al
momento dell’incidente: Kamome Victoria, MBA Giovanni, Enrica Lexie,
Olympic Flair ed Ocean Breeze. Sono praticamente tutte uguali, per cui
se non leggi il nome è impossibile risalire solo dal colore all’identità
della nave. Come ha fatto Freddy, nonostante lui racconti che stavano
in piena luce alle 4.15 del pomeriggio, a non leggere il nome della nave
che è scritto a caratteri cubitali a poppa ed a prua e che non distava
più di 250 metri dal St Antony, e però poi più tardi, invece, ad essere
sicuro che si trattasse della Lexie? Istintivamente, da sottocoperta se
ti sparano addosso una sbirciatina, al limite col binocolo, al nome
della nave che ti aggredisce gliela dai. Lui dice di no, ma poi però
alla polizia conferma che si trattava della Lexie. Ma il racconto di
Freddy Bosco è pieno di lacune e di contraddizioni: Come ha fatto a
sentire il tonfo di Valentine senza prima sentire i colpi d’arma da
fuoco? Poi ha testimoniato che il fuoco è durato un paio di minuti.
Impossibile: secondo la polizia indiana dal cargo sono stati sparati 24
colpi di fucile mitragliatore. Ora quello in dotazione ai Marò spara 670
colpi al minuto, per cui se fosse vero quello che ha riferito Bosco il
St Antony avrebbe dovuto essere inondato da almeno 2mila colpi, ammesso
che a sparare fossero solo in due. Persino l’affermazione che la
petroliera si muoveva pigramente è incongruente con la precisazione che i
due natanti, il cargo ed il St Antony, si muovevano su rotte parallele
in versi opposti. In questo caso, la loro velocità di crociera si
sarebbe sommata a quella della nave dalla direzione opposta, per cui
questa avrebbe dovuto apparire ben più veloce della sua effettiva
velocità. Il fatto che sembrasse invece molto lenta, indica che la nave
stava ferma, all’ancora e che era il St Antony ad essere in progressivo
avvicinamento, per dolo o per disattenzione, al cargo, e non il
viceversa. Per cui, a quel punto, qualcuno da bordo della nave che si è
ritenuta sotto attacco gli ha sparato addosso, magari senza neanche
preavviso. Una prova a favore dei Marò visto che secondo quanto si è
ricostruito loro hanno seguito le procedure standard d’ingaggio: avvisi
radio, avvisi sonori e luminosi, colpi di preavvertimento in aria, colpi
in acqua, nessuna azione delle quali registrata dal St Antony. Ma qui
spunta il fatto nuovo del video del Tg5. Questo mostra una intervista
televisiva resa da Freddy Bosco al suo rientro in porto dopo
l’incidente, che permette di fare luce sulle incongruenze sopra esposte.
Secondo il video, il St Antony giunge alle 23.30 del 15 febbraio nel
porto di Neendankara ed il capitano Freddy lamenta ai microfoni delle tv
indiane di avere subito un attacco con armi da fuoco un paio d’ore
prima, cioè attorno alle ore 21.30, non alle ore 16.15 circa come poi
dirà in tutte le sue successive deposizioni ed interviste come abbiamo
visto sopra. Subito aveva avvertito la capitaneria del rientro con due
vittime a bordo, per questo c’erano giornali, radio e TV ad attendere
al molo d’attracco il St Antony che era già diventato un caso. Quindi,
l’episodio si è svolto di notte, alle 21.30, al buio, per questo né
Bosco né altri a bordo avevano potuto leggere il nome del mercantile con
cui s’era ingaggiato. E’ stata poi nella errata e disastrosa
ricostruzione della polizia portuale indiana che Bosco è stato istruito
di indicare la Lexie come cargo aggressore se voleva sperare di ottenere
un risarcimento, visto che era l’unica nave sulla quale avevano potuto
mettere le mani.
