Matteo Mivaldi scrive per il Manifesto e altre testate giornalistiche, le stesse dove curiosamente scrive anche Giuliana Sgrena. Allora desidero esprimere un mio pensiero con le parole di un buon militare incappato in un incidente che ancora lo tormenta mentre lei la Sgrena e suoi 'compagni' fanno quattrini.
"Capisco benissimo che l'Italia sia arrabbiata con me", ha detto il militare "Ho ucciso uno dei vostri eroi. L'uomo, o meglio il semidio che ho sempre sognato di essere".
Lozano si è presentato con delle foto sotto braccio, immagini tratte da un video che dimostrerebbero senza alcun dubbio che "l'auto era vicinissima al check-point quando ho sparato una dozzina di colpi in tutto. Non per uccidere ma per difendermi".
"Due giorni prima della tragedia", ha spiegato il marine, "due miei amici erano saltati in aria al checkpoint per un auto bomba.
Ma il nostro, quel terribile 4 marzo 2005, era un blocking point, non un checkpoint. Avevamo ricevuto l'ordine di non far passare alcun veicolo perché l'ambasciatore John Negroponte era in zona. E, infatti, appena hanno avvistato il nostro faro di segnalazione, sinonimo inequivocabile di stop, una trentina di auto avevano già fatto dietrofront. Tutte, tranne quella dove viaggiavano Sgrena, Calipari e Carpani".
Secondo un'inchiesta italiana l'auto viaggiava a velocità ridotta e stava addirittura rallentando al momento degli spari. "L'auto viaggiava intorno agli 80 chilometri orari. Come mostrano le mie foto, ho sparato quando era a un centinaio di metri e, a differenza delle altre auto visibili all'orizzonte, non si era fermata neppure dopo i miei colpi d'avvertimento in aria. Alla fine l'autista ha sventagliato il telefonino. Avrei dovuto sparare ancora, come ordina il protocollo, visto che i cellulari in Iraq sono spesso detonatori di autobomba. Invece ho preferito rischiare la mia vita".
Il militare non risparmia critiche alla Sgrena: "Ha un'agenda politica. Mi sta usando come un capro espiatorio per il suo anti-americanismo. Vuole colpire gli Usa ma se la prende con un povero diavolo, che ha solo ubbidito agli ordini. Bella comunista! Ha distrutto il mio matrimonio e la mia carriera e oggi le mie due figlie vivono nel terrore che finirò in carcere. La colpa di tutto ciò è della Sgrena che ha avuto la malaugurata idea di andare in un Paese off limits ai giornalisti, costringendo un eroe come Calipari a morire per liberarla. Oggi lui è in paradiso, io sono il mostro di un'intera nazione e lei, che è la causa di tutto, è viva, vegeta e fa soldi raccontando bugie".
Come si vive dopo un episodio del genere? "Malissimo. Il volto di Calipari mi perseguiterà per il resto della mia vita. Aveva un'espressione seria ma piena di serenità e pace, come quella di un guerriero che sa di essere morto per una causa in cui credeva. Ho letto tutto ciò che ho potuto trovare su di lui e ci sono pochi eroi che stimo tanto. Lo sogno la notte.
Mi piacerebbe incontrare la moglie, se ciò può aiutarla ad alleviare il dolore. Ho visto le sue foto: piange in tutte. Mi spezza il cuore"
Aggiungo una nota allora sull'altro agente del Sismi che quella notte era con Calipari e la Sgrena e che molto curiosamente la Sgrena ha sempre evitato di rintracciare....
Andrea Carpani, 007 dell'ex Sismi oggi in servizio forse in Sud America, si è seduto sul banco dei testimoni di un processo che non c'è mai stato. Più ancora di Giuliana Sgrena, è il custode dei segreti di quel pomeriggio del 4 marzo 2005 quando il suo capo, Nicola Calipari fu ucciso dal fuoco amico americano dopo aver liberato la giornalista ostaggio dei ribelli iracheni. Per bocca del suo avvocato, mentre Carpani ascolta (intervista pubblicata dall'Unita'): All'interno del Sismi c'erano due diverse posizioni in merito alla questione ostaggi, una corrente filo-americana cioè contraria alle trattative con i rapitori e un'altra invece più autonoma e aperta alle trattative rappresentata da Nicola Calipari. Ecco, maggiore Carpani: all'epoca del sequestro ci sono state tensioni tra queste due diverse e contrapposte correnti? . Silenzio, Carpani non risponde. In Italia, ai tempi della guerra in Iraq, c'era anche una guerra all'interno delle intelligence italiane. Una guerra che è costata la vita a Nicola Calipari che, essendo prima di tutto poliziotto (ex squadra mobile), ha sempre messo la vita delle persone avanti a qualche perversa ragion di stato. La verità teatrale si fa largo da sola, dialogo dopo dialogo, con la forza di domande che restano spesso senza risposta. Va in scena ciò che nella realtà non è mai potuto accadere: il processo. E Carpani dice ciò che ufficialmente nessuno, tranne i suoi superiori, ha mai finora potuto ascoltare e che gli autori hanno recuperato facendo i cronisti. «Il 4 marzo abbiamo lasciato la base Usa di Camp Victory intorno alle 17 dopo aver preso auto, armi e badge». Significa che il comando Usa è a conoscenza della missione dell'alleato Calipari. «Il Capo - racconta Carpani - ricevette una prima telefonata, il contatto per la liberazione dell'ostaggio era a Mansur, periferia di Badgad». Ma poco dopo Calipari riceve anche una seconda telefonata, un collega del Sismi che gli dice di andare «a un cavalcavia». Calipari non si fida, fa una verifica. «E' stata quella telefonata un depistaggio?» chiede l'avvocato a Carpani. Lo 007 non risponde. Ricostruisce invece con certezza l'arrivo al check-point e la sparatoria: «Appena ho visto la luce-faro del posto di blocco ho frenato e mi sono fermato. A quel punto hanno cominciato a sparare. Dal rumore direi che erano due armi di diverso calibro». «Il governo italiano parlerà nel suo rapporto finale di tragico incidente per non deteriorare i rapporti bilaterali». Ha sparato solo lei? chiede l'avvocato «quei 57 colpi dentro l'abitacolo e l'ultimo, il 58 esimo, contro il motore?». «Io ho sparato solo 12 colpi» chiude Lozano. E gli altri?
