FATTI IMPORTANTI DA RICORDARE
Cercherò
di sviluppare una analisi dei fatti proponendola come un racconto avulso da
qualsiasi interpretazione personale e con il solo scopo di suscitare le conclusioni
che più si riterranno opportune.
Inizio con
una piccola valutazione di natura geopolitica sull’India, suffragata anche da una certa conoscenza di
quelle aree e della mentalità ivi dominante.
L’India
non è un paese spirituale, tollerante e pacifico come piace proporre a tanti
ammiratori occidentali. É, invece, fortemente nazionalista, poco incline al
negoziato, come dimostrano i cattivi rapporti con i suoi vicini, in particolare
con il Pakistan.
Si regge
su un delicato equilibrio fra coesistenza pacifica ed esplosioni di
intolleranza violenta, all’interno di una Società civile stratificata e
disuguale caratterizzata dal livello della casta di appartenenza, quasi sempre penetrabile.
In India,
se si nasce appartenendo ad una casta è assolutamente difficile se non
improponibile che nel corso della vita si
possa entrare a far parte di una casta di rango sociale superiore.
Nella
gestione degli eventi che hanno coinvolto i nostri due militari, in particolare
nella fase iniziale, le nostre Autorità non hanno tenuto in debito conto di
questi aspetti tuttaltro che marginali. Si è infatti deciso di impostare un
negoziato secondo criteri validi nelle realtà occidentali, preoccupati a non
scuotere gli equilibri fra i due Paesi. Un low profile che nel tempo si è
dimostrato scarsamente efficace nei confronti di una realtà come l’India.
Lo
dimostrano gli eventi a cui abbiamo assistito in questi 14 mesi. Di fronte ad una “timida Italia” New Delhi si
è proposta giocando una partita di forza a fronte di un’Italia esitante che
appariva debole ed incerta, peraltro abbandonata a se stessa dalla comunità
internazionale e dalla stessa Unione Europea.
Anche il
gesto altamente umanitario con la donazione di un aiuto economico del nostro
Paese a favore delle famiglie dei due morti e del proprietario del peschereccio
che a detta degli indiani era stato coinvolto negli eventi che vedevano
protagonisti i due Marò, è stato interpretato da Delhi come una ulteriore
ammissione di colpevolezza.
In questo
contesto è stata protagonista anche un’Unione Europea molto disattenta tanto da
portare la baronessa
Asthon , “alto rappresentante per gli affari esteri e la politica
di sicurezza dell'Unione Europea”, ha confondere i due nostri militari con
contrasctors di Agenzie private di sicurezza.
Una UE non
considerata peraltro dall’India come un vero Stato Federale, tanto che Delhi ancora non ha un Dipartimento presso la UE ma continua
a gestire i rapporti direttamente in bilaterale con i paesi membri.
La successione degli eventi
In estrema
sintesi i punti salienti di quanto è
avvenuto senza ritornare su particolari ormai credo noti a tutti.
Il 15
febbraio 2012 la
Marina Militare emana un comunicato ufficiale, il numero 04,
con il quale annuncia :
“I
Fucilieri del Battaglione S. Marco, imbarcati come nucleo di protezione
militare (NPM) su mercantili italiani sono intervenuti oggi alle 12,30 indiane,
sventando un ennesimo tentativo di abbordaggio. La presenza dei militari della
Marina Militare ha dissuaso cinque predoni del mare che a bordo di un
peschereccio hanno tentato l’arrembaggio della Enrica Lexie a circa 30 miglia ad Ovest della
costa meridionale indiana …..”.
Un
comunicato che ha dato inizio ad una delle più complesse controversie
internazionali e che ha segnato il principio di un calvario per due nostri
militari coinvolti in eventi tutti da dimostrare e comunque avvenuti mentre
esercitavano le loro funzioni istituzionali nel rispetto di un mandato ricevuto
dallo Stato con una legge , la 130 dell’agosto 2011.
Una Legge
che ha previsto la presenza di Nuclei di Protezione Militare (NPM) con funzioni
antipirateria marittima a bordo delle Navi commerciali italiane, ma che a mio
modesto avviso manca di chiarezza in particolare per quanto attiene l’unicità
di Comando in caso di attacco di pirati. La legge, infatti, fissa all’articolo
1 che il militare più alto in grado all’emergenza assume il comando del
NPM e nello stesso tempo lascia al Comandante della nave, ad esempio, in che
direzione procedere, come e con quale velocità.