Nel frattempo, poco prima, alle ore 22.20 la motonave greca Olympic
Flair aveva lanciato un messaggio regolarmente registrato al Sar di
zona, che fa parte della rete dell’IMO (International Maritime
Organization), una agenzia dell’ONU preposta alla sicurezza della
navigazione. Nel primo pomeriggio, prima che succedesse tutto questo, la
Lexie aveva comunicato alla capitaneria di Kochi di aver sventato un
attacco di pirati con una procedura di dissuazione che però si era
limitata ad avvertimenti e non seguita da un conflitto a fuoco. Lo scopo
del messaggio della Lexie era quello di far avvertire del pericolo
rappresentato dai pirati altre navi eventualmente in navigazione nella
zona, specie quelle sprovviste di scorte armate. Alle 19,26 il
comandante della Lexie Vitelli lancia una e-mail per riferire l’accaduto
al MSCHOA (Maritime Security Centre Horn of Africa) che supervisiona la
sicurezza delle navi attorno al Corno d’Africa in linea cone le regole
di registrazione dell’UKMTO (UK Maritime Trade Operations). Solo alle
21.36 e per la prima volta, la capitaneria di Kochi si mette in contatto
con la Lexie pregandola di rientrare a Kochi per collaborare
all’eventuale riconoscimento del battello pirata. Di fatto, quella sera
la polizia indiana si ritrova in mano un puzzle con questi elementi: la
denuncia della Lexie di un attacco di pirati; la denuncia a tarda sera
di un attacco di pirati da parte della nave greca Olympic Flair che
ammette di avere sparato addosso ad una di due imbarcazioni,
presumibilmente una un barchino di pirati e l’altro il St Antony, tutte e
tre queste imbarcazioni ben a sud di Kochi e della Lexie; la denuncia
di aggressione con due vittime da parte del peschereccio indiano attorno
alle 21.50. Adesso tutto quadra ed emerge l’incredibile incapacità
operativa ed investigativa della polizia indiana che non ha neanche
provveduto a farsi rilasciare dal MSCHOA copia delle registrazioni della
conversazione con la Olympic Flair.
Ritrovandosi con la Lexie in porto e
la nave greca in alto mare, la quale tra l’altro non s’è neanche
degnata di rispondere agli appelli di chiarimento richiesti da Kochi,
gli indiani non hanno trovato di meglio che accusare gli italiani
trascurando che gli episodi erano distinti e che si erano svolti a 5 ore
di distanza l’uno dall’altro. Per montare il loro teorema, gli indiani
si sono arrampicati sugli specchi, hanno manipolato testimonianze,
contraffatto le risultanze delle perizie, ricostruito una dinamica degli
eventi ed una loro cronologia smentita dai fatti. Ma ora bugie e
falsità stanno venendo tutte a galla ed il video di Capuozzo sarà la
spallata decisiva ad un impianto accusatorio che se non fosse drammatico
per le conseguenze sui Marò sarebbe da definire risibile, grottesco ed
indegno di un paese civile quale l’India pretende di essere. Se proprio
vuol fare qualcosa per salvare la faccia l’India dovrebbe rilasciare
immediatamente i due Marò porgendo le scuse a loro ed agli italiani.
L’Italia dovrebbe invece smetterla di comportarsi come se i Marò fossero
colpevoli e di preoccuparsi solo della loro sorte da “condannati” e
dovrebbe colpire l’India in ciò che al momento ha di più caro: la sua
richiesta d’ingresso nel Consiglio di Sicurezza dell’Onu per sottrarsi
alle minacce della Cinain. L’Italia ponga un ultimatum per il rilascio
dei Marò annunciando, in mancanza di un suo rispetto, il suo veto
all’ingresso dell’India nel CdS, facendosi appoggiare questa sacrosanta
iniziativa dagli alleati della Nato, specie quelli che sono partners
nella Ce. O gli alleati servono solo a chiederci rigore nei conti, di
mandare i nostri ragazzi ad essere uccisi in Iraq ed Afghanistan ed a
dare loro una mano, quando serve, ad ammazzare Gheddafi e Saddam od a
rovesciare Assad in Siria?
(Fonte)
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