E Ferruccio Sansa su Repubblica: Andrea Carpani guidava l' auto con Giuliana Sgrena e Nicola Calipari saprebbe molte cose su Nicolò Pollari. Si attacca il "Number One", il direttore del Sismi che avrebbe scaricato i suoi uomini perché «ancorato alla poltrona». Si fanno riferimenti a non ben identificate «banche dati», alla massoneria, e si fa cenno a Giuliano Tavaroli ed Emanuele Cipriani, le figure chiave dell' indagine sulle intercettazioni non autorizzate compiute da uomini Telecom. C' è tutto questo nei brogliacci con i colloqui del generale Gustavo Pignero, dirigente del Sismi accusato di sequestro di persona e morto a settembre. L' Eroe e il Number One - Sono le 14,42 del 26 maggio scorso quando Pignero parla al telefono con "Mimmo". Un colloquio di 30 minuti e 57 secondi che rivela molte cose. A cominciare dalla parte dedicata ad Andrea Carpani, stimato agente Sismi che rischiò la morte nell' auto su cui viaggiava Giuliana Sgrena il 4 marzo 2005. Pignero e l' interlocutore parlano a lungo di Carpani: «Ma lo sai chi portano qui? Carpani», racconta "Mimmo". E Pignero: «L' Eroe!». Carpani «ha subito delle ritorsioni», spiega Pignero, «Perché lui era a Perugia no? Ti ricordi? Era a Perugia e fece accertamenti lì su un processo che riguardava all' epoca il Number One». Mimmo: «Ha subìto delle ritorsioni per quello?». Pignero: «Sì. Lui era arrivato da due mesi alla Divisione e... venne immediatamente tolto... su ordine del Number One... Fatto sta che fra i due non c' era buon sangue, poi chi lo sa per quale motivo quest' atteggiamento è stato cambiato, capito?». E Mimmo: «Sapeva un sacco di cose di come erano avvenuti veramente i fatti». Mancini, Tavaroli e Cipriani - Nella conversazione si parla anche di Pollari, Mancini, Tavaroli e Cipriani. Le inchieste Abu Omar e Telecom si intrecciano. Mimmo: «Ma tu pensi che con tutti questi casi Pollari lo facciano fuori?». Pignero: «Mi sa che non sta navigando in acque tranquille». Mimmo: «Lo sanno tutti che Mancini era nel suo pool... tu mi hai sempre parlato di Comitato d' affari». Pignero: «Eh, quello mi sa che prima o dopo verrà fuori». Mimmo: «Però questa è una brutta cosa, il fatto che questi facessero questa banca dati...». Pignero e il suo interlocutore raccolgono solo voci che circolano nell' ambiente o le loro parole sono un' ulteriore conferma delle accuse rivolte a Tavaroli e soci? Di sicuro Pignero riferisce dettagli noti all' interno del Sismi: «A Tavaroli gli abbiamo dato una consulenza, roba da due righe che potevano valere 200 euro... e gli hanno fatto avere invece una provvigione notevole». Il Number One e la poltrona - Sono i giorni in cui l' inchiesta sul rapimento Abu Omar si avvicina agli uomini del Sismi e Pignero attacca l' atteggiamento di Pollari: «Quello che mi ha fatto veramente male è che il Number One non ha alzato un... il telefono per dire a chi fa tutte queste cose: "Scusi, ma lei sta chiamando tutti i miei funzionari?". Io sono rimasto malissimo proprio... cioè lui è ancorato alla sua poltrona in una maniera tale che in questo momento non vuole rischiare nulla». Il Sismi e il rapimento Abu Omar - Pignero chiama fuori il Sismi dal rapimento dell' imam. Ma fino a un certo punto. Mimmo: «Era un' attività autonoma?». Pignero: «Sì... fino a un certo punto nel senso che pubblicamente si sapeva che loro (la Cia, ndr) avrebbero voluto fare iniziative operative. Noi per iniziative operative intendevamo regolari forme di repressione». Ma in una telefonata precedente - 15 maggio 2006 ore 10,37 - Pignero parlando con un certo Massimo chiarisce di non poter mettere la mano sul fuoco su quanto ha fatto Mancini: «Lui sulla piazza di Milano... insomma, per parecchio tempo l' ha retta in maniera quasi autonoma. Quindi che ne so io che ha fatto là sopra? Ognuno di noi poi risponda del suo».
Dunque la mia opinione e' che anche le caso dei nostri sfortunati Maro' ci sia un comitato d'affari che ha un braccio esecutivo nei nostri servizi....se questa e' un'ipotesi plausibile allora ancora una volta cerchiamo di fare pulizia in casa nostra prima di incazzarci solo con gli Indiani.
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