La
disavventura di due militari ormai in ostaggio dell’India da 14 mesi ed
imputati di aver ucciso per errore due poveri pescatori indiani a cui va tutto
il nostro rispetto, ha inizio nel momento che la Lexie viene indotta con
l’inganno dalla Guardia Costiera di Mumbai a rientrare in acque territoriali
indiane ed attraccare nel porto di Koci e la nave viene autorizzata dall’Italia
a rientrare nelle acque territoriali indiane.
I militari
vengono interrogati dalla Polizia locale ricorrendo ad un interprete locale, un
Vescovo cattolico indiano, e no ad un traduttore giurato accreditato presso
l’Ambasciata di Delhi come sarebbe stato auspicabile e come prassi in questi
casi e nonostante le loro dichiarazioni che parlano di “fuoco di dissuasione”
nei confronti del naviglio sospetto non vengono creduti.
La
sentenza indiana è già scritta ed il 19 febbraio 2012 i due marinai vengono catturati dalla Polizia
indiana, le armi ed il munizionamento in dotazione alle Forze Armate italiane a
bordo della Lexie sequestrate, la nave trattenuta in porto per più di un mese.
Iniziano
almeno apparentemente le prove balistiche da parte di esperti indiani alle
quali nonostante gli accordi con l’Italia è esclusa la presenza di esperti
italiani dell’Arma dei Carabinieri che possono presenziare solo alle prove di
sparo e non a quelle di comparazione.
Un atto arbitrario del
Kerala ed una prima sberla legale
all’Italia.
Tralascio le
incongruenze delle prove balistiche ed autoptiche fornite dagli indiani e la
loro interpretazione dei fatti, proponendo una sintesi in Power Point (http://www.fernandotermentini.it/vicendamaro.htm.) dell’attenta analisi tecnica sviluppata dell’amico
esperto balistico Luigi
Di Stefano e pubblicata sul siti www.seeninside.net/piracy.
Ritornando
ai fatti, è da sottolineare l’impegno dell’allora Sottosegretario agli Esteri
De Mistura che ottenne che i nostri due marò potessero lasciare la prigione ed
usufruire di una sorta di libertà provvisoria, pur rilasciando un’intervista a
mio avviso azzardata alla televisione indiana del tipo “…..i Marò sono
incappati in un errore…..”, lasciando praticamente intendere che erano stati
loro ad uccidere i due pescatori seppure con un atto colposo.
Trascorrono
le settimane senza che sia pronunciata una sentenza od almeno una decisione
giudiziaria esaustiva sulla competenza del giudizio da attribuire all’India od
all’Italia secondo il Diritto Internazionale e la Convenzione sul Diritto del
mare (Montego Bay del 1985 sottoscritta e ratificata anche dall’India) visto
che la Lexie al momento dell’azione dissuasiva dei due Marò era in acque internazionali.
Si
inserisce l’Alta Corte di Delhi che si riserva di decidere se la competenza del
giudizio fosse o meno del Kerala e nel frattempo ai due militari viene concessa
una licenza di due settimane per recarsi a trascorrere in Italia il Natale. Nel frattempo la Procura Ordinaria
di Roma apre un fascicolo nei confronti dei due militari per omicidio
volontario e nonostante la gravità del capo di imputazione non adotta nei loro
confronti provvedimenti restrittivi che evitassero il pericolo di fuga.
In gennaio
l’Alta Corte di Delhi riconosce che i fatti in cui è stata coinvolta la Lexie
erano avvenuti in acque internazionali (20,4 miglia dalla
costa) e riconosce che la Corte del Kerala non ha giurisdizione. Non riconosce
invece il diritto italiano di giudicare i due militari negando loro anche il
diritto dell’Immunità funzionale e
stabilisce di nominare un Tribunale speciale destinato ad esprimersi nei
confronti dei sospetti colpevoli.
Un’incisiva
azione diplomatica della Farnesina riesce ad ottenere che ai due militari sia
concesso un permesso di 4 settimane per votare in Italia.
L’11 marzo
del 2013 alle ore 17,53 l’AGI pubblica una dichiarazione del Vice Ministro De
Mistura che dichiara testualmente “La
decisione di non far rientrare i maro’ in India “e’ stata presa in
coordinamento stretto con il presidente del Consiglio Mario Monti e d’accordo
tutti i ministri” coinvolti nella vicenda, “Esteri, Difesa e
Giustizia”. Aggiunge che “siamo tutti nella stessa posizione, in maniera
coesa e con il coordinamento di Monti”.
De Mistura
chiarisce poi che “a questo punto la
divergenza di opinioni” tra l’Italia e l’India sulle questioni della
giurisdizione e dell’immunità richiede un arbitrato internazionale: il ricorso
al diritto internazionale o una sentenza di una corte internazionale” e che non
c’e’ stata ancora una reazione indiana alla nota verbale consegnata
dall’ambasciatore italiano a New Delhi Daniele Mancini.
“Le nostre
priorità - ha spiegato il Sottosegretario - sono da un lato l’incolumità’ e il
ritorno in patria dei nostri maro’ e dall’altro mantenere un ottimo rapporto di
lavoro e di collaborazione con le autorità indiane. L’India - ha aggiunto - e’
un grande Paese con il quale abbiamo tutta intenzione di avere un ottimo
rapporto. E questo - ha concluso - e’ un motivo in più per lasciare le
divergenze nelle mani del diritto internazionale, magari con una sentenza di
una corte internazionale”. Una dichiarazione che però dieci giorni dopo è stata
sconfessata dai fatti i quanto i due Marò sono stati fatti rientrare invece
improvvisamente in India. I motivi sono stati spiegati in Parlamento e non
entro nel merito, esprimo solo tutto il mio sdegno per una vicenda iniziata
male e finita ancora peggio e che coinvolge direttamente da quasi 15 mesi due militari italiani e le loro famiglie.
Solo un
pensiero : i due nostri concittadini non
possono essere considerati come merce di scambio in una controversia
internazionale fondata principalmente su
interessi economici.
Il 21 marzo il Governo decide di rimandare in India I due
Fucilieri di Marina, il 26 marzo l’Ambasciatore Giulio Terzi si dimette
dalla carica di Ministro degli Esteri. Il giorno successivo il Presidente del
Consiglio nel Suo intervento alla Camera dei Deputati in parte non sembra confermare
la dichiarazione all’AGI del Sottosegretario De Mistura.
Alcuni quesiti in sospeso
Questa la sintesi dei fatti. Tralasciando
ogni possibile considerazione sul Diritto Internazionale e sulla Convenzione
del Diritto del Mare che credo siano stati abbondantemente affrontati e anche
chiariti in questi 14 mesi, è d’obbligo, però, proporre alcuni aspetti forse passati inosservati o
quanto meno di cui si è parlato poco. Procediamo per punti a guadagno di
chiarezza.
1.
Iniziamo con il quesito più
ricorrente su chi abbia autorizzato la Enrica Lexie a rientrare in acque territoriali
indiane. Una domanda a cui in parte risponde il Ministro della Difesa De Paola
in occasione di un’interrogazione al Senato del 15 ottobre 2012 (interrogazione
scritta n° 4-07057) , alla quale risponde fra l’altro “……Nella fattispecie,
l’autorizzazione a procedere verso le acque territoriali indiane è stata data
dalla compagnia armatrice, una volta contattata dal comandante della nave. Ciò,
tuttavia, per la presenza del NMP a bordo, è avvenuto a seguito di preventiva
informazione della catena di comando militare nazionale….”.
In quella stessa occasione il Ministro non informa,
invece, sull’esistenza fin dall’11 maggio del 2012 di un rapporto tecnico della
Marina Militare reso noto la scorsa settimana dal quotidiano La Repubblica e
che non concorre a chiarire le vicende. Un dossier “segreto” della Marina che
basandosi sulle fatiscenti prove balistiche indiane arriva
a concludere che i proiettili che hanno ucciso i due pescatori indiani al largo
di Kerala non sarebbero stati sparati dai fucili assegnati ai due marò
Massimiliano Latorre e
Salvatore Girone e che riporta tra
l’altro, “…che il proiettile tracciante estratto dal corpo di Valentine
Jelestine è stato esploso dal fucile con matricola assegnata al sottocapo ……………...
Il proiettile estratto dal corpo di Ajiesh Pink è stato esploso dal fucile con
matricola assegnata al sottocapo . ………”.
Altra notizia che emerge dal rapporto è che sul barchino
dei pescatori che si era avvicinato fino a 80 metri dalla Lexie, ci
sarebbero stati degli uomini armati.
2.
Il documento a
cui si riferisce il quotidiano con dovizia di particolari anche virgolettati,
esiste. Ci si chiede se esso, secondo una prassi procedurale corrente, sia
stato consegnato alla Procura Militare di Roma immediatamente a ridosso della
compilazione accompagnato magari da una semplice informativa iniziale o se
invece sia stato formalizzato solo durante la permanenza in Italia dei due Marò
per il permesso elettorale. Un dubbio che emerge considerando che per quanto
reso noto da organi di stampa solo in questo periodo la Procura Militare
di Roma ha aperto un altro fascicolo nei loro confronti dei militari
addebitando loro la “violata consegna e la dispersione di oggetti militari”.
3.
Perché i due
militari siano stati fatti rientrare in India contrariamente alle decisioni
precedenti riferite dal Vice Ministro De Mistura come riportato dall’Agenzia
AGI delle 17,53 dell’11 marzo 2013. Una decisione collegiale
secondo quanto riferito alla Camera dei Deputati dal Premier Monti il 27 marzo
in palese contrasto con la precedente dell’11 marzo altrettanto collegiale come
si evince dall’agenzia di stampa AGI.
4.
Una decisione
importante quella di trattenere i militari in Italia in conseguenza della quale
esperti nel settore dei rapporti
internazionali, esperti militari e di Diritto Internazionale avrebbero dovuto
prevedere reazioni indiane. Anche per non addetti ai lavori era chiaro,
infatti, che non rimandare i Marò in
India avrebbe innescato polemiche e reazioni di Delhi, come è puntualmente
avvenuto e che hanno indotto ad un ripensamento dell’Esecutivo.
Una provocazione da cui forse pragmaticamente si poteva
trarre qualche vantaggio a favore dei nostri Marò. Infatti, immediatamente
l’India ha intrapreso iniziative non condivise in ambito internazionale, come
quella di togliere l’immunità diplomatica all’Ambasciatore italiano.
Immediatamente un levarsi di voci in vari contesti, compresa la silente Asthon che
in quei giorni ha riacquistato la voce
criticando l’India di disattendere gli accordi della Convenzione di Vienna
sullo status diplomatico.
5.
Infine, ci si
chiede perché la Procura della Repubblica di Roma non abbia dato seguito
all’esposto presentato dal sottoscritto e dall’Avvocato Tomasicchio che, in
considerazione dell’ipotesi di reato di omicidio volontario a carico dei due
Marò, chiedevamo che fosse applicato nei loro confronti la restrizione del diritto di espatrio per evitare
il rischio di fuga. Forse l’iniziativa avrebbe risolto qualsiasi problema.
Conclusioni
L’Italia è stato un partner importante
dell’India fin dai primi anni della sua indipendenza ed gli italiani sono
simpatici agli indiani come lo sono costoro per gli italiani.
Un’Italia che in questi ultimi tempi,
come viene da più parti affermato, dovrebbe aver guadagnato molta affidabilità in
ambito internazionale a seguito della gestione dell’attuale Esecutivo, diretto
e partecipato da personalità di spicco alle quali la comunità internazionale
sembra guardare con rispetto.
Ciò nonostante nessuno si è mosso a
favore dell’Italia nella vicenda specifica. Sicuramente qualche telefonata di
circostanza fra Premier o Ministri, ma null’altro di incisivo nei confronti di
Delhi. Anche due giorni orsono il Segretario Generale delle Nazioni Unite si è
limitato ad auspicare che la controversia fosse risolta in bilaterale dai due
Stati nel rispetto del Diritto Internazionale.
Diverso sarebbe stato se a muoversi in
favore dell’Italia fossero stati gli Stati Uniti, ma Washington ha palesemente dimostrato di
non voler rischiare la sua speciale “relationship” con l’India per risolvere una vicenda non molto diversa da quella che, solo a
distanza di qualche settimana dalle vicende della Enrica Lexie, ha coinvolto la marina Usa al largo di
Oman ed è stata archiviata senza che il governo indiano fiatasse.
L’Italia non è gli Stati Uniti, e
quindi non ha un forte potere negoziale, ma almeno un’opportunità l’abbiamo in
ambito Nazioni Unite. L’India tiene moltissimo ad affermare un ruolo di paese
rispettoso degli obblighi internazionali e “responsabile”, nel quadro della
campagna per divenire membro permanente del Consiglio di Sicurezza. Una
denuncia tempestiva italiana in Assemblea Generale dell’Onu e la richiesta di
un Arbitrato internazionale – atto possibile anche unilateralmente - avrebbe potuto creare più di un imbarazzo a
Delhi, inducendola ad indurla a una maggiore apertura.